Oggi ricorre il primo anniversario dalla morte di un grande artista albanese, Maks Velo (31/08/1935-07/05/2020).
Architetto di formazione, la sua vena artistica trovò la sua massima espressione nella pittura. Una pittura moderna, piena di colore e “occidentale”, al di fuori dei canoni del realismo socialista, che nella Tirana di fine anni ‘50 e anni ‘60 “saltava subito agli occhi, impressionava” come afferma il suo grande amico e famoso scrittore Ismail Kadare.
La ventata di modernità e di libertà portate dalla sua arte non piacquero al regime comunista che, con la complicità di diversi suoi colleghi artisti pronti a dichiararlo pubblicamente portatore dell’arte occidentale in patria, lo condannò all’età di soli 33 anni a 8 anni di prigione nel carcere di Spaç. La quasi totalità delle sua opere, 248 tra dipinti a olio, disegni e sculture in legno, venne confiscata e bruciata.
All’uscita di prigione, rifiutandosi di collaborare con la polizia segreta fu mandato a lavorare in una fabbrica di abrasivi, fino alla caduta del regime comunista. Ma nulla, nemmeno il carcere più duro e l’isolamento della vita da ex carcerato, riuscirono a fermare il suo impeto creativo. Di notte, al termine del lavoro nella fabbrica, si mise dapprima a ridipingere e a ricostruire con ricordi e vecchie fotografie i suoi dipinti perduti, e poi cercò nuove ispirazioni, per poi esprimere liberamente uno stile nuovo, graffiante e al tempo stesso essenziale, variopinto e al tempo stesso primitivo, partecipando dopo la caduta del regime a diverse mostre internazionali. Il dramma da lui vissuto e la sua denuncia nei confronti della dittatura vennero da lui elaborati ed espressi, oltre che nella pittura, in diversi libri e racconti.
In uno di questi, “Çarçafet mungonin” (“Le lenzuola mancavano”), tratto dalla raccolta “Përkthyesi” (“Il traduttore”), le lenzuola dei carcerati di Spaç stese ad asciugare al sole si tramutano nella sua mente in tele pronte per essere dipinte, dove sfogare la sua creatività e tener viva la speranza.
L’urgenza interiore di esprimersi, il suo ardente impulso creativo diedero a Velo la forza di sopravvivere e di trasformare in arte i drammi vissuti.
Ecco alcuni estratti del suo racconto.
“Smontati da lavoro, la luce cadeva dal lato opposto e le lenzuola si tramutavano in una superficie di carta distesa di migliaia di metri quadri. Disegnavo con la mente. Disponevo linee che si estendevano senza fine, poi collocavo punti di diverso spessore, gettavo con forza macchie, riprendevo di nuovo la linea e disegnavo curve morbide e attorcigliate, tracciavo linee parallele, facevo ritratti e mi accingevo a comporre figure, e poi gruppi di figure in movimento, disegnavo interi cicli”…
“Passavo da un lenzuolo all’altro, uno piu’ bello dell’altro da dipingere. Mi sembravano tele distese dove poter allungare la mano per fare grandi lavori’’…
“Dietro le lenzuola vedevi ombre leggere farsi poi piu’ forti, silouette in movimento. Erano i lavoratori liberi che salivano per la via caricati con le casse di dinamite per fare le esplosioni. Poi il lenzuolo svolazzava, si muoveva e saliva sospinto dal vento, come la sottoveste di una donna sollevata dal vento e io guardavo con desiderio le sue gambe appena scoperte. Teatro dell’assurdo.’’…
“Ora nello studio avevo carta di tutte le marche, dimensioni, avevo tele per dipingere, avevo anche carta per scrivere. Le lenzuola mancavano!’’
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“Kur zbrisnim nga puna, drita binte nga ana tjetër dhe çarçafët bëheshin si një letër e hapur me mijëra metra katrorë. Vizatoja me mend. Vendosja vija qe zgjateshin e zgjateshin pa mbarim, pastaj puntoja pika me trashësi te ndryshme, hidhja me fuqi njolla, merrja prape linjën dhe bëja kurba të buta dhe të kapërthyera, hiqja vija paralele, bëja portrete dhe filloja të kompozoja figura, pastaj grupe me figura në lëvizje, bëja cikle të tëra’’…“Kaloja nga njëri çarçaf në tjetrin, njëri më i bukur se tjetri per t’u pikturuar. Më dukeshin si telajo të tendosura ku mund të zgjasja dorën për të bërë punë të mëdha’’…
“Mbas çarçafëve shihje hije të lehta, pastaj më të forta, silueta në lëvizje. Ishin punëtorët e lirë në rrugë që ngjiteshin të ngarkuar me arkat me dinamit për të bërë shpërtimet. Pastaj çarçafi lëkundej, lëvizte dhe ngjitej lart nga era, si këmisha e brendshme e një femre që ngrihet nga era dhe unë shija me dëshirë këmbët e saj të zbuluara pak. Teater absurd.’’ …
“Tani në studio kisha letra nga të gjitha markat, dimensionet, kisha telajo kanavacë, kisha edhe letra për të shkruar. Çarçafët mungonin!’’