Se mi si domanda di definire la prima generazione di immigrati, oserei dire “silenziosa, invisibile e individualista per troppo tempo”. Ne sono consapevole che una tale definizione non susciterà troppe simpatie e consensi. Sia per un po’ d’orgoglio, sia perché come tutti gli umani, siamo più propensi a gettare le colpe sempre sugli altri, in pochi condivideranno questa mia opinione. Essere schietti e leali, prima di tutto vuol dire esserlo con se stessi. Fare un bel esame di coscienza individuale e generazionale non guasterebbe, anzi, aiuterebbe ad uscire prima possibile da quel guscio in cui ci siamo rifugiati dal momento in cui siamo approdati in questa terra, ancora succubi delle condizioni socio-politiche che avevamo lasciato nei paesi d’origine.
Era ovvio che la paura e le diffidenze non ci avrebbero abbandonato subito. Educarsi con la nozione e la realtà “Democrazia” non è fenomeno che si realizza automaticamente appena metti piede in un paese democratico. È un processo lungo e non sempre facile se non aiutato da politiche adeguate per l’integrazione. Ma siamo arrivati in Italia, paese che storicamente va avanti a forza di decreti legge per le emergenze..emergenza abusivismo, emergenza corruzione.
Persino emergenza mafia, anche se la mafia esiste da un bel po’ di tempo ormai. Sempre emergenza in vista. Così fu e ancora lo è con il fenomeno immigrazione. L’emergenza albanesi che ha liberato i polacchi dal peso della definizione “il male dell’Italia”, passandoci la staffetta. Poi i jugo, (le popolazioni della ex- Yugoslavia che scappavano dai feroci conflitti che stavano sprofondando la penisola balcanica in una guerra senza fine) e poi e poi di nuovo gli albanesi, i rumeni, cinesi, subsahariani nordafricani rom un’eterna emergenza.
Sono entrata in questo paese con la legge Martelli..e non mi si domandi se ricordo tutte le leggi che si sono susseguite risponderei di no. Ho perso il filo nella giungla di leggi e decreti speciali. Un immigrazione alquanto selvaggia per il fatto che le politiche per l’integrazione erano totalmente assenti. L’integrazione era questione di noi altri.“Se vogliono, che s’integrino” – la frase più ricorrente che usciva come perla di saggezza dai politici, i giornalisti, persino dal panettiere sotto casa. L’integrazione, al massimo era una questione che dovevano risolvere le varie associazioni e organizzazioni non governative.
Qualche spiraglio c’era in qualche realtà di amministrazioni locali, ma molto fiacca per mancanza di mezzi e di conoscenza del fenomeno. E non ne parliamo degli attacchi immediati provenienti dalla politica e dai media,rivolti ad una nazionalità specifica, in caso che un membro di essa compiva un crimine, minore o grave che fosse. Iniziava (e inizia ancora ),una campagna denigratoria senza fine. A tal punto che la nazionalità in questione emetteva un sospiro di sollievo in caso di altro crimine compiuto da italiani o da membri di nazionalità diverse.
Incredibile, offensivo e fuori da ogni logica umana ma vero!!! Era l’unico modo per salvarsi almeno per un po’ da definizioni diffamatorie che toglievano le forze Dopo aver detto tutto ciò, può nascere spontanea la domanda:- “Che c’entra la prima generazione in questa situazione caotica?”Penso che noi, cittadini di origine non italiana, dobbiamo riconoscere la nostra colpa per la formazione e lo sviluppo di questo terreno fertile di attacchi a più non posso dei media e della politica, specialmente nei momenti cruciali della nazione. Un terreno fertile anche per un certo indifferentismo e apatia nel trattare la questione Immigrazione come un problema, una questione scomoda da prendere con le pinze.
La nostra colpa? Subire in silenzio per anni, cercando di proteggere noi stessi. Subire in silenzio, non reagire in maniera organizzata rispondendo agli attacchi in modo immediato e difendendo la parte sana, (che è anche la maggioranza) degli immigrati che non ha niente a che fare con la delinquenza e le azioni lesive verso la società. Aspettare che le cose cambiassero in positivo passivamente e che questi cambiamenti arrivassero dagli altri come la mana del cielo, non riconoscendo subito il nostro ruolo da veri cittadini di questa nazione e permettere che fossimo trattati solo come braccia da lavoro Ecco, questo è in parole povere la nostra colpa. Subire e indignarci in silenzio, rischiando di ghettizzare persino l’anima, senza reagire adeguatamente, basandosi sui mezzi che la democrazia ci concede.
La mancanza per molti lunghissimi anni dell’attività reale e organizzata, appoggiando le lotte quotidiane di quella parte della società italiana che aveva ed ha le stesse aspirazioni, gli stessi concreti ideali per una società migliore, non era di certo la strada giusta per combattere l’inadeguatezza delle politiche sull’immigrazione e integrazione, e per non permettere l’uso da parte dei media dell’immigrato come il male che infetta questo paese. Per moltissimo tempo abbiamo permesso passivamente di vedere buttarci addosso le colpe delle vari momenti difficili della nazione, abbiamo permesso che l’integrazione sia trattato come un problema e non come una strada da percorrere insieme. Abbiamo aspettato troppo.
Abbiamo aspettato troppo per gridare BASTA!! con la nostra voce potente che è ugualmente valida e ha la stessa forza di quella dei nostri compagni di viaggio italiani, nella giusta strada del miglioramento e dello sviluppo di questa società. Perché..perché spesso e volentieri abbiamo avutola percezione che questa società non ci apparteneva, e non appartenevamo ed essa.
Sì, sono molto critica, prima di tutto verso me stessa e verso tutti noi, verso il silenzio e la rassegnazione della cosiddetta prima generazione degli immigrati. Troppi silenzi, testa nascosta nella sabbia come lo struzzo, rassegnazione e paura di esprimersi.. Facile nascondersi dietro l’alibi delle mancanze legislative ma noi proprio noi, cosa abbiamo fatto per rispondere adeguatamente a queste mancanze? Parlo di una generazione, nella maggior parte con un bagaglio culturale e d’istruzione molto alta rimasta nascosta per troppo tempo.
Ci siamo ribellati..sì..è vero, ma una ribellione bisbigliata dentro le mura delle proprie abitazioni, oppure spesso neanche bisbigliata ma solo soffocata. Abbiamo mormorato BASTA solo dentro di noi, in silenzio, mettendo maschere d’indifferenza e non abbiamo fatto i conti che, un giorno, i nostri silenzi sarebbero caduti sulle spalle dei nostri figli.
Le parole del Presidente Napolitano sul diritto di cittadinanza per i ragazzi nati e cresciuti in Italia ci rincuorano, ci danno ottimismo. Si parla dei nostri ragazzi, di coloro che vengono definiti seconda generazione.
Ma di noi di noi che siamo i genitori, gli zii o semplicemente amici di famiglia, non se ne parla. Quasi come se questa seconda generazione fosse nata dal nulla. E questo nulla lo abbiamo creato anche noi, con la nostra indifferenza, i nostri silenzi la nostra non partecipazione.
Abbiamo cercato di integrarsi con le nostre forze, con la nostra grande volontà. Questo fatto ci fà onore. Abbiamo educato i nostri figli con dei principi sani, occupandosi di dare a loro anche una giusta istruzione, pretendendo i risultati massimi a scuola. Abbiamo cercato di vedere in loro il nostro riscatto per le ingiustizie subite in tanti anni. E non ce ne siamo accorti che forse l’ingiustizia più grande lo abbiamo fatto noi a se stessi, con i silenzi prolungati nel tempo, con la rassegnazione, rischiando di diventare fantasmi viventi.
Se domandi ancora oggi giorno un natìo italiano chi sono questi esponenti della prima generazione, all’inizio lo vedrai pensarci su, e poi spesso ti risponderà:- “Quelli che venivano in gommoni, in barconi semidistrutti.. Eh loro portavano la droga, le donne per venderle in strada” e altre cose del genere. Spesso lui ignora la presenza del muratore straniero che ha ri
strutturato la sua casa, la colf che gli ha cucinato il ragù meglio di una massaia emiliana, la babysitter che gli ha cresciuto i figli con tanto amore, insegnando a loro a scandire bene la parola “mamma” e a fare i primi passi verso quella cosa così bella che si chiama vita.
Perché perché il muratore o la colf sentivano in silenzio i commenti che si facevano nelle case su questi stranieri, (e non aggiungo le definizioni non proprio simpatiche che accompagnavano il termine stranieri), su questi stranieri che “vengono qua e dettarci legge e a rubarci il lavoro e i mariti ”. In silenzio e senza fiatare inghiottendo spesso le lacrime. Ecco il massimo della ribellione di noi, la prima generazione. E in silenzio abbiamo costruite le case nel paese d’origine, dove andiamo una volta all’anno e dove ci fermiamo sempre di meno. E ce ne siamo resi conto solo tardi, molto tardi che, la vera costruzione della nostra vita noi lo facevamo lì dove producevamo ogni giorno, lì dove i nostri figli crescevano e si formavano come persone e come cittadini in una società, la quale ancora non se ne rendeva conto della nostra voce, della nostra esistenza, del nostro contributo nello sviluppo della società stessa.
Ce ne siamo accorti molto tardi che stavamo diventando immigrati a tempo indeterminato, rischiando che i nostri figli diventassero una seconda generazione di immigrati a vita. Ci ha dovuto pensare il Presidente per dare una scossa alle nostre coscienze che ormai si stavano svegliando dal letargo ma un po’ apatiche, ancora non trovano la strada giusta per attivarsi nella lotta quotidiana per i diritti.
Per dirla tutta e all’onor del vero, negli ultimi 3-4 anni, la partecipazione sempre più numerosa e sempre più attiva dei cittadini di origine non italiana nelle varie manifestazioni, iniziative concrete, nelle lotte quotidiane dimostra che finalmente il risveglio delle coscienze è una realtà. Abbiamo iniziato a riconoscerci il ruolo importante di membri attivi di questa società.Un tardivo risveglio?? Forse sì! Ma forse, forse proprio questo dà ancora più forza alla nostra voce. Perché difendiamo il nostro diritto di essere trattati alla pari nei doveri e nei diritti con i cittadini italiani. Così agendo, facciamo comprendere alla società che questo paese lo rispettiamo, lo amiamo, lo chiamiamo CASA. È la casa dei nostri figli e nipoti,la maggior parte dei quali qui ci sono nati, crescono e maturano. E la casa la si difende e la si migliora continuamente, investendo energie concrete, investendo il proprio lavoro, il proprio sudore, la propria mente e la propria passione. Ce ne ribelliamo più apertamente e in modo attivo verso le leggi discriminatorie della Destra, (la legge Bossi-Fini, con il suo contenuto disumano è un ostacolo quasi insormontabile per una vera e naturale integrazione), e ci rallegriamo per l’attivazione concreta della Sinistra nel cercare di dare al fenomeno immigrazione la dignità e l’attenzione che merita, senza abbassare la guardia e il tenore degli sforzi quotidiani a questi intenti. Sto cercando di rimanere il più possibile neutrale e razionale su questo punto, perché in queste mie personali riflessioni non vorrei fare un’analisi politica né dell’una e né dell’altra parte, anche se a chi mi conosce è noto il fatto su da che parte sto per quanto riguarda lo sviluppo politico italiano. Non è stato mai un segreto e ne sono consapevole delle mie scelte e le mie convinzioni. Ma, anche dalla parte politica che io stessa appoggio, c’è una certa falla per quanto riguarda la prima generazione. Forse il mio è un richiamo a noi e proprio a loro. Siamo dei quarantenni, con delle risorse ancora inesplorate e non messe alla disposizione.
Abbiamo un mondo ricco dentro di noi, che si può sfruttare in tutti i campi. Il futuro è dei nostri figli, dei giovani ma noi esistiamo in questo presente. Esistiamo e viviamo non siamo dei vegetali.
Abbiamo molto da dare prima di tutto la nostra energia e il nostro sapere, la nostra esperienza inestimabile. Abbiamo coscienza e per di più siamo degli adulti che come dovere primario conosciamo il ruolo di guida per i nostri ragazzi. Non siamo solo una definizione di un aspetto dell’immigrazione, siamo attivi. Non scordate la nostra presenza, perché siamo proprio noi le radici di questa seconda generazione.
Ci siamo!!! E vogliamo che si riconosca il nostro ruolo attivo in questa società, in tutti i campi per preparare un terreno fertile per la crescita e lo sviluppo delle nuove generazioni. Rendiamo attiva questa prima generazione, rendiamola utile proprio ora che la sua coscienza è risvegliata. Perché si è lasciata ed è stata lasciata per troppo tempo in disparte per ragioni sopra menzionate. Sennò rischiamo di vedere una seconda generazione riconosciuta come cittadini in tutti gli effetti, che come radice ha una generazione ghettizzata.
L’esempio dei ragazzi di origine nord-africana di cittadinanza francese che fischiano l’inno nazionale, ci deve fare riflettere. Già il mondo lavorativo tratta i quarantenni e i cinquantenni come peso morto Che la politica non faccia lo stesso errore!!!Chiudo queste riflessioni personali, prendendo spunto da due passaggi che citerò: 1. “Ho provato ad affermare un principio: l’integrazione non riguarda gli altri. Riguarda noi, tutti. Noi tutti che condividiamo il destino di vivere nello stesso spazio e nello stesso tempo. Indipendentemente da dove siamo nati, in quale lingua sogniamo, quale sia il nostro credo religioso, il nostro orientamento sessuale, la nostra età, il nostro genere o la nostra condizione sociale ed economica. Noi che usiamo gli stessi mezzi pubblici, le stesse piazze, gli stessi luoghi di lavoro, gli stessi giardinetti dove giocano i nostri figli 2. Lavoriamo perché l’Italia sia un paese per tutti, per i bimbi e per i loro genitori, qualsiasi sia la loro origine.Visti così, sembrano i passaggi dello stesso discorso, della stessa persona. Invece appartengono a momenti diversi e a persone diverse. Il primo è di Ilda Curti, Assessore delle Politiche per l’Integrazione di Torino. E il secondo appartiene a Marco Pacciotti, Coordinatore Nazionale del Forum Immigrazione PD, in un intervento congiunto con Piero Ruzzante, Vicepresidente della Commissione Bilancio di Regione Veneto.
Comunque la si pensi dal punto di vista politico, si può trarre la conclusione che, la società che vogliamo è proprio questa, dove c’è un posto e un ruolo per tutti, e dove la politica mette in centro del suo lavoro il cittadino. Noi, di prima generazione lo siamo!!! E vogliamo riconoscere e vedere riconosciuto il nostro ruolo nella società e nello sviluppo di essa. Ne vale il nostro presente e il futuro delle generazioni che verranno