Cara Europa,
mi chiamo Jack ho 28 anni e anche se dal nome potrei risultare inglese o americano, sono figlio di albanesi scappati da un Paese distrutto non dalla guerra, ma dal regime staliniano di Enver Hoxha.
In quello che tutti chiamano il Belpaese, l’Italia, i miei hanno trovato un futuro migliore; qui sono nato, ho studiato e lavoro. Qui ho anche imparato il dialetto del posto grazie ad amici e colleghi, ma il destino ha voluto che incontrassi una bellissima ragazza. Si chiama Nina, è figlia di romeni emigrati, anche loro, per lavoro e proviene da Maramures, una provincia situata nel nord della Transilvania.
Avevo 13 anni, quando, grazie a mia madre che ha affrontato senza mai mollare la lunga trafila burocratica, io, mio fratello e mia sorella abbiamo ottenuto la cittadinanza. Così, a 18 anni ho votato con gioia per la prima volta e continuerò a farlo, perché in un Paese dove si votava in base al censo, è giusto e dovere civico esprimere anche il voto di protesta. Ho scoperto, però, che posso votare in Italia e non nel mia terra d’origine.
Ho subito discriminazioni sulla mia pelle e per anni mi sono vergognato di essere albanese. Non conoscere la lingua degli avi non mi ha mai facilitato le cose con i connazionali. Quando sei piccolo pensi che sia bullismo, quando diventi grande capisci che è pura ignoranza.
Ho imparato a rifugiarmi nei libri e nella letteratura albanese e ho compreso che quel piccolo angolo dei Balcani aveva qualcosa da insegnarmi. Le leggende, la sua cultura raccontano che mantenere la parola data è fondamentale, che la famiglia è molto più che un vincolo di sangue: è il posto dove si tramandano gli insegnamenti per affrontare la vita.
Quando ho conosciuto la mia attuale fidanzata, mi ha detto di non aver mai votato né in Romania né per il Parlamento Europeo. La lunga trafila burocratica da intraprendere, per ottenere un tale diritto, è alquanto scoraggiante. Nina proviene da una cultura influenzata dalla Chiesa Ortodossa, motivo per cui a casa nostra si festeggiano due Pasque, ma lo stesso Natale. Il loro cibo è anche il mio, lei parla romeno, io parlo albanese, ma tra di noi comunichiamo in italiano.
Siamo figli di immigrati, siamo figli dell’Europa