Invitare vuol intendere, almeno nel gesto compiuto dal mio pensiero, un’ apertura che non sia semplicemente un aprirsi all’altro, cioè al dialogo (quantomeno non soltanto ciò). Nel dire “invito”, dico “vi invito a quel raccontarsi” che è un travaso di ciò che vi riempie, come identità e personalità, mediante il linguaggio.
Vi è uno spazio vuoto, uno spazio che può e vuole accogliere la nostra voce. Questo spazio vuole essere il palcoscenico di una ancora-non-detta identità, una velata identità, coperta per discrezione e timidezza. “Noi” cioè io, tu, lui e lei! Questo noi è già identità, una nuova identità divenuta segno sui volti di tutti noi, dei nostri figli. Questo spazio-tempo in cui noi esistiamo acclama, vi acclama, non attende altro che il brusio delle vostre voci, fermento e vitalità.
Usciamo dalla discussione “classica”. Quella che ci vuole ospiti, soggetti resi oggetto di una prassi che tanto si alimenta con termini quali “integrazione”, “tolleranza” e quanto di altro rimane una scatola vuota per paura oppure per carenza di volontà politica. Questa prassi nelle mani di una tracotante burocrazia consuma le nostre voci: “Noi” diviene identità consumata tra farraginose fauci, ontologicamente insensibili alla umana particolarità.
Vivere non è mai stato solo una questione di essere ben accetti, ma il più delle volte e necessariamente un essere colti nella misura in cui si è. La nostra misura, ciò che noi siamo è anche ed inevitabilmente misura di questo spazio, di questa terra in cui viviamo, di queste strade e vicoli che ci hanno visto ridere e piangere. Ci appartengono e vi apparteniamo, questo a prescindere da qualsiasi umana volontà, accondiscendente oppure contraria alla nostra prossima e futura presenza cioè permanenza.
Raccontarsi a partire dall’origine di questo viaggio verso questa nostra comune misura che accoglie e raccoglie il nostro vissuto, le nostre esperienze. Partiamo dal punto, dalla partenza, dolorosa che sia, per poi continuare oltre.
E non c’è bisogno di essere o non essere cittadini, entità giuridiche con pienezza di diritti civili e politici per nascita oppure naturalizzate tali. Non stiamo parlando di quei contesti, luoghi del discorso, che non possono crearla, ma si presume debbano riconoscere identità di già maturata altrove ( l’ altrove che è la vita, là fuori nei spazzi d’ europee piazze).
Si può quindi raccontare il punto: partenza, incontro/scontro. Scegliete la forma che volete e più si addice al vostro modo d’essere o stato emozionale del momento: prosa oppure versi, poca importanza ha. Iniziamo a riempire questo nostro spazio-tempo delle nostre voci.
[author title=”Edvin Kukunja” image=””]Scrittore e poeta albanese[/author]