La recente entrata dell’Albania nella NATO, la situazione franata in Ossezia, i difficili rapporti tra UE e Serbia sull’accordo commerciale con Belgrado, la pulizia etnica dei kosovari verso le minoranze serbe, sono tutti avvenimenti che non possono non destare l’attenzione di chi, con particolare cura per la storia, riconosce nei Balcani il perenne ventre caldo dell’Europa.
Si torna, così, a parlare di una guerra finita con tanto di proclamazione di indipendenza e di riconoscimento di un nuovo stato, ma che una guerra finita non è.“La guerra infinita” (appunto) è il coraggioso documentario di Riccardo Iacona che venne trasmesso gli scorsi 19 e 26 settembre dal programma Report in onda su Raitre. Il noto giornalista, che, in passato, abbiamo visto spesso come collaboratore di Michele Santoro (Moby dick, Circus, Sciuscià, ecc.) ci accompagna nei posti abbandonati dai kosovari di etnia serba, documentando niente meno che la nuda e cruda realtà dei fatti di oggi, nove anni dopo. Da quando la NATO ha vinto la guerra contro la Serbia e insieme alle Nazioni Unite ha preso il controllo del Kosovo 223.409 serbi sono stati cacciati dal paese.
Il documentario si apre con la “fresca” uccisione di un ragazzo serbo diciassettenne a Graçanica, per poi proseguire con le testimonianze dei familiari delle vittime, tra cui, una ragazza, vittima di un attentato terroristico. L’odio etnico è radicato tra la gente. Ad un uomo di mezza età viene posta la domanda: “Perché i medici serbi non tornano a lavorare nel nuovo ospedale?” ed egli risponde, vagheggiando: “Per motivi politici”. Invece, la verità è testimoniata dalle loro case distrutte, sulle pareti delle quali vi hanno spalmato escrementi umani. A Prishtina vi è un intero quartiere bruciato e i quaranta dei quaranta milaserbi rimasti vivono nel terrore che un giorno toccherà anche a loro andarsene dalle loro case. Le chiese, anche le più antiche e preziose, sono state saccheggiate ed un prete ortodosso, serbo anche lui, predica messa sotto la scorta della NATO.
L’UÇK detiene il potere e la NATO ne subisce le pressioni, secondo le testimonianze della famiglia di Ymer Ymeri, ex-membro del partito di Rugova, e di un giornalista ucciso solo perché lo aveva intervistato. “Noi non abbiamo festeggiato l’Indipendenza. Perché mai dovremmo? Uno stato in cui gli albanesi uccidono altri albanesi non è uno stato indipendente.”, commenta la sorella del giornalista.
La seconda puntata del documentario, intitolata “Afghanistan”, ci racconta un’altra storia, quella del futuro correlato alla droga: ben 80 per cento di tutta la droga prodotta in Afghanistan per entrare in Europa passa dalle valli e dalle montagne del Kosovo. Tutto questo sotto gli occhi della NATO. Iacona intervistai nuovi terroristi dell’ UÇK ancora in armi sul territorio macedone e racconta la capillare infiltrazione nei Balcani dei movimenti islamici più radicali, con il sostegno attivo delle organizzazioni caritatevoli dei paesi del Golfo Arabico. E poi, risalendo le strade della droga che dal Kosovo passano per la Turchia e per l’Iran, il giornalista si inoltra in Afghanistan visitando le zone del contingente militare italiano e dove si avverte una preoccupante rivincita dei talebani, che, nel frattempo, ottengono sempre più consensi da parte dei civili e aumentano il loro potere grazie al traffico dell’oppio.
Ma tornando alla questione kosovara, vorrei ricordare alcuni frammenti di interviste rilasciate a diversi giornali dal più noto ed importante scrittore albanese, Ismail Kadare. Riguardo la situazione del Kosovo dopo la proclamazione dell’indipendenza commentò: “Gli albanesi sono stati un popolo straniero in Serbia. Loro non hanno nulla in comune dal punto di vista culturale con i serbi. Gli albanesi hanno una cultura e lingua diversa e per anni hanno dovuto vivere sotto l’amministrazione serba. Questo non è assurdo, è tragico.” (“Globus”, rivista croata, 05/03/08). E, in una minuziosa analisi sulle origini dell’odio tra kosovari e serbi, scrisse: “Una delle basi della strategia serba contro gli albanesi è stata la loro religione.
Certi che l’Europa cristiana avrebbe comunque appoggiato i serbi ortodossi contro gli “albanesi musulmani”, hanno fatto tutto il possibile perché la colorazione musulmana degli albanesi venisse messa in grandissimo risalto. E questo veniva accompagnato dallo sforzo contrario: minimizzare, e se possibile far sparire, la fede originale degli albanesi, il cristianesimo. Il fatto che né l’Europa né gli Stati Uniti siano caduti in questa trappola barbara costituisce una vittoria della civiltà occidentale, che si è svincolata con coraggio dai criminali serbi, salvando così la coscienza della cristianità europea da una grave macchia. Questo atto di emancipazione euro-americano avrà apprezzabili conseguenze positive nei rapporti dell’Occidente attuale con tutto il mondo musulmano.
E forse non è casuale il fatto che all’origine di questo atto ci sia il popolo albanese, questo popolo che può essere criticato per molte cose, ma non smetterà mai di essere elogiato per una ragione meravigliosa: la tolleranza religiosa. Gli albanesi hanno tre religioni: sono cattolici, musulmani e ortodossi. Da autentici balcanici quali sono, possono essersi scontrati per tanti motivi, ma mai per la religione. Questa immagine di civilizzazione risultava eccessivamente fastidiosa per i progetti antialbanesi dei serbi: perciò hanno fatto tutti gli sforzi possibili per romperla.”. (“La repubblica”, 03/05/09).
Ma ora che i serbi in Kosovo non ci sono quasi più, quale sarà la futura immagine di civilizzazione di questo paese?