L’Istituto albanese per gli Studi internazionali ha effettuato ultimamente un sondaggio sulla stato della democrazia in Albania, la comparazione tra il periodo del regime comunista e quello della transizione democratica, la sicurezza nazionale e l’eventualità dell’unione con il Kosovo. Tante le chiavi di lettura, Albania News vi offre i dati principali.
Spesso in Albania si sente parlare di una nostalgia incondizionata nei confronti del regime comunista. Uno schiaffo alla fragile democrazia liberale albanese che si racchiude nell’espressione “Si stava meglio quando si stava peggio”.
Difficile tracciare l’identikit del nostalgico, ma tirando le somme potrebbe essere per lo più un cittadino sopra i quaranta, legato a valori etici e tradizionali, abituato ad uno stato onnipresente e onnipotente, licenziato o declassato negli ultimi vent’anni. Anche le ragioni sono molte, ma almeno su queste ha cercato di fornire qualche risposta l’Istituto albanese per gli Studi Internazionali (AIIS) che il 7 dicembre scorso ha presentato nel corso di una conferenza i risultati del sondaggio “
Le percezioni della società albanese sulla democrazia e lo stato dopo vent’anni”.Un campione di 1200 cittadini residenti in 10 città albanesi ha risposto a 35 domande delle quali 18 strettamente legate alla comparazione tra il periodo del regime comunista e il ventennio della transizione democratica sulle condizioni di vita, la qualità dei servizi, la sicurezza dei cittadini, l’applicazione della legge e le libertà fondamentali. Per ciascuno dei due periodi, gli intervistati potevano fornire sei risposte possibili: “non so”, “pochissimo”, “poco”, “mediamente”, “molto”, “moltissimo”.
Tante le chiavi di lettura, soprattutto se si incrociano i dati con le fasce d’età, l’istruzione, l’occupazione, le risposte e i quesiti per ciascun periodo, ma cercheremo di fornirvi i dati basilari e principalmente contrapposti tra loro, considerando il campione come un unico corpo.
Socialismo vs. capitalismo
Sul versante delle libertà fondamentali, la maggior parte dei cittadini albanesi concorda che durante il regime comunista non c’era libertà di parola (49,7% pochissimo, 23 % poco), non c’era libertà di professare la propria fede (63% pochissimo, 26% poco), venivano violati i diritti individuali (29,8% moltissimo, 44% molto), l’incolumità dei cittadini era minacciata dallo stesso stato (18,6 % moltissimo, 50,5% molto), e il paese era isolato (40,3% moltissimo, 34.3% molto).
Invece sul versante dei valori, la situazione si capovolge. Secondo il 77,5 % dei cittadini interpellati (34,2% moltissimo, 43,3% molto) la famiglia albanese era più forte durante il regime. Percentuali simili anche per la fiducia reciproca tra cittadini: il 69 % degli intervistati (21,5% moltissimo, 46,5% molto) pensa che era maggiore prima del 1990.
Dall’altra parte, nella percezione dei cittadini albanesi le condizioni di vita sono migliori durante gli ultimi vent’anni. Il 32,6% le considera buone (1% ottime, 31,6% buone), il 41,1% medie, il 26,3% cattive (2,5% pessime, 23,8% cattive). La forbice della povertà per chi vive in pessime condizioni durante il regime si è ridotta di circa 25 punti, passando dal 27,2 al 2,5%, invece la percentuale di chi vive in cattive condizioni è passata dal 43,8% al 23.8%. Sorprende il fatto che solo il 2,5% degli intervistati ha dichiarato di aver avuto buone condizioni di vita prima del 1990 (1,2% ottime, 1,3% buone).
Pareri più equilibrati per quanto riguarda la qualità dell’istruzione, della sanità, e l’impegno dei governi albanesi nel garantire la sicurezza e il tenore di vita dei cittadini. La qualità dell’istruzione sarebbe stata molto buona prima del 1990 per il 41% (19% moltissimo, 23% molto) degli interpellati, invece hanno lo stesso parere sul periodo 1991 – 2010, il 20% di loro (5% moltissimo, 15% molto).
Ma per il 42%, negli ultimi vent’anni la qualità è media, rispetto al 23% che fornisce lo stesso parere per l’istruzione del regime comunista. Più negativa la percezione sulla qualità della sanità pubblica. Per il 52,3 % dei cittadini (21,5% pochissimo, 30,8% poco), negli ultimi vent’anni si può definire cattiva. La stessa definizione sul periodo del regime comunista lo forniscono il 30,9% (9,6% pochissimo, 21,2% poco). Sullo stesso periodo, il 31,1% sostiene che la qualità era media, contro il 21,2% che si esprime così per gli ultimi vent’anni.
Interessante il dato sull’impegno dei governi albanesi nel garantire il tenore di vita dei cittadini. Il 27% degli intervistati (4% moltissimo, 23% molto) affermano che i governi si siano adoperato molto dopo il 1990 per garantire un tenore di vita migliore, rispetto al 7 % (0% moltissimo, 7% molto) che afferma lo stesso sul periodo del regime comunista. Dall’altra parte, questi dati riflettono le risposte di chi sostiene che i governi si siano impegnati poco: per il 30% (13% pochissimo, 17% poco) durante l’ultimo ventennio, e per il 62 % (29% pochissimo, 33% poco) durante il regime.
I valori più vicini in assoluto sono quelli del quesito sull’impegno dei governi albanesi nel garantire la sicurezza dei cittadini. Il 37% (12% moltissimo, 25% molto) considera questo impegno alto durante il regime, e il 33% (5% moltissimo, 28% molto) lo considera tale dopo il 1990. Il 29% si esprime per un impegno medio prima del 1990, e il 25% da lo stesso valore per gli ultimi vent’anni. Invece per il 33% (6% pochissimo, 27% poco), i governi albanesi si sono adoperati poco sul versante della sicurezza prima del 1990, e il 36% (8% pochissimo, 28% poco) pensa lo stesso per il periodo dopo il 1990.
La corruzione, piaga endemica
Il sondaggio prende in considerazione anche la corruzione e le attività illegali prima e dopo il 1990. Intanto, c’è da confermare che la cultura delle tangenti esisteva anche durante il regime. Il sondaggio non si sofferma sulla modalità, ma il 26,3% degli intervistati dichiarano di aver dato una tangente anche durante il regime comunista e il 57,7% lo ha fatto anche durante gli ultimi vent’anni. Dall’altra parte, il 66,3% prima del 1990, e il 32,7% dopo il 1990 asseriscono di non aver dato delle tangenti.
Diversa la posizione dei cittadini sull’importanza della tangente nell’avere in cambio un servizio pubblico. Per il 70% degli intervistati (33% moltissimo, 37% molto), negli ultimi vent’anni è molto importante darla, invece nessuno (0%) pensa lo stesso per il periodo del regime comunista. Il 64% considera che sia stato poco importante farlo durante il regime e solo un 13% sostiene che sia stato mediamente importante. Invece il 24% non ha un’opinione in merito.
Sulla stessa linea anche le risposte dei cittadini sulle attività illecite. Il 76% (47% moltissimo, 29% molto) afferma che queste siano molto sviluppate in Albania dopo il 1990, e solo l’1% lo sostiene per il periodo precedente il 1990. Ovviamente agli aspetti delle tangenti e dell’illegalità è legato anche il senso del rispetto della legge, che data la natura repressiva dello stato albanese durante il comunismo era molto alto. Il 78,8% degli intervistati (54,5% moltissimo, 24,3% molto) pensa che le leggi albanesi venivano rispettate molto, e il 77,1% di loro (31,5% moltissimo, 45.6% molto) sostiene che i cittadini albanesi si attenevano molto alle norme in generale. Invece negli ultimi vent’anni, il 38% (14,2% moltissimo, 23,8% molto) pensa che le leggi vengano rispettate molto e il 37,3% mediamente. Più negativo il trend sul rispetto delle norme in generale: il 60,3% (29,3% pochissimo, 31 % poco) sostiene che ciò avvenga poco.
La transizione incompiuta
Dieci domande del sondaggio riguardano solo il periodo della transizione democratica. Sembra che i cittadini albanesi abbiano le idee chiare sulle cause del malfunzionamento della democrazia liberale negli ultimi vent’anni. La corruzione, la classe politica, la lotta per il potere e le attività illegali sono le prime quattro in lista.
Per quanto riguarda il quesito sulle fonti di ricchezza dei cittadini albanesi abbienti, il 26% degli intervistati elenca la corruzione come la fonte principale, il 19% le attività imprenditoriali illecite, il 16% la funzione pubblica, il 4% gli schemi piramidali e il 3% il crimine organizzato. Insomma, nella percezione degli intervistati, il 68% degli albanesi ricchi, è diventato tale grazie alle attività non ammesse dall’etica cittadina, e solo il 23% avrebbe guadagnato la propria ricchezza grazie al lavoro o altre fonti lecite: l’8% per via delle attività imprenditoriali legali, un altro 8% per via degli investimenti intelligenti, il 3% per via della redistribuzione delle proprietà, l’1% grazie ai familiari all’estero, un altro 1% grazie ai contatti con l’estero e solo il 2% grazie al lavoro duro.
Inoltre, il 28% degli intervistati è pienamente d’accordo e un altro 28% parzialmente d’accordo che in Albania alcuni cittadini stanno sopra la legge. Chi sarebbero costoro? Al primo posto con il 89% dei consensi i politici, al secondo con il 66% le forze dell’ordine, al terzo posto con il 61% i criminali, al quarto posto con il 60% i ricchi e al quinto posto con il 56% le persone con i legami giusti. Per di più, il 39% degli intervistati è pienamente d’accordo e il 33% di loro parzialmente d’accordo che durante questo periodo molte persone si occupano di attività illecite.
Quindi, nella percezione degli intervistati, la classe politica sarebbe il male principale della democrazia albanese. Per il 62% i politici non hanno mantenuto le loro promesse, per il 33,3% lo hanno fatto in parte e solo per il 0,1% le hanno mantenuto pienamente. Il problema principale della politica albanese secondo il 35,1% degli intervistati è la lotta per il potere, seguito dai politici (Sali Berisha 11,3%, Edi Rama 5,7%, gli altri politici 5 %), la mancanza di libere elezioni (il 18,9%), e la mancanza dell’esperienza democratica (il 13,2%). Inoltre, il ruolo fondamentale nella democratizzazione del paese spetta alla comunità internazionale per il 48,9% degli intervistati, ai cittadini per il 28,2%, ai partiti per il 12,7% e al governo per il 9,1%.
Dall’altra parte, il 22,8% considerano l’Albania un paese pienamente democratico, il 56,8% più democratico che illiberale, il 14% più illiberale che democratico e solo il 6,5% pienamente illiberale. I cittadini non sembrano soddisfatti neanche dell’andamento dell’economia albanese. Il 60,4% si esprime insoddisfatto (27% molto insoddisfatto, 33,4% insoddisfatto), il 21,6% mediamente soddisfatto e solo l’8,3% soddisfatto (0,1% molto soddisfatto, 8,2% soddisfatto). Dati questi che si riflettono anche sulle principali minacce al futuro degli albanesi: il 31,9% considera come prima minaccia l’eventualità di non avere mezzi economici per mantenere la famiglia, il 17,9% la perdita del posto di lavoro, l’11,9% la condizione abitativa e il 5,9 le malattie in famiglia.
La sicurezza nazionale
Le ultime sette domande riguardano la sicurezza nazionale e l’eventualità dell’unione con il Kosovo. Per il 26% dei cittadini albanesi, altri stati hanno influenzato i governi albanesi dopo la caduta del regime, per il 35% non c’e stata nessuna influenza, invece il 39% non si esprime. Degli stati che hanno avuto un’influenza, i risultati riflettono i trend migratori, i legami storici e i principali partner commerciali dell’Albania: l’Italia è al primo posto con il 44% delle preferenze, la Grecia al secondo con il 35%, gli Stati Uniti al terzo con il 12% e la Serbia al quarto con il 9%.
Invece la percezione sugli stati che minaccerebbero la sicurezza nazionale riflette le dinamiche dei nazionalismi balcanici. Intanto, il 43% nega che possa esistere una minaccia in questo senso, il 39% non si esprime e solo il 18% percepisce una simile minaccia. Ovviamente al primo posto è la Serbia con il 51,6% delle preferenze, al secondo la Grecia con il 47,9% e addirittura al terzo posto l’Italia con lo 0,5%.
Sull’unione con il Kosovo le posizioni sono diverse. Solo il 9% considera l’unione come un processo positivo, il 35% negativo e il 37% né positivo, né negativo. Inoltre, sempre il 9% valuta come pienamente realizzabile l’eventualità dell’unione, e nel caso di un referendum il 39% si esprimerebbe a favore, il 23% contro, il 21% si sarebbero astenuto e il 18% non avrebbe neanche partecipato.
Il sondaggio “Perceptimet e shoqërisë shqiptare për demokracinë dhe shtetin pas njëzet vjetësh”, fa parte di un progetto più ampio intitolato “Twenty Years After: Rethinking Democracy and State in Albania”, realizzato dall’Albanian Institute for International Studies (AIIS), in collaborazione con Instituti Shqiptar i Mediave, la Fondazione tedesca Friedrich-Ebert (FES) e l’ong Balkan Trust for Democracy (BTD). Per maggiori informazioni visitate il sito oppure contattate l’AIIS all’indirizzo e-mail [email protected].