Osservare la cartina dell’Italia appena uscita dalle elezioni regionali sviluppa numerosi interrogativi che prescindono dalle speranze, dalle delusioni e dalle incomprensioni sortite dalle urne.
È la geografia stessa che va cambiando e sebbene questa sia stata estirpata dalle materie di studio della scuola italiana, pare incidere sempre più prepotentemente sullo scenario politico del paese.
Territorio, radicamento, identità parole che ritornano in auge in una salsa g-locale dove la g di globale è stata abrogata a forza, dipinta come malvagia.
Paure globali e piccole Vandee a Nord dello stivale. Per spiegarmi devo raccontare un piccolo episodio che mi è capitato qualche giorno fa a elezioni già concluse.
Incontro una donna, mi dice che è Albanese, le chiedo di dove, Tirana mi risponde.
Si chiacchiera, qualche minuto in tutto, racconta che lei in realtà è del Sud, che la sua famiglia è del Sud e che a lei piace molto il Sud. Dice che Tirana è piena di gente del Nord, Malok suggerisco io, non per essere offensivo ma perché avevo capito dove voleva arrivare ed ero curioso. Avevo indovinato, parte dicendo che quelli del Nord non le piacciono, che non hanno mai avuto una struttura statale, che la storia li ha resi diversi bla bla bla.
Taccio e penso a discorsi tutti italiani di qualche anno fa, ancora attuali solo un po’ appannati dall’arrivo degli immigrati che hanno catalizzato su di sé tutti i mali, le colpe.
Lentamente si sono eretti muri in nome di differenze che in realtà non sono che piccole specificità oggi traslate in estraneità.
Qualcuno ha trovato il modo di sfruttarle, spargendo le paure e acuendo le distanze, cementando identità senza timore del fatto che, quando è estraneo ciò che ci circonda, anche la ricerca della nostra identità si circoscrive. Cosa centrino tutte queste parole sull’estraneità con la geografia dell’Italia elettorale è presto detto.
L’Italia della cartina è un paese spezzettato, fatto di piccoli feudi, di poteri antichi in via di logoramento e di poteri nuovi che ne hanno appena sostituito alcuni estinti.
Questa Italia, azzoppata dalla crisi economica, è quindi anche un’Italia con diverse direzioni e poche soluzioni.
Dove un Nord elettorale vittorioso turbolento e razzista spera di fuggire al declino galoppante con qualche denaro federalista.
Dove un Centro, un tempo florido, si risveglia fragile e fossilizzato da una classe politica che vede il proprio essere esclusivamente come finalità e non come funzione.
Dove qualche Sud consumato e inquinato tenta di reagire, se non altro di sperare.
Mille parole e poche le ricette.
Due anni fa, alle politiche, il principale partito oggi all’opposizione ne aveva scelta una. Credeva bastasse fare bere agli italiani un flacconcino di buonismo tra i più scadenti, scaduti; operai e squali d’azienda all’interno delle liste e fissati con sorrisi a 44 denti, mentre l’Italia si affollava di cani da guardia e la stuazione economica faceva già scendere le prime lacrime amare.
Oggi il rifugio sarà un federalismo di maniera e riforme istituzionali dal sapore autoritario.
Debolezza certa e fine legislatura nel 2013.