La protesta del 28 gennaio a Tirana è andata bene, e non ci sono state violenze da nessuna delle parti. Dopo i tre morti della protesta del 21 gennaio, in Albania la tensione è stata palpabile e lo è tutt’ora. La precarietà istituzionale e politica genera insicurezza, paura e soprattutto sfiducia nel futuro del paese.
A seguito delle violenze, la UE ha inviato un proprio emissario e tutte le cancellerie occidentali, che in Albania hanno il loro peso notevole, hanno richiamato i due leader politici a ritornare sui propri passi per non far arretrare anni indietro il paese. L’invito più contingente è stato quello di annullare tutte le manifestazioni di piazza, cercando di spostare il dialogo sul tavolo della trattativa politica. Risulta tuttavia incomprensibile che gli ambasciatori non si rendessero conto che questa cosa fosse pressoché impossibile, in quanto i due leader non erano riusciti a sedersi ad un tavolo neanche sulla questione di legittimità delle elezioni politiche del 2009. Come potevano farlo ora che la situazione si era aggravata al punto di avere tre morti sul tavolo? Maggioranza e opposizione annunciano ulteriori manifestazioni dei loro sostenitori. Berisha aveva indetto una manifestazione di sostegno al governo per controbattere a chi sostiene il suo mancato consenso tra la popolazione. Come spesso accade in Albania, a prescindere dagli schieramenti politici, molto probabilmente sarebbero scesi in piazza moltissimi dipendenti pubblici di tutti i livelli, che in Albania sono quasi sempre legati volente o nolente, al partito che governa. Dopo l’appello della comunità internazionale il premier ha deciso di annullare la manifestazione. Sul piano tattico politico questa mossa per lui non ha avuto costi, in quanto non era una cosa programmata da tanto tempo e di solito il governo non scende in piazza, quello solitamente è il ruolo dell’opposizione. Ad un sicuro rifiuto di Rama riguardo l’annunciata protesta socialista, Berisha molto probabilmente ha utilizzato la sua concessione per dimostrare la buona volontà del governo, a differenza del leader socialista. Tutte le uscite pubbliche del premier in lingua albanese invece, sono state all’insegna di una violenza verbale e accuse per l’opposizione, ilpresidente della repubblica, i servizi segreti e la procuratore generale, definita con un linguaggio nettamente sessista e discriminatorio. Rama non poteva annullare la manifestazione indetta per il 28, perché questo avrebbe significato per lui la fine politica. Si trovava nell’unica condizione possibile, rilanciare e fare in modo che la piazza fosse sotto controllo, legittimando cosi il ruolo di guida del partito socialista, anche agli occhi del mondo occidentale, dal quale l’Albania dipende cosi tanto. La manifestazione si è svolta in modo pacifico, silenzioso e Rama ha avuto l’accortezza di non colorarla con slogan partitici, garantendo cosi una più ampia partecipazione. A scendere in piazza infatti non sono scesi solamente i sostenitori dell’opposizione, ma anche molti cittadini comuni che sono semplicemente stanchi dell’esasperazione del conflitto politico.
A livello tattico politico questa era l’unica mossa consentita a Rama, e lui ha giocato le sue carte rispettando le attese della comunità internazionale. Dalla sua ha avuto anche la sicurezza certa che Berisha non avrebbe interferito con la manifestazione del 28, altrimenti sarebbe stato definitivamente considerato come l’unico responsabile di tutto quello che sarebbe successo.Nello stesso tempo, molte persone si chiedono come mai la protesta del 21 gennaio non abbia avuto la stessa organizzazione e presenza massiccia dei parlamentari e del servizio d’ordine del partito socialista. Il dilemma prosegue comunque. I toni rimangono aspri. Il premier accusa tutti di aver tentato un colpo di stato che potrebbe essere ancora in atto. Le opposizioni accusano il premier di aver messo lui in campo un colpo di stato delegittimando verbalmente le principali istituzioni costituzionali. Intanto c’è una commissione parlamentare d’inchiesta, composta di soli parlamentari della maggioranza, che in virtù della legge elettorale vengono nominati dal partito, e quindi rispondono direttamente a Berisha, che dovrebbe fare luce sulla situazione. Rimangono forti dubbi che ci possa essere una neutralità di giudizio e soprattutto rimangono forti dubbi che una commissione parlamentare si possa sostituire alla giustizia ordinaria, pilastro di uno stato democratico sano. L’opposizione apertamente punta alle dimissioni di Berisha e ad elezioni anticipate, magari accorpando le consultazioni con le amministrative che si dovrebbero tenere a maggio. Questa posizione è stata rafforzata anche dalla manifestazione del 28 gennaio. Questa chiaramente è l’unica opzione politica valida, in quanto è impossibile ritornare e negoziare il processo elettorale delle politiche 2009, considerando l’aggravarsi della situazione. Ormai c’è spazio solamente per negoziare una transizione ad elezioni anticipate, anche se il premier Berisha sostiene convinto che le politiche ci saranno solamente nel 2013, scadenza naturale dell’esecutivo, e sa che una sua resa incondizionata lo metterebbe in una posizione di rischio e forse anche di incriminazione per le 3 vite spente durante le proteste. Nello stesso tempo pare bruciata ormai la candidatura di Lulzim Basha come sindaco di Tirana. Basha infatti è stato messo al ministero degli interni dal premier per poter avere più visibilità nella capitale e incassare il successo della liberalizzazione dei visti. Dopo i 3 morti però, questo ministero è diventato ingombrante,rischiando di travolgere anche il suo titolare, delfino designato di Berisha. Solitamente in queste fasi politiche, chi detiene il potere, cerca di assicurarsi il dopo. Si cerca sempre di garantire che non ci siano azioni giudiziarie o che si aprano dossier e casi scomodi. Si passa sempre per la classica fase della riconciliazione nazionale, un patto per evitare violenze e rese dei conti. Su questo punti si misureranno tutti gli attori politici e su come si evolverà la situazione che i cittadini potranno capire e farsi un idea. Intanto però la situazione politica rimane ancora tesa e senza una soluzione di breve periodo e le persone sono stanche dell’incertezza. La storia albanese dimostra che ogni volta che rimandiamo i conti con il passato, esso ritorna puntualmente a turbare il presente ed a rendere instabile il futuro. Prima o poi anche l’Albania dovrà fare i conti con il proprio passato remoto e anche con quello più vicino.https://www.youtube.com/watch?v=wf3xEBGkwXg