Il 2012 è un anno particolare per gli albanesi, e in particolar modo per i loro rappresentanti politici. Mi complimento con i politici onesti per quello che sono riusciti a fare dall’inizio degli anni Novanta, motivati da scopi idealistici al servizio del Paese in un momento critico.Purtroppo, fin dal 1912, buona parte dei politici albanesi appartengono a quella categoria che Max Weber considera come ‘dilettanti’ e ‘ dittatori di strada’ che soffrono del vizio di vanità.
Di questa categoria fanno parte anche coloro che, che sempre secondo Weber, mancano di senso di responsabilità e onestà intellettuale.
Ci auguriamo che i politici comprendano quanto sia importante, in questa ricorrenza del centenario, mettere in primo piano l’Albania e non i partiti da loro creati o ereditati. Questo sarebbe un cambiamento promettente in un momento in cui la politica albanese rimane divisa e si è trasformata nel desiderio di rimanere o ritornare al potere a ogni costo.
Il comportamento di alcuni politici negli ultimi vent’anni è stato nella maggior parte dei casi di tipo feudale.
Alcuni leader albanesi si comportano da tempo come despoti del mondo arabo, dalla cui fine infame speriamo che traggano i giusti insegnamenti, prima che sia troppo tardi.
Quando studiavo al Cairo, ricordo che i miei amici egiziani spesso tornavano al campus universitario picchiati dopo le manifestazioni contro Mubarak, uno degli ‘ufficiali liberi’ che avevano costretto il re Faruk a lasciare l’Egitto nel 1952.
Quegli stessi ufficiali avevano promesso di ridare l’Egitto agli egiziani. Sessant’anni dopo la caduta della monarchia, quel popolo si ritrova nel bel mezzo di un incrocio.
Liberarsi di un dittatore è difficile, ma non impossibile.
La vera difficoltà sta nel confrontarsi col vuoto lasciato da queste dittature. Per noi albanesi non è difficile capire la situazione degli egiziani, poiché questa è l’eredità che ci hanno lasciato sia Ahmet Zogu, questo tardivo re d’Europa, che il monarca comunista Enver Hoxha. Di conseguenza, a un secolo dalla creazione dello Stato albanese, non abbiamo ancora una società civile attiva e consapevole.Un adagio popolare dice: “la colpa è orfana”.
Ma questo non vale per la politica albanese. In genere Hoxha incolpava Zogu e “i nemici interni ed esterni” di ogni male che abbiamo ereditato, creato e sofferto sotto il regime comunista. Negli ultimi due decenni della nostra democrazia non democratica ci siamo abituati a sentire la stessa solfa, con la sola differenza che ora ogni cosa negativa viene attribuita a Hoxha e al comunismo.
L’Albania ancora non è riuscita a creare una classe politica dotata di autoconsapevolezza, che capisca l’importanza della continuità nella costruzione dello Stato.
Tempo fa, un ricercatore straniero mi ha detto che il governo albanese non autorizza la realizzazione di un padiglione dedicato al periodo del comunismo e a Enver Hoxha nel Museo Storico Nazionale.
Questa è una stranezza della storia. Se non vogliamo ripetere gli stessi errori di Hoxha e di Zog, o peggio ancora idealizzare, per mancanza di informazioni, i defunti satrapi, ogni figura e ogni fase della storia dovrebbero essere rappresentate e oggettivamente presentate nel tempio della storia nazionale, e l’ultima parola in merito dovrebbero averla non i politici, ma studiosi seri che, per dirla con Rabindranath Tagore, sianodisposti a servire il Paese, ma quando si tratta di perdonare, lo fanno solo se è giusto farlo.
La polarizzazione più pericolosa in Albania, oltre quella economica e religiosa, è quella politica o, per essere più precisi, apolitica. Di conseguenza, per la maggior parte degli albanesi, lo Stato rimane una matrigna senz’anima, crudele, un concetto indifferente, un’impresa fallita, mentre da tempo la politica viene considerata come sinonimo di “lavoro sporco”.
Ecco la tragedia più grande di questo primo fine secolo dello Stato albanese. E in questa tragedia hanno la loro parte sia Zogu che Hoxha, così come i loro “seguaci” della nostra democrazia arretrata.
Il nostro popolo è demoralizzato perché è un popolo deluso. Finché non ci sono prove, oppure non si vedono, che la giustizia sia al di sopra della politica, c’è il rischio che lo Stato sia considerato non il garante dei diritti dei cittadini, ma al contrario il persecutore di persone innocenti.
Così stando le cose, non c’è da stupirsi se l’indolenza dello Stato nel giudicare e condannare quei dirigenti che, pur abusando della loro posizione e della fiducia popolare, continuano con indecenza criminale nella loro attività politica, venga interpretata, anche se ingiustamente, come un affare mafioso, cosa che inevitabilmente allarga sempre di più il divario fra Stato e cittadini.
Siamo tutti responsabili della stagnazione politica che purtroppo da tempo affligge l’Albania. Per uscire da questa situazione, il Paese ha bisogno di una nuova generazione politica che non abbia più una mentalità provinciale, ma una visione e un impegno democratici.
Il primo test importante per misurare la maturità della nostra classe dirigente sono le prossime elezioni presidenziali.
Sarebbe un bene per il Paese che a questa posizione di primo piano non si candidasse nessuna delle figure che nell’ultimo quarto di secolo hanno dominato e soffocato la politica albanese, quasi come Putin e Medvedev. Dunque, il servizio migliore che possono fare per il loro Paese sarebbe il completo ritiro dalla politica prima possibile.
E se questo “sacrificio” non riescono a farlo per il bene della patria, mi auguro che lo facciano per i loro interessi personali.
L’ossessione del potere perpetuo è un’assurdità. Il successo in politica non si misura dal numero di anni passati al governo, o dalla varietà dei posti occupati. Per gli onesti, la vita continua anche dopo la fine della carriera politica.
Pubblicato per la prima volta su Albania News in lingua albanese il 6 gennaio 2012. Titolo originale “Monarkizimi i politikës në shtetin njëshekullor” .Tradotto per Albania News da Dorina Lulaj. A cura di Olimpia Gargano