Il governo albanese ha deciso di proporre alcune modifiche al codice penale, per rafforzare le misure nei confronti dei detenuti membri delle organizzazioni criminali. Il regime, ispirato alla lotta contro la mafia in Italia, mira a rafforzare la sicurezza delle carceri, a combattere la criminalità organizzata e la corruzione, attraverso il totale isolamento dei detenuti pericolosi, per impedire la loro comunicazione con le organizzazioni criminali.
Un “copy-paste” del regime italiano è problematico per diverse ragioni.
Tra i paesi dell’Unione Europea, l’Italia è l’unico paese ad avere nel proprio ordinamento giuridico il 41 bis.
Si tratta di un’istituzione specifica alla Italiana e non tanto gradito a livello Europeo, dato il suo potenziale contrasto con i diritti umani.
In primo luogo, il contesto albanese, lo stato e il sistema albanese della giustizia sono differenti da quello italiano. Si presume, sbagliando metro e giudizio, una certa assomiglianza e simmetria tra i due sistemi che non c’è.
Il problema dell’Albania non sono le carceri e i loro regime in sé, esso invece sta a monte del sistema giudiziario. Si dimentica, infatti, la realtà e l’atmosfera albanese che un vero mafioso in Albania non avrà mai una condanna proporzionata al suo reato imputato. Anche quei pochi condannati hanno avuto dei sconti di pena ingiustificabili e modificazione illegittima dei capi di imputazione a loro favorevoli. Basta pensare all’ultimo scandalo di Dritan Dajti (fonte: Top Channel)
Il regime speciale, solitamente, è basato sui titoli di reato e sui limiti di pena. Il trucco, quindi, per scappare illegittimamente e arbitrariamente a tale sistema è quello di tentare di ottenere condanne al di sotto del limite previsto dalla legge o per titoli di reati diversi da quelli compresi nell’elenco del regime speciale.
Non si ha, quindi, la garanzia e la certezza giuridica che quel regime verrà applicato basandosi sui principi di legalità, di tassatività e di determinatezza della legge penale. Anzi, si rischia, al rovescio, di mandare in quel regime condannati che non se la meritano veramente.
In Albania si usa a dire:
“Nuk çalon gomari nga veshët”.
Sforzandosi a tradurla in italiano, significa che devi capire dove sta la causa e il male del tuo problema, riflettendo poi sulle possibili efficaci misure da intraprende per risolverla, e non al contrario. Di conseguenza, prima bisogna riformare e migliorare il sistema giudiziario, poi magari si potrebbe anche tentare una riforma al regime penitenziario.
In secondo luogo, mi pare che in Albania non abbiano molto chiaro il contesto storico in cui è nato “il carcere duro” in Italia. Esso è stato introdotto per i mafiosi nel 1992 e per contraddire i cosi detti “anni di piombo” in Italia, durante i quali succederono diversi attentati terroristici. Al contrario, l’Albania non sta affrontando la medesima situazione e non vi ratio per introdurlo. All’Albania in questo momento servono riforme strutturali dell’intero sistema giudiziario non propaganda populista!
Il regime italiano è stato più volte modificato e criticato anche a seguito dei rilievi delle organizzazioni internazionali. Un giudice degli Stai Uniti, ad esempio, ha negato l’estradizione del boss mafioso Rosario nel 2007, poiché a suo avviso il 41 bis sarebbe assimilabile alla tortura. Ultimo caso è stato quando la Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia perché decise di continuare ad applicare il regime duro carcerario del 41bis a Bernardo Provenzano, dal 23 marzo 2016 alla morte del boss mafioso. Secondo i giudici, il ministero della giustizia italiano ha violato il diritto di Provenzano a non essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti.
Nonostante l’affermazione di legittimità costituzionale di quel regime, la Corte Costituzionale italiana, ha sottolineato critiche, in varie occasioni, come ai detenuti venissero riservati “trattamenti penali contrari al senso di umanità, non ispirati a finalità rieducativa ed, in particolare, non ‘individualizzati’ ma rivolti indiscriminatamente nei confronti di reclusi selezionati solo in base al titolo di reato. Mi chiedo se mai in Albania, i promotori della riforma, si fossero mai chiesti della possibile illegittimità costituzionale di quella legge.
La situazione è alquanto critica e preoccupante in quanto attualmente l’Albania non ha giudici e la Corte Costituzionale non è operativa. Dai nove membri composti, solo uno è rimasto, gli altri sono stati espulsi dal “Vetting”. Considerando il Suo ruolo di istituzione di “checking and balance” dei poteri si rischia fortemente di violare i diritti umani dei detenuti prima che possibilmente la Corte decideste nel futuro in merito alla riforma. L’Albania rischia in questo modo anche pesante condanne dalla Corte dei diritti umani.
Ma è veramente questo lo strumento irrinunciabile nella lotta alla mafia in Albania? Ma veramente non esistono sistemi migliori a quello italiano? Perché non si butta uno sguardo altrove? Si è mai informato l’Albania dei risultati ottenuti in questi anni dall’Italia? Forse delle soluzioni alternativi ce ne sono, ma bisogno avere il buon senso di cercarle.
Un mio professore del diritto penale diceva che: “il carcere è un luogo illegittimo ma necessario”. L’Albania pare che voglia rafforzare, inutilmente e violando i diritti umani dei propri cittadini, questo inferno vivente.
Erion Murati
Erion Murati è laureato in diritto penale all’Università degli studi di Udine nel 2017 con voto di laurea 110/110. Attualmente sta svolgendo un dottorato di ricerca all’Università di Amburgo in Germania.