In occasione delle elezioni del 23 giugno, il messaggio elettorale va letto su due piani. In primo luogo, in relazione alla democrazia albanese in generale. In secondo luogo, in relazione ai partiti politici in particolare.
In relazione alla democrazia albanese, il risultato del 23 giugno costituisce un momento di speranza. Infatti, ci ha dimostrato che il vero motore della democrazia albanese non è l’elite locale né tanto meno quella internazionale, bensì il popolo albanese stesso.
Invece in relazione ai partiti politici, il messaggio elettorale è pieno di ombre. Se da un lato abbiamo una sospensione del governare, il che lo dimostra la profonda perdita del PD, non abbiamo una sospensione del mal-governare, come dimostra l’accrescimento di LSI.
Vediamo questi due momenti più in dettaglio.
Per quanto riguarda la democratizzazione albanese, le elezioni del 23 giugno segnano senza dubbio un passo più che positivo. Il processo di votazione e conteggio dei voti è stato di una serenità senza precedenti. Accettazione del risultato finale e rotazione del governo in modo quieto e democratico. Tutto ciò non si deve sicuramente alle istituzioni elettorali, né tanto meno alla presenza del fattore internazionale. Questo processo esemplare si deve unicamente al risultato, essendo quest’ultimo ben chiaro paralizzò qualsiasi tentativo di manipolazione.
Un altro momento che effonde luce e speranza è il rifiuto del regionalismo politico da parte dell’elettorato. La politica regionalistica è frutto dell’elite politica albanese sia di destra che di sinistra.
La destra di Berisha, pur usando raramente termini regionalistici, ha inserito man mano sempre di più i propri militanti fedeli all’interno di varie istituzioni, che spesso e volentieri corrispondevano ai loro bastioni del nord. Questa era una diretta conseguenza di una riduzione della dimensione rappresentativa del PD, che seguiva sempre di più una politica clientelistica regionale. A livello dell’articolazione, questa politica ne traeva vantaggio anche per il fatto che Berisha continuava ad invitare il popolo a non votare Rama rappresentandolo come un anti-settentrionale, o anche l’arroganza con cui Josefina Topalli marcava la propria identità settentrionale, spesso rifiutando apertamente l’albanese standard.
La sinistra di Rama, tendeva spesso a vedere il nord come un bastione del PD, come un elettorato immobilizzato nella sua identità primordiale. Questa logica si identificava spesso col prototipo del montanaro del nord che mentre affoga nell’acqua alza su le due dita(gestualità usata spesso da Berisha).
Dall’altro lato, Tirana veniva paragonata ad una piccola America rispetto alla gente del nord che vi era scesa, comparando quest’ultimi agli stranieri, ai rifugiati italiani in America o a quelli albanesi in Grecia o in Italia. Inoltre durante la campagna elettorale veniva evidenziato più volte il fatto che Rama e sua moglie fossero di origini urbane, di Tirana.
Il frutto delle politiche di Berisha che creava istituzioni sempre più regionalistiche, spingeva i fautori del PS a guardare con sospetto il Nord.
Il risultato era un’articolazione politica che si basava sempre meno sulle divisioni ideologiche e sociali, ma sempre più su quelle regionalistiche.
Sotto questo aspetto, l’elite politica albanese (con qualche eccezione come il LSI) ha giocato un ruolo alquanto regressivo in relazione al paese. Invece di contribuire nel superare queste divisioni regionalistiche, essa spesso alimentava il frazionamento regionale.
Proprio sotto questo aspetto, il risultato del 23 giugno era alquanto emancipatorio, indipendentemente dal vincitore o dal perdente. Innanzi tutto, il risultato ha dimostrato che non si può trattare l’elettorato come un bastione regionale. Secondo, il risultato ha dato un colpo basso alla mobilitazione politica regionalistica. La votazione della sinistra al nord indica che l’elettorato cerca l’integrazione e non le divisioni tra regioni. Poiché i problemi che affrontano gli albanesi sono sempre gli stessi sia al Nord che al Sud. Il fatto che questo risultato abbia colto di sorpresa anche la sinistra dimostra appunto quanto impreparata fosse una buona parte di essa nel vedere il nord in termini non regionalistici.
Per cui possiamo dire che, dopo le elezioni del 23 giugno, spetta all’elite politica mostrarsi all’altezza dell’elettorato. Questo va evidenziato perché il nostro modello di democratizzazione è oltre modo elitario e tende a vedere i problemi presso il popolo, mentre le soluzioni presso l’elite politica locale o internazionale. I politici, gli analisti e gli intellettuali albanesi hanno assunto un approccio elitario, da un lato ispirato dal modello di Faik Konica, dall’altro viene rafforzato dal processo elitario dell’integrazione in UE.
In questo tipo di approccio, l’elite si lamenta spesso dell’ignoranza del popolo rispetto al quale innalza e differenzia se stessa.
E’ un approccio problematico non solo perché si basa sul razzismo culturale o perché è di impronta orientale, andando ben oltre Konica. Il problema consiste nel fatto che un tale approccio ignora completamente la realtà empirica. In questi 20 anni di democrazia è stato il popolo a portare cambiamento, sia nel caso della caduta del regime comunista nel 1992, sia durante la rivolta popolare del 1997, sia durante le elezioni del 2005 e infine anche ora. L’elite era troppo legata al potere e allo status quo per poter essere il motore del cambiamento; di conseguenza, essa è servita più come guida. Perciò le elezioni attuali possono servire come una specie di correttore della prospettiva dominante elitaria che crede nella democrazia proveniente dall’alto in basso, cioè Europa – Albania, elite- popolo, città- campagna.
Finora ci siamo occupati del potenziale positivo delle elezioni del 23 giugno in relazione alla democrazia albanese in generale. Ora cercheremo di leggere il voto dell’elettorato in relazione alle forze politiche esistenti. Sotto questo aspetto le luci si intrecciano fortemente con le ombre più scure.
Due sono i momenti che si devono prendere in considerazione nel risultato attuale. In primo luogo, la perdita del PD. In secondo luogo, la sensibile crescita di LSI. Queste sono anche le due novità esclusive di questa campagna. Pochissimi si aspettavano una così profonda perdita del PD ed una così drastica crescita di LSI.
Per quanto riguarda la perdita del PD, credo che gli analisti attuali abbiano ragione quando affermano che si trattava di un voto palesemente contro il premier Berisha.
Tuttavia, non bisogna tralasciare il fatto che la perdita del PD va letta anche come una conseguenza del rifiuto di Berisha di rendere pubblico la votazione del 2009. Anche nel 2009 l’elettorato albanese ha votato contro Berisha come premier. Nelle elezioni del 2009, PS e LSI insieme hanno ottenuto più voti della coalizione del PD. Questo era un palese voto anti- Berisha.
In seguito, dopo la coalizione con LSI, Berisha cominciò a comportarsi come il premier di una maggioranza politica e non di una maggioranza semplicemente matematica. Nonostante il verdetto dell’elettorato, egli accrebbe il proprio potere mettendo sotto il proprio controllo anche le parti “naturali” dello stato, come ad esempio il Presidente. Questo era un comportamento politico alquanto arrogante. Intrecciandosi in aggiunta al peggioramento economico, ha indotto l’elettorato a ribadire anche più energicamente il messaggio del 2009.
Tuttavia, il voto anti- Berisha non va interpretato semplicemente come un voto idealista che ha condannato il mal-governo attuale. Nelle elezioni del 23 giugno il voto “idealista” della protesta si è intrecciato strettamente col voto pragmatico del lavoro. Altrimenti non ci sarebbe altra spiegazione alla spettacolare crescita di LSI. E qui ci addentriamo nelle parti oscure del messaggio elettorale.
Il vero vincitore del 23 giugno è stato il partito LSI e il suo modello politico clientelistico: lavoro in cambio del voto. Non a caso lo slogan principale di questo partito è stato il lavoro. Naturalmente, non va negata nemmeno la grande organizzazione sul terreno di questo partito. Eppure il punto croce di LSI rimane la garanzia del lavoro per i suoi membri in una società in cui la disoccupazione è una delle più gravi piaghe sociali.
Il modello “ lavoro in cambio del voto” è tipico di tutti i partiti. Ma, durante queste elezioni, LSI aveva due vantaggi. Innanzi tutto, il partito LSI si era già garantito la proprio presenza al governo indipendentemente da chi vincesse le elezioni. In secondo luogo, si era assolta moralmente dal momento in cui Rama decise di coalizzarsi con Meta.
Infatti, dopo questa coalizione, la carta morale è stata cancellata dal dizionario della campagna elettorale.
In breve, votare Meta non era più una colpa ed egli non era per nulla peggiore di Berisha o Rama. LSI era in una posizione tanto comoda quanto privilegiata, prima e durante la campagna elettorale; non veniva più criticato né dalla destra, né dalla sinistra. Dall’altro lato, un voto in favore di LSI portava vantaggi maggiori e più sicuri rispetto ad un voto al PD o al PS.
Presso il LSI le dimensioni del partito sono ancora minori rispetto alle dimensioni del potere che questa forza possiede.
Perciò, oltre la luce, il risultato del 23 giugno rappresenta anche un momento d’ombra. Esso dimostra la sopravvivenza del modello del clientelismo politico. Il modello in cui prevalgono i militanti dei partiti presso l’amministrazione, centrale o locale, presso le istituzioni o le imprese statali. Il modello in cui lo Stato è a servizio della clientela politica e non a funzione della società in generale. Forse il modello clientelistico del PS sarà più ampio rispetto a quello del PD.
Tuttavia, abbiamo a che fare con lo stesso modello che indebolisce l’amministrazione pubblica, che promuove uno stato in balia degli interessi privati, e di conseguenza rende difficile il governare in funzione dell’interesse pubblica.
In questo contesto, il 23 giugno ha dimostrato ancora una volta l’influenza sempre maggiore dei businessman, dei più forti, o meglio dei forti- businessman nel processo elettorale.
La proporzione regionale non è ancora riuscita a “pulire” il parlamento. Il Parlamento che ne esce da queste elezioni sarà pieno di businessman forti. Spesso, più che difendere gli interessi dei cittadini, questi individui vedono il Parlamento come uno scudo protettivo per se stessi. Questa è un’altra ombra che affievolisce ma ancora non oscura del tutto la luce del messaggio elettorale del 23 giugno.
Articolo di Blendi Kajsiu. Pubblicato sul quotidiano Panorama del 28 giugno 2013. Titolo originale “Dritëhijet e mesazhit të 23 qershorit”.
Tradotto per AlbaniaNews da Daniela Vathi.