Una lite scoppiata per futili motivi nei pressi del liceo scientifico Aristotele, a Roma, è stato quasi fatale per Ermir, un giovane studente albanese di 17 anni, accoltellato due volte alla schiena.
Il fatto è grave perché indice di un malessere diffuso nelle scuole pubbliche, soprattutto quelle medie superiori. È il simbolo della diffusione di una violenza giovanile che rischia di degenerare e diventare del tutto incontrollabile. Il giovane albanese è intervenuto per difendere un compagno di classe che veniva aggredito e malmenato da un gruppo di persone, alcuni più grandi di loro.
Ci si chiede se Ermir fa notizia per via dell’origine, dell’atto altruista o perché vittima della violenza giovanile? Di solito, stando agli stereotipi costruiti dalla stampa e i media, sono gli albanesi ad usare i coltelli contro altri.
Nei titoli dei giornali e delle agenzie di stampa, giustamente, viene sottolineato, il fatto che il ragazzo è uno studente: “Ragazzo accoltellato al liceo Aristotele di Roma, sei minori denunciati” (La Repubblica); “Aggressione allo studente a Roma, arrestato un 20enne” (Corriere della Sera); “Lite fuori da un liceo a Roma, uno studente accoltellato” (Ansa). Con sfumature diverse, i quotidiani maggiori riportano che Ermir è anche albanese.
In questi anni in Italia, si è assistito spesso a episodi di criminalità commessi da cittadini albanesi. In molti casi, gli esiti giudiziari hanno dimostrato l’innocenza dei presunti rei, in molti altri, i reati sono stati accertati e puniti. Però, l’unica certezza matematica è sempre stata quella di stigmatizzare e demonizzare l’albanese in prima pagina non appena si presentasse l’occasione giusta, usando in modo sproporzionato aggettivi e parole.
Spesso abbiamo letto che è geneticamente provato che gli albanesi siano una razza violenta e che usino i coltelli come se niente fosse, per poi scoprire che fenomeni di questo tipo possono accadere ovunque, che spesso il “male” è molto più vicino di quanto si possa pensare e che non bisogna per forza cercarlo nell’altro, nel diverso.
Questi meccanismi vengono spiegati molto bene dai due autori albanesi Rando Devole e Ardian Vehbiu nel loro libro “La scoperta dell’Albania. Gli albanesi secondo i mass media”(Ed. Paoline, 1996).
“Ho soltanto cercato di proteggere un amico. Vi prego, non scrivete che sono un eroe. Perché se oggi siamo arrivati al punto che lo strano è difendere un amico in difficoltà, allora c´è qualcosa che non funziona nel mondo. Non sono io lo strano”, ha detto Ermir al giornalista de la Repubblica che lo ha intervistato. Forse questo deve servire a tutti per riflettere dell’importanza che hanno le parole soprattutto nei media e invitare i giornalisti a ponderare in modo differente il linguaggio, per evitare di banalizzare e generalizzare un’appartenenza nazionale, religiosa, sessuale o quant’altro.