Un giorno, lo spazio asttratizzabile al quale possiamo poggiare un piede per costituire identità, volontà ed intenzionalità di ogni umana esistenza. Un giorno è poca cosa ma è già abbastanza per poter indicare un uomo, riconoscerlo in mezzo alla scostante folla dei ignoti ed ricostruire in qualche modo la sua storia, il suo percorso consumatosi fino all’istante necessario agli astanti sguardi per vederlo, per coglierlo nella sua misura. Un giorno può benissimo essere sufficiente per formulare una qualche previsione sulla sorte di una individualità ben circoscritta nel pensiero e nel atto.
Nello spazio della memoria ritrovo numerosi giorni come questo, istanti portanti sulla loro superficie il segno indelebile d’un divenire, che è fato o destino dirsi voglia. La voce è soffocata dalla densa massa di consapevolezza la quale riveste e riempie spazio, realtà. L’origine, ecco, queste righe, poche, sono uno sguardo rivolto all’origine. Ma un’ origine che non è inizio d’un tutto, il tutto che posso essere io, tu, lui quali contenitori di vita donataci dalla Madre Natura oppur Dio, divinità.
Insomma, poco importa! Quel che qui interessa è il punto d’inizio di questo tutto che è la nostra storia: come siamo finiti qui, con indosso tali vesti. Com’è che siamo finiti in questo girone dantesco, in questo limbo quali anime di chi è arrivato in anticipo oppure troppo prematuramente al banchetto della celebrata cittadinanza: anime senza una terra, spiriti condannati a soffrire lungo gli spazi d’una lingua e di una cultura che ci appartiene ma che ci disconosce.
Noi siamo respinti, siamo denigrati mediante l’utilizzo strumentale di una lingua proprio nelle sue piazze, nelle sue vie, nei suoi giardini, lo spazio dei quali è riempito d’ un linguaggio che costruisce distruggendo desideri, sogni ed identità.
Noi siamo politicamente appetibili, economicamente inservibili e praticamente convenienti e strumentalizzabili ad ogni evenienza. Il linguaggio da mediatici pulpiti ci offre in pasto all’opinione pubblica, masticando volenteroso la consistente massa della realtà fattuale, di quella riscontrabile facilmente da qualsiasi entità dottatassi di un pizzico di cognitio empirica. L’ovvietà miei cari amici è cieca! L’ovvietà è orfana! Ella è plasmabile come fosse argilla, può prendere qualsiasi forma, la forma della volontà che può e vuole darle una forma che sia spendibile per il raggiungimento di uno scopo o fine.
Il mio vuole essere un invito rivolto a voi tutti. Vorrei che mi seguiste lungo questo mio viaggio verso il punto origine di questa nostra comune storia. Raccontiamo, raccontate a chi volete quel giorno. Il giorno in qui inizio questo viaggio, il viaggio verso lo spirito delle nostre speranzose anime. Io vi invito ad approcciarvi all’origine come il fanciullo ai risvegli, al candore di ogni alba: con sincerità e senza alcuna paura. Per poter poi spiccare il volo sulle sponde del quotidiano, con nuovo vigore e più forti di prima. Ci attendono battaglie da svolgere sullo spazio dello Spirito, lo spazio del linguaggio, immersi nel divenire di ogni lingua, scrigno d’ogni identità.
[author title=”Edvin Kukunja” image=””]Scrittore e poeta albanese[/author]