Dopo gli incidenti allo stadio di Marassi sono piovute scuse e accuse, spiegazioni e minacce di sanzioni da tutte le parti, eppure nessuno ha accennato (almeno è questo che mi risulta) alla nostra bandiera, incendiata in modo plateale dagli ultrà serbi sotto gli occhi di tutti.
Un episodio questo che mette in evidenza il fatto che le vecchie ruggini tra i due popoli ci sono ancora. Sembrava fosse un pezzo di stoffa qualsiasi e non il drappo che rappresentava una nazione; anche se per noi albanesi è molto più di questo: rappresenta la libertà, l’orgoglio, un modo di essere. Ogni albanese si immedesima in quell’aquila con le ali distese, che vola in tutta la sua scioltezza su quello sfondo rosso come il sangue, il sangue con cui si è guadagnato la libertà e la dignità.
Chi preme su questo tasto delicato per un albanese, sa bene perché lo fa, come lo sapevano bene quei teppisti sugli spalti di Marassi. Il che spiega la reazione immediata e mal ponderata delle due ragazze albanesi che hanno cercato di ricambiare il gesto degli ultrà serbi con la stessa moneta, incendiando la bandiera della Serbia davanti al medesimo consolato a Tirana. Nonostante abbiano avuto un palcoscenico decisamente meno visibile degli ultrà, anche questo episodio va stroncato.
Mi chiedo per quanto tempo ancora dobbiamo assistere a questo stupido ping-pong… Martin Luther King diceva: ‘Se non riusciremo a vivere come fratelli, moriremo tutti come stolti’.
Siamo al ventunesimo secolo e le nostre risorse, le nostre energie, vanno investite verso un futuro dove la pace non debba essere un optional, ma una cosa scontata. E, per arrivare a quel traguardo, i piccoli incidenti come questo vanno soffocati sul nascere e non ignorati. Un impegno che richiede il coinvolgimento di tutti: degli organi politici, dei media e dell’opinione pubblica.
Mi guardo bene dall’addentrarmi in questioni politiche, non fa parte del mio repertorio; quello che vorrei sollevare è un po’ di sensibilità, che di questi tempi sembra un valore in via d’estinzione. Non mi riferisco a quella dei serbi, assai dura da innescare su un argomento del genere (e i motivi sono chiari a tutti), quanto a quella italiana, dell’UEFA e infine a quella europea.
Si sa che l’Italia si nutre di calcio, reality e gossip, e che tutte le questioni che meritano davvero l’attenzione della massa vengono quasi ignorate, ma, come quella sera veniva boicottato il ricordo dei quattro alpini caduti in Afghanistan, allo stesso modo e con lo stesso fervore, la nostra bandiera veniva calpestata e bruciata in un modo maledettamente ostentato, ferendo nell’orgoglio le due nazioni, o meglio la nazione, perché il Kosovo si è sempre considerato parte dell’Albania, che rappresentava. E nessuno ha parlato di questo fatto.
Va bene, sono consapevole che in quel pandemonio poteva trattarsi anche di un avvenimento secondario, eppure è passato per non essere quasi mai accaduto. Giustamente l’UEFA investe molto, e sottolineo giustamente, sulle campagne antirazzismo e per promuovere l’eguaglianza nel calcio e nello sport in generale, ma sulla faccenda in questione non c’è stata nessuna presa di posizione.
Non mi aspettavo che l’Europa prendesse l’argomento di petto, ha altre cose più importanti da affrontare, ma che tirasse le orecchie a qualcuno, quello sì. Perché poi, quando le cose si ingrossano e si arriva al peggio, i papaveri riuniti a Bruxelles, per tirarsi fuori dalle responsabilità, si servono della celeberrima frase (ormai la conoscono a memoria, è tutte le volte quella): ‘I Balcani sono da sempre un ordigno a orologeria’. Buono a sapersi…
Per fare il punto della mia modesta opinione, io dico che noi albanesi non vogliamo passare per vittime, siamo troppo orgogliosi per indossare tali vesti, nemmeno per prepotenti, i decenni della sofferenza del dopoguerra hanno forgiato abbastanza la nostra umiltà, ma pretendiamo ciò che ci spetta ed è dovuto a ogni nazione ed individuo al mondo, il rispetto…
E’ forse chiedere troppo?