Dal 9 ottobre scorso, il PD ha un nuovo documento programmatico in materia di immigrazione, approvato dalla sua Assemblea Nazionale. Una delle novità riguarda anche il superamento del sistema delle quote d’ingresso per aree geografiche sostituendolo con uno selettivo fondato sulle competenze e le esigenze del mercato di lavoro. Abbiamo intervistato l’On. Andrea Sarubbi, appartenente al area democratica di Veltroni, per saperne di più.
L’8 e il 9 ottobre scorso, il Partito Democratico italiano ha tenuto la sua Assemblea Nazionale a Busto Arsizio in provincia di Varese. Una scelta chiara che nelle intenzioni voleva dimostrare una vicinanza del partito al Nord Italia e soprattutto una location in terra leghista. Tra i vari argomenti e con i dovuti distinguo tra le varie anime che compongono il partito, si è parlato molto anche di immigrazione. Di questo argomento si occupava un gruppo di lavoro di oltre 100 persone che ha poi stilato il documento definitivo portato ai voti in assemblea che costituisce la posizione del PD in materia di immigrazione. Tra i punti principali e salienti che il documento prevede al suo interno si possono elencare il diritto di cittadinanza per chi nasce e cresce in Italia; la concessione del diritto di voto alle amministrative, in recepimento delle direttive europee; il rafforzamento degli investimenti per la diffusione e la conoscenza della lingua italiana, vista come strumento cardine dell’integrazione; la lotta all’evasione fiscale e all’economia sommersa, che inevitabilmente genera clandestinità; il rafforzamento dei temi di cosviluppo nei paesi di origine; l’apertura del partito democratico alla partecipazione attiva di cittadini di origine immigrata; e infine la regolamentazione dei flussi di ingresso.
Sull’ultimo punto, la regolamentazione degli ingressi, il documento approvato dall’Assemblea sostiene che “Una buona politica migratoria deve fondarsi anche sulla adozione di metodi scientifici adeguati per determinare la possibile domanda di lavoro straniero e le concrete possibilità di integrazione. La conoscenza di grandezze plausibili e non di valutazioni di parti interessate è una buona guida per la programmazione di medio e lungo periodo. Bisogna pertanto semplificare il sistema delle quote passando dal decreto annuale, elaborato dalle strutture ministeriali, con vincolo amministrativo e contenente una misura quantitativa rigida, ad un documento pluriennale elaborato da una agenzia tecnica che indica le esigenze del mercato del lavoro, i profili professionali necessari, la capacità di accoglienza del nostro Paese e le politiche di inclusione necessaria.”.
Il documento in materia di immigrazione approvato dall’Assemblea Nazionale del PD è stato frutto di un lavoro lungo e complesso del Forum Nazionale Immigrazione del PD, presieduto da Livia Turco e composto da esperti e amministratori del PD rappresentativi di tutto il territorio nazionale. A lavori ancora non finiti però, i giornali hanno lanciato alcune dichiarazioni e frasi dette e sostenute dall’ex segretario del PD Veltroni sull’ammissione a punti, il controllo degli ingressi per filtrare solamente quelli selezionati ecc. Tutte queste proposte erano contenute nel documento presentato all’Assemblea Nazionale dal Movimento Democratico, l’area di 76 parlamentari del PD che fa capo a Veltroni, ed il documento finale approvato dall’Assemblea ne tiene conto. Abbiamo chiesto direttamente ad uno dei deputati di questa area che cosa veramente è stato detto e scritto in materia. L’ON Andrea Sarubbi, tra l’altro primo firmatario della proposta di legge sulla concessione di cittadinanza ai figli di immigrati nati o cresciuti in Italia, ci ha risposto al telefono mentre era all’aeroporto di ritorno a Roma dopo l’Assemblea. On. Sarubbi che cosa significa far entrare solamente persone selezionate in Italia?
Innanzitutto, mettendo un punto fermo: che in un Paese civile l’accoglienza umanitaria deve essere chiara, e che non manchi mai un posto – ad esempio – per chi richiede asilo o è sfollato, in fuga da un incubo. Detto questo, che forse potrebbe sembrare scontato ma che per il Centrodestra purtroppo non lo è, si pone il problema della selezione di tutti gli altri: che finora è stata geografica, con le quote assegnate a questo o a quel Paese, ma che sarebbe più giusta se si basasse su altri criteri, quali la capacità di assorbimento della nostra economia. A quel punto, una volta che li ha fatti entrare, lo Stato si deve prendere carico di accompagnarli: il che, detta in altre parole, significa metterci soldi. Soldi sull’integrazione, soldi sui progetti di inclusione, soldi sui servizi, magari – ed è una proposta importante lanciata da Movimento democratico – attingendo pure ai contributi versati dagli stessi immigrati.
E come pensate di poterlo fare?Una volta investito le risorse dobbiamo anche verificare che l’investimento stia andando bene: e qui, in questo contesto, potrebbe trovare spazio il metodo dei punti, purché – è bene chiarirlo, visto che i giornali di oggi non lo hanno fatto, preoccupati solo di presentare il dibattito come l’ennesima puntata della saga Veltroni – sia inserito in un processo di accompagnamento degli immigrati, nel sandwich tra i soldi che lo Stato investe per loro ed i servizi che offre loro. Attualmente pari allo zero, nel primo caso, e molto vicini allo zero nel secondo.
Quindi in sostanza quale era il nocciolo della proposta avanza dall’area democratica?
Nel suo intervento, Enrico Letta ha detto che dobbiamo finirla con lo scambio tra pochi controlli e pochi diritti: come a dire, “Venite tutti, ma da noi non aspettatevi nulla”. Alla fine, sono andato da lui e gli ho detto che a quella frase bellissima mancava la seconda metà: noi dobbiamo essere quelli capaci di proporre uno scambio tra tanti diritti (con l’obiettivo finale della cittadinanza) e tanti controlli, e su una linea del genere non avremmo paura dei pomodori né al mercato di Varese, né tra i militanti dei circoli di Reggio Calabria. Il che non significa, naturalmente, smettere di alzare la voce quando si spara sui barconi, come ha ricordato Franceschini nel suo intervento di stamattina, ma devo onestamente precisare che nessuno l’aveva mai neppure pensato. Parlare di immigrazione in modo diverso dal solito, più pragmatico e meno ideologico, potrà disorientare qualcuno. Ma è un rischio che dobbiamo prenderci, se non vogliamo essere in eterno – e cito ancora Enrico Letta – il partito della conservazione dell’esistente, ma piuttosto la forza in grado di proporre un cambiamento credibile. Senza mai tradire noi stessi, senza mai avere paura del nostro specchio.
Ci può fare un esempio concreto di come dovrebbero funzionare le quote di ingresso?
Le quote di oggi sono geografiche (a mio parere, piuttosto ingiuste, perché non danno le stesse possibilità a chi ha le stesse capacità); quelle di domani potranno essere in base alle competenze, perché se c’è spazio per 30 mila infermieri non mi interessa che siano filippini o brasiliani: l’importante è che siano infermieri.