All’indomani della pronuncia della Corte Internazionale di Giustizia sul Còssovo, sono apparsi dotti articoli di autorevoli e seri studiosi – e con alcuni mi onoro di condividere amicizia e stima reciproche – che cercano di dimostrare che l’indipendenza cossovara sia illegale.Io non contesto le loro argomentazioni scientifiche – un conto è la legalità un altro la giustizia – in quanto esse si basano su ben valide osservazioni geopolitiche di scenario e sul diritto internazionale dell’epoca di Helsinki 1975 (conferenza a cui l’Albania non volle partecipare, e fece bene: ritenendola una finzione giuridica a base reale spartitoria fra i due massimi trionfatori sul nazi-fascismo).
Che gli Stati Uniti d’America appoggino fattivamente gli albanesi dal 1999 è cosa ben nota, ma ai più forse sfugge che – sempre a causa di esigenze strategiche e quindi geopolitiche – per ben oltre quarant’anni, dal 1948 sino al defungere dell’Unione Sovietica, la Casa Bianca ha sostenuto ampiamente il despota Tito e la relativa corte, ai danni sia degli italiani (massacri delle foibe per pulizia etnica) che degli albanesi (sterminio dei cossovari e trattamento della relativa regione alla stregua di una colonia da tenere sottosviluppata rispetto all’etnia slava: per ciò cittadini di Serie B essendo di un’altra razza).
Siamo abbastanza grandi ormai (ahimè!), per non credere più ad un diritto che non sia fondato su elementi coercitivi. In parole povere se si commette un’infrazione ci sono i codici civile e penale che irrogano sanzioni attraverso l’apparato di polizia prima e l’ordine giudiziario dopo di uno Stato. A livello internazionale non è così. Innanzitutto perché la storia la scrivono i vincitori, e per sapere la verità vera, magari occorrono fra i cento e i duecento anni; e poi il diritto stesso, essendo una sovrastruttura del sistema di produzione si deve adeguare al secondo, e non sicuramente viceversa.
Nella storia chi decide non sono i concetti astratti di giustizia ed etica (auspici palingenetici religiosi-ideologizzanti, quindi praticamente inapplicabili nel nostro mondo), bensì la forza e la violenza. Non ci sono buoni e cattivi “di default” prima che il gioco inizi: chi ha la meglio fa passare l’altro per criminale e se stesso per unto della Verità. Storie vecchie come il cucco.
La liberazione del Còssovo ed il proprio potere politico sono nati dalla canna del fucile in particolari circostanze favorevoli. E mi duole dirlo, ma non per me, bensì – restando in Italia – per quegli orfani del piccì e per gli inani magniloquenti sessantottini (oggi cripto-antistatunitensi) che questa parola d’ordine enverista-maoista-vietnamita l’hanno dimenticata per farsi meglio spazio nei salotti che contano alla caccia di posti aurei, conduzioni televisive e incarichi di lavoro privilegiati. Che in Còssovo tantissimi genitori chiamino i loro figli Enver, vorrà pur dir qualcosa. Non li battezzano di certo Palmiru, Tito, Maksìmi, Valtèr, Silvìu, Pierferdinàndi, Gjianfrànku o Humbèrti.
Mi è particolarmente caro – a riprova che almeno la nèmesi storica abbia vinto – proporre ai lettori di «AlbaniaNews.it» un illuminante articolo di Noel Malcolm, professore ad Oxford. Esso è uscito su «The Guardian» il 26 febbraio 2008 , ed è stato tradotto in italiano da «Bota Shqiptare», ed è apparso sul N. 189 del 15-28 marzo dello stesso anno:“Kosova è Serbia? Chiedetelo agli storici” di Noel Malcolm“«Kosova è Serbia. Chiedetelo agli storici!» si legge sui manifesti improbabili sventolati dagli incolleriti manifestanti serbi a Bruxelles. È un invito molto lusinghiero per noi storici: non ci chiedono spesso di dire la nostra. Con questo non voglio tuttavia dire che tutti gli storici sarebbero d’accordo di esprimersi, se non altro perché gli storici non usano adoperare questo tipo di eterno indicativo presente.
La storia, per i serbi, è cominciata all’inizio del settimo secolo dopo Cristo, quando s’insediarono nei Balcani. La loro base di potere era fuori da Kosova, che la occuparono agli inizi del tredicesimo secolo, dunque la loro pretesa che Kosova era «la culla» dei serbi, è falsa.È vero, invece, che i serbi dominarono Kosova per circa 250 anni, fino alla conquista ottomana nella metà del quindicesimo secolo. Le chiese e i monasteri serbi arrivano da quel periodo, ma non c’è continuità tra lo stato medievale serbo e la Serbia di oggi più di quanto ce ne sia tra l’Impero Bizantino e la Grecia di oggi.
Kosova rimase territorio ottomano fino all’occupazione dalle forze serbe nel 1912. I serbi diranno che era una «liberazione», ma anche dalle loro stime ne viene fuori che la popolazione ortodossa serba nel territorio fosse meno del 25%.
La maggioranza della popolazione era albanese, e non diede il benvenuto al dominio serbo, dunque «occupazione» sembra la parola appropriata.
Ma legalmente Kosova non fu incorporata nel Regno Serbo nel 1912, rimase territorio occupato fino a qualche tempo dopo il 1918. Poi, finalmente, fu incorporata, non in uno stato serbo, ma in quello jugoslavo. E dopo una grande interruzione, la seconda guerra mondiale (1), Kosova rimase parte di una specie di stato jugoslavo fino alla fine del giugno 2006 (2).
Fino alla distruzione della vecchia Jugoslavia federale da parte di Miloševic’, Kosova ebbe un doppio status. Era chiamata parte della Serbia, ma era anche chiamata unità componente della federazione jugoslava. Prevalse il secondo status: Kosova ebbe il suo parlamento e governo ed era rappresentata direttamente a livello federale, accanto alla Serbia. Era, infatti, una delle otto unità componenti il sistema federale. Quasi tutte le altre unità sono ora diventati stati indipendenti. Storicamente, l’indipendenza di Kosova semplicemente completa il processo.
Quindi, Kosova è diventata un ex-stato della Jugoslavia, come vi direbbe qualunque storico.
Note della redazione di «Bota Shqiptare»(1) Nel 1939 gli italiani annessero l’Albania, e nel 1941 unirono Kosova ad essa, formando la cosiddetta Grande Albania. Con la fine della guerra, Kosova fu di nuovo inclusa nella Jugoslavia.(2) Anno in cui la Jugoslavia si sciolse formalmente (2 giugno 2006 con l’indipendenza del Montenegro)”.