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Home Notizie 2 Europe

Dall’Albania segni di continua transizione

Un analisi dell'Albania di oggi dopo tante vicende degli ultimi mesi

Edon Qesari
29 Settembre 2008
in 2 Europe
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A pochi mesi di distanza dalla tragedia di Gerdec, l’Albania, vera metafora dell’odierna instabilità balcanica, stenta a ritrovare una serena vita istituzionale. Per chi si ricordasse poco, l’appena menzionata vicenda ebbe luogo nel marzo di quest’anno quando una serie di vecchi depositi di munizioni esplosero a catena lasciando sulla loro scia 26 morti accertati e più di 300 feriti.

La zona coinvolta – pochi chilometri lontana dalla capitale Tirana – era diventata sede di un operazione congiunta Albania – USA per lo smantellamento e la distruzione di armi poco sicure che il Paese aveva ereditato dal passato regime comunista. Le cause di tale esplosione, oltre al banale errore umano, sembrano condurre alla pista del riciclaggio d’armi, del loro traffico e nello sfruttamento di personale assolutamente non qualificato. La pista delle indagini, tuttavia, non parrebbe fermarsi alle sole compagnie, albanese e americana, che per incarico governativo lavoravano in zona. Dimissioni – come quelle del ministro della Difesa albanese Fatmir Mediu – investigazioni, fino al coinvolgimento della stessa FBI nelle indagini, hanno da qualche mese a questa parte paralizzato la vita politica del Paese.

L’ultima notizia che giunge dal vicino Paese delle Aquile, datata 12 settembre, conferma la morte in condizioni misteriose di Kosta Trebicka, testimone chiave del processo sulle esplosioni e primo denunciatore del traffico d’armi che dall’Albania raggiungeva l’Afghanistan.

Più che mai incerto appare l’avvenire del governo di centro-destra guidato dall’uomo forte di Tirana, il primo ministro Sali Berisha. Sebbene, con cautela, si sia distanziato dalle responsabilità sulla tragedia delle esplosioni, la morte di Trebicka – la cui testimonianza metteva al centro del losco giro d’armi anche la stessa famiglia del premier – complica la sua attuale posizione. Lo sfondo mafioso che ha accompagnato l’omicidio, insieme alle indagini che sembrano coinvolgere persone di primaria importanza nel governo, hanno incupito l’atmosfera democratica di un Paese che vede il suo futuro solo nell’integrazione europea.

Ad accorgersene sono stati per primi i socialisti di Edi Rama (sindaco attuale di Tirana), i quali hanno subito iniziato le trattative d’intesa con l’altra costola dell’opposizione, la rivale LSI (Movimento Socialista per l’Integrazione), per meglio sfruttare politicamente la situazione. E l’accerchiamento di Berisha pare ancor più evidente da quando uno dei suoi alleati, il Partito dell’Unione dei Diritti Umani, rappresentante della minoranza greca e potentissimo politicamente, dà evidenti segnali di rottura con la maggioranza governativa.

Tuttavia, come varie analisi del passato dimostrano,  pretendere di avere la bacchetta magica sul futuro dell’Albania è cosa assai poco saggia. Troppe volte si è parlato di un Berisha al limite della propria vita politica e troppe volte questo camaleontico personaggio ha saputo rinascere. Paradigmatico è sempre stato anche il suo modo di tenere sotto freno i colleghi della coalizione. Le ribellioni in seno al suo governo sono state molte, ma senza cambiarne fisionomia; e sicuramente con meno rimpasti ministeriali rispetto alle precedenti legislature egli ha saputo reggere il governo anche in balia di grandi accuse di corruzione – merito non solo suo del resto.

L’alter ego suo, il capo socialista Edi Rama, sebbene pieno di enfasi occidentalizzanti, negli anni ha avuto sempre difficoltà a tenere unita la sua coalizione. Colpa di vecchie strutture burocratiche del suo Partito, ma soprattutto colpa di un’aria “retrograda” che tutt’oggi permane in certi partiti definiti “progressisti” (è il caso del LSI).

Come nel caso della vicina Italia, anche l’Albania discute del rinnovamento di una politica che dall’inizio anni ’90 non cambia nei suoi componenti. Ma qui la discussione non verte intorno all’età media dei politici; piuttosto gira intorno al loro linguaggio dove – a parte il significativo cambiamento di strategia ultimamente avviato dal Partito Socialista – combattere l’avversario non per strada ma esclusivamente tramite elezioni e in Parlamento non rientra ancora nella mentalità comune. Troppo poco per un Paese che è alla continua – e a volte testarda – ricerca della sua identità occidentale.

Pubblicato sul sito online: Il Legno storto
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Argomenti: Edi RamaEdon QesariGërdecPolitica AlbaneseSali BerishaTirana

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