“Maledette scarpe”, inveì a voce bassa un viandante nel buio, mentre camminava veloce in uno stretto sentiero, poco lontano dalle case dei contadini. Non voleva essere visto perché sapeva che lo avrebbero pregato, insistendo affinché si fermasse a passare la notte con loro. Non solo non aveva tempo, ma provava un po’ di timore nei confronti di quella gente. Erano generosi e con tanta voglia di scherzare, ma lui teneva ben in mente le parole di suo padre: “Attento però, ti prendono in giro senza che tu te ne renda conto”.
Si piegò per togliere il sassolino entrato dalla punta della scarpa che si era squarciata durante il viaggio. Nel chinarsi, alzò gli occhi e vide la kulla 1) bianca di Luka con le piccole finestre che guardavano verso la pianura. Conosceva il padrone di casa, un uomo alto e robusto, sui quaranta. Era una famiglia importante, dicevano. I versi fastidiosi di una civetta, appostata a quanto pare sul tetto della casa, gli diede i brividi. “Cattivo presagio”, balbettò l’uomo riallacciandosi la scarpa, e partì.
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“O signora della casa”, chiamò una voce femminile. “Vieni, vieni dentro”, rispose Maria, la moglie di Mark, aprendo l’uscio. Era Lena “dagli occhi scritti”. “Buongiorno”, salutò l’altra con un cenno della mano, “hai visto che bel tempo stamattina? Chi è morto ieri, oggi si è pentito”.
“ Non ho tempo”, continuò, “sono qui per chiederti cinque braccia di filo di lana per finire la maglia che ho iniziato quest’inverno”. Maria entrò in casa e ne uscì con una piccola matassa. “Spero che ti basti”, disse, guardandola negli occhi”. “Basta, basta”, rispose lei sorridendo. La ringraziò e chiuse lentamente il cancelletto costruito da Mark con fusti di canna. “Quant’è bella”, pensò Maria. E poi quel giorno sembrava così felice, col viso che splendeva sotto il sole del nuovo mattino. Circolavano certe voci su di lei. “Solo invidia – mormorò – solo invidia”.
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Un colpo di fucile smosse le spighe di grano e fece tremare i papaveri. Il mezzogiorno era vicino, come indicava l”ombra che cominciava a coprire la parete est della chiesa.
“Brutto colpo”, disse Mark uscendo di casa. Si fermò nel cortile per capire da dove venisse. Si sentì un altro sparo, e all’improvviso dal campo di grano spuntò Luka, il vicino. Correva verso casa di Mark, la camicia rossa di sangue aperta sul petto . Era ferito ma sembrava non sentisse dolore. Gli occhi riflettevano ancora un po’ di luce. Era la speranza di riuscire a fare quegli ultimi passi per raggiungere il cortile. Là si sarebbe salvato perché non gli potevano più sparare. Fece un altro passo ma un ultimo colpo lo raggiunse e lo fece scivolare nel canale da poco ripulito. L”ultima scintilla di luce si copri di un velo grigio e la sua mano si allargò sul terriccio bagnato.
“Hai sparato abbastanza, che Dio ti maledica”, si udì la voce di sua moglie, appostata alla finestra. Pensava a una vecchia vendetta non ancora chiusa, ma si sbagliava.
Poco dopo, dietro la siepe che divideva il campo, trovarono il corpo della Lena dagli occhi scritti. I denti stringevano ancora l’angolo destro del labbro inferiore. La pallottola aveva lasciato un piccolo foro sotto il seno scoperto e il sangue si era già seccato sotto il sole. L’occhio sinistro era ancora aperto, come se guardasse verso casa.
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“Sai, si riuniranno 24 uomini per giudicare, persino dalla casa di Orosh”, disse un bambino al suo compagno di giochi. “Ho sentito mio padre mentre parlava con un suo amico”. Aveva la faccia seria, ma nonostante ciò non riuscì a essere convincente.
” Ma che dici”, rispose l’altro, “la casa di Orosh è caduta in disgrazia per mano dei comunisti.”
“Saranno i parenti, comunque vedremo”, tagliò corto il bambino.
Il tempo era bello e permise agli invitati di riunirsi “al ritrovo degli uomini”, un posto neutro all’aperto, dove di solito d’estate si davano convegno gli uomini del paese, per decisioni che riguardavano soprattutto l’acqua per l’irrigazione.
Toccò a un amico della famiglia di Luka il compito ingrato di aprire la discussione. Nessuno dei presenti nascondeva l’imbarazzo. Si persero in futili chiacchiere per distrarsi mentre aspettavano gli altri che arrivarono in ritardo.
“Ebbene”, prese la parola l’uomo, alzando le mani per farli tacere, “tutti noi sappiamo perché ci troviamo qui . E’ capitata una disgrazia che ha toccato due onorevoli famiglie, e noi oggi dobbiamo decidere le colpe e chiudere la faccenda. La consuetudine vuole che gli adulteri siano uccisi con lo stesso proiettile, affinché non ci siano dubbi . Altrimenti tutti possono uccidere per altre ragioni e giustificarsi in tal modo, giacché uccidere un adultero è lecito. Se cosi fosse, Martin avrebbe fatto bene ad agire per difendere l’onore della casa, visto che Lena era la moglie dello zio. Ma così non è stato, perché tutti sappiamo che Luka è morto vicino a casa di Mark, a circa 150 passi dal luogo dove è morta Lena. Martin deve ora giurare davanti a tutti affinché possiamo evitare una vendetta tra due famiglie che hanno vissuto in pace per decine di anni.
Martin si alzò e andò dritto verso il vangelo che l’uomo teneva in mano, senza alcun timore. “Giuro su Dio e sulla mia famiglia che il primo colpo l’ho sparato mentre i due compivano l’atto dell’adulterio”, disse, poggiando la mano sul vangelo . “Tutti voi sapete che Luka era un uomo forte e robusto, perciò è riuscito a scappare nonostante la primo pallottola gli avesse attraversato il corpo. Lo dimostrano anche le chiazze di sangue lasciate qua e là sul grano calpestato. Portano là dove avete trovato Lena”, concluse, rimettendosi a sedere.
“Comunque abbiamo bisogno di altre testimonianze”, riprese la parola il primo che aveva parlato. “Che ne dici tu, Mark?”
Tutti aspettavano la sua parola. Mark era di famiglia povera ma stimata in paese, e aveva ottimi rapporti con entrambe le famiglie. Si alzò in piedi a malavoglia. Non avrebbe mai voluto essere chiamato per una simile questione, ma sapeva che tutto dipendeva da lui e non poteva sottrarsi. Tirò un lungo sospiro e disse poche parole: “Giuro sul Giorno del Giudizio che per quanto riguarda quella nera giornata non so nulla e nulla posso dire. Ma se dovessi giudicare dai giorni passati, un motivo c’era” . Gli altri vicini di casa tirarono un sospiro di sollievo e giurarono tutti come lui.
“Dunque”, riprese l’amico di famiglia, guardando il viso pallido del figlio di Luka, “dopo le testimonianze di tutti questi uomini, decidiamo oggi che non ci sarà nessuna vendetta e il sangue di Luka andrà perduto. E così sia.”
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“ Dio maledizione… ma vai al diavolo”, imprecò l’uomo, mostrando il manico rotto del piccone. “Non potevano seppellirlo al cimitero come gli altri? Lo mettono qui, in questa terra piena di sassi”. Vide la luna che si innalzava sopra la sagoma della chiesa e si ricordò della bestemmia. Si affrettò a fare il segno della croce accompagnandola con un “perdonami Dio”.
“Ma guarda te”, disse l’altro, “non sono poi così poveri da non poter permettersi una bara come si deve. Hanno usato legno di pioppo.”
“Meno male, così è più leggera. Comunque non hanno voluto risparmiare, ma l”hanno fatta fare a un amico di famiglia in fretta e furia, perché non volevano andare da altri falegnami. Si vergognavano. Non hanno potuto chiamare nemmeno le prefiche. Un pranzo con i più stretti familiari e via”, spiegò l’altro. Sistemarono la bara e cominciarono a coprirla. I primi sassolini caddero rumorosi sopra il legno. “Fate attenzione, così rischiamo di svegliare il reverendo. Non vedete che ha già spento le candele?”, rise con ironia l’uomo del piccone rotto, che si era dimenticato di avere chiesto scusa a Dio un attimo prima. “E tu cosa fai?” – chiese all’amico che si accingeva a sollevare un sasso che aveva visto pochi metri lontano. “ Un sasso vicino alla testa glielo mettiamo, era pur sempre un uomo”.
“E di Lena si sa niente?”, riprese, mentre raccoglievano gli arnesi. “La stessa sorte. Vicino alla chiesa del paese dov’era nata. Sapete che quando hanno trovato il corpo aveva un occhio aperto. Non è di buon auspicio. Qualcun altro la seguirà nell’aldilà”. “Dio che disgrazia”, disse un terzo che non aveva ancora aperto bocca.
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Il figlio di Luka partì verso “gli uffici nuovi” che stavano costruendo laggiù nel paese. Si diceva che quello sarebbe stato il centro della cooperativa che doveva nascere. Vide da lontano due uomini che stavano salendo e cambiò strada. Faceva sempre così da quel giorno. Non aveva mandato giù la decisione di quegli uomini sulla vicenda di suo padre. Ucciso e disonorato, e non poteva nemmeno vendicarlo. Questi brutti pensieri lo accompagnarono fino agli uffici e non si rese conto di esserci arrivato. Sentì sulla spalla la mano di qualcuno e una voce conosciuta. Era un suo amico che aveva aderito da poco al partito comunista.
“Come va” gli chiese l’altro, ma poi lo vide negli occhi e comprese di avere sbagliato a domandare. Non attese la risposta e continuò: “So della disgrazia, ma noi non abbiamo pregiudizi. Vogliamo lasciare alle spalle le vecchie consuetudini e andare verso un mondo nuovo. La soluzione ce l’ho, ma dipende tutto da te. “Dimmi” rispose lui senza molta fiducia. “Sappiamo che finora non hai fatto nessuna denuncia. Bisogna farla. Forse non hai capito che ora c’è uno Stato. Pure noi abbiamo dei conti in sospeso con quella famiglia, ma è troppo potente. Le direttive del partito sono quelle del rigore ma anche della prudenza. Non vogliamo tutti contro, ci vuole almeno un pretesto. Non vogliamo finire come il tenente Baba”. Per la prima volta, il figlio di Luka sorrise. Quel nome lo conoscevano tutti. Il tenente Baba era stato il terrore della popolazione. Lo chiamavano “Baba”(“Papà”) perché faceva quello che gli pareva, e quando voleva picchiare o torturare qualcuno usava la solita frase: “Vieni qui dal Baba, che ti mette a posto”. Era accusato di molti crimini e si diceva che prima di essere impiccato, al centro del paese, si era pisciato nei pantaloni.
“Certo che una denuncia secca non è sufficiente. Bisogna dire qualcosa di più, per poter arrivare ad accusarli come nemici del popolo. Vieni , vieni con me, non avere timore” concluse, invitandolo a entrare nell’ufficio del segretario del partito.
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Il rumore netto della vecchia camionetta aveva già svegliato tutti, nonostante si fosse fermata molto lontano dal paese. Era così raro vederne una da quelle parti. Riconobbero subito la gente che saliva e sperarono che non si fermassero da loro. Invece, dopo una piccola pausa all’incrocio, accompagnata dagli ultimi ordini, si diressero verso la loro casa. In testa c’era il capo del consiglio della cooperativa che gesticolava mentre spiegava qualcosa al segretario del partito del paese. Seguivano altri attivisti del partito, e infine un gruppo di poliziotti. Chiamarono il padrone di casa ma rifiutarono l’invito di entrare a prendere il caffè. “Siamo qui soprattutto per Martin. E’accusato di omicidio. Abbiamo però anche altre informazioni. Ci dicono che avete dato ospitalità ai reazionari e che non avete rispettato le direttive del partito sulla proprietà. Pare che voi siate una famiglia un po’ troppo agiata e siamo venuti a controllare”, disse il segretario del partito.
“Vi consegno mio figlio Martin” – disse Anton – “ma non è vero che abbiamo dato ospitalità ai reazionari, e ciò che abbiamo di proprietà è tutto frutto del nostro sudore”, aggiunse. Fu un ultimo tentativo di salvare ciò che era possibile.
“Non importa”, rispose il segretario. “Voi sapete che ciò che avete in più rispetto a quanto stabilito dal partito dovevate consegnarlo”. Fece segno ai poliziotti di entrare nella stalla, dove le capre avevano già dato segni di impazienza perché volevano essere liberate nel pascolo. Il primo a uscire dalla stalla fu uno degli attivisti che aveva uno zelo superiore ai poliziotti. “250 capre, dieci bovini e altrettanti maiali”, urlò trionfante, “ditemi voi se questi non sono kulaki”. “ E sono anche bugiardi”, continuò con lo stesso tono di voce, ” perché loro hanno sempre ospitato i reazionari”. Luigji, fratello minore di Anton, andò su tutte le furie. Gli avevano dato del bugiardo. “ Vigliacco”, urlò, “fai la voce grossa perché sei circondato dai poliziotti, altrimenti non avresti mai aperto bocca. Comunque sono stato io ad ospitare, sono stato io che ho dato da mangiare ai reazionari. Perché la nostra casa ha sempre aiutato tutti e non ha mai rifiutato l’ospitalità a nessuno.” Anton lo guardò con ammirazione e tristezza. Sapeva che suo fratello stava firmando la propria condanna. “Lasciatelo perdere, è solo arrabbiato e non sa quello che dice”, pregò i poliziotti. “E’ vero, purtroppo”, disse il capo del consiglio, dispiaciuto per il suo amico di infanzia, “abbiamo le testimonianze anche dei vostri nipoti”. Anton guardò negli occhi i nipoti che stavano appoggiati al vecchio gelso e capì.
“Beh, cosa aspettiamo.. partiamo. E voi tacete e andate dentro ”, aggiunse, guardando storto le donne che piangevano vicino alla porta.
Le capre non ne volevano sapere e fecero arrabbiare assai i poliziotti e gli altri che volevano convincerle ad andare verso le stalle della cooperativa. Anche Anton si irritò perché voleva chiudere al più presto quella scena ridicola. Chiamò il figlio più giovane. Le capre davano retta solo a lui. Il piccolo pastore arrivò, cercando di nascondere le lacrime, e partirono in silenzio.
***
“La vuoi ? Te la regalo. E’ nuova, l’ho comprata due settimane fa al bazar di Scutari” disse Luigji allungando la sua giacca verso un giovane che era giunto in prigione due giorni dopo di lui. “ E tu? Cosa farai tu?” chiese l’altro. “Dove vado io non mi servirà. Verrò fucilato presto, me lo sento”, disse Luigji. “ Ma no, che dici, c’è sempre speranza”. “ Oramai non ci spero più, perciò vado a lavarmi. Stanotte qualcuno lassù mi ha chiamato nel sogno. E mi voglio presentare davanti a Iddio lavato. Nessuno mi laverà dopo, perché non consegneranno la mia salma alla mia famiglia.”
Vide i due poliziotti Ali e Nikoll che erano di guardia e alzò la voce: “Perché loro non hanno né Dio né Pejgamer 2)”.
Ebbe ragione. In piena notte arrivarono i militari e lo svegliarono. Si alzò senza un lamento e si rifiutò di prendere la giacca. La buttò sopra la coperta del giovane che dormiva un sonno profondo. Le manette arrugginite gli stringevano il polso, ma sapeva che era inutile lamentarsi. Salirono su una vecchia jeep che gli alleati avevano abbandonato dopo la guerra. Nessuno aprì bocca fino a quando la macchina rimase impantanata e non ne volle più sapere. “ Si prosegue a piedi”, ordinò il tenente Hamdi. Si misero gli impermeabili e girarono i fucili con le canne in giù per ripararli dalla pioggia. Hamdi tirò fuori dalla tasca un pezzo di cellofan. Doveva proteggere per bene la sua pistola. Quella.
Trovarono un vecchio impermeabile anche per il prigioniero e si misero in cammino. Il prigioniero seguiva a testa alta e con passo deciso. “ Che orgoglio”, pensò Hamdi. Gli venne in mente il giovanotto che avevano fucilato una settimana prima. Non si lamentava per la vergogna, ma il terrore lo aveva abbattuto. Gli tremavano le ginocchia e non riusciva a stare in piedi. I militari dovettero portarlo quasi di peso fino al luogo dell’esecuzione.
Luigji riconobbe il posto. Era il paese vicino al suo, e la chiesa ogni tanto si illuminava nei lampi per poi perdersi nel buio. Lì aveva visto per la prima volta Lena mentre andava in chiesa con la madre e le sue amiche. “ Quella è la tua promessa sposa”, gli aveva detto un parente che si trovava con lui, facendolo arrossire. L”accordo era stato combinato da un amico di suo padre quando lei era appena nata. Quasi si vergognò di quel ricordo.
Aveva vinto la morte, ma un pensiero improvviso iniziò a tormentarlo: “Sono così vicino a casa, ma loro non lo sapranno mai”. Smise di pensare per non avvilirsi. L’ultimo pezzo fu molto faticoso. Dovettero piegarsi e fare presa sulle punte dei sassi enormi perché quella poca terra che c’era sotto i piedi era diventata scivolosa. Giunsero sul posto e si appoggiarono al masso calcareo che si piegava in cima come se proteggesse quel piccolo pezzo di terra ai suoi piedi. Qualcuno aveva già scavato. “Ma come hanno fatto a trovare della terra, proprio qui in mezzo alle rocce? E poi chi avrà scavato? Magari qualcuno che mi conosce”, pensò Luigji , cercando invano nella sua memoria le facce avverse.
Il tenente Hamdi aveva già iniziato il suo discorso. Gli parvero così inutili quelle parole sprecate sotto la pioggia, sebbene gli allungassero la vita:” In nome del popolo…nemico…partito”. Rispose alla domanda “hai qualcosa da dire?”
“Vi chiedo di togliermi le manette” , disse. “Non si può”, rispose il tenente. “E allora facciamola finita.. che Dio perdoni le mie colpe”, aggiunse, e si fece aiutare dai militari per mettersi in ginocchio vicino alla buca. Udì il fruscìo del cellofan. Un tuono improvviso coprì il colpo e il suo corpo si piegò sulla scarpata. La testa cadde su un mazzo sradicato di timo selvatico che non aveva ancora perso il profumo. Forse fu in tempo per un ultimo pensiero : ”Meglio dell’incenso”.
“Giratelo e toglietegli le manette”, disse il tenente . L’ordine immediato stupì i militari. Hamdi era un comunista e non credeva, ma aveva agito d’istinto. Gli vennero in mente le parole di quella pia donna che era sua nonna Xhemile: “I morenti vanno girati con la faccia insù affinché l’anima non soffra mentre abbandona il corpo” .
Hamdi si appoggiò alla roccia mentre gli altri coprivano il corpo con delle vanghe militari di manico corto. Era abbattuto. Quel maledetto lavoro lo aveva stancato. I nemici del popolo stavano diventando troppi. Ma non poteva più tirarsi indietro.
***
Il piccolo gruppo di uomini con vanghe e picconi partì all’alba. Si prevedeva una giornata calda e forse era meglio finire presto. Camminarono quasi strisciando su quel sentiero ripido tra sassi calcarei, e arrivarono davanti al grande masso che proteggeva con la sua ombra quel pezzo di terra in mezzo agli altri sassi. Si udì quasi la stessa domanda: “Ma come hanno fatto a trovare questo pezzo di terra quassù?”. Una vipera si ritirò in silenzio, impaurita dagli schiamazzi e dal rumore degli arnesi. Quella terra si era riempita di timo selvatico in piena fioritura ed emanava un profumo inebriante .
“Cominciamo, che Dio ci aiuti” . Uno di loro diede la prima picconata con zelo, spargendo nell’aria frammenti di terra mischiata col timo. Il timo si serrò in difesa, sprigionando un profumo sempre più forte da renderli quasi ubriachi. “Stai attento”, lo avvertì il suo compagno, “forse non è stato sepolto in profondità per risparmiare tempo” . Le prime gocce di sudore non diedero il risultato sperato. L’atmosfera divenne angosciante. Forse non era il posto giusto. L’ultimo colpo di piccone produsse un “crac” e li fece esultare: “Trovato”. L”uomo del piccone diede una timida occhiata al viso del figlio quasi per scusarsi di quel foro che aveva procurato sul teschio e che si aggiunse a un altro che c’era già.
“Come hai fatto a trovare il posto?” , gli domandò uno degli operai che volle rompere il silenzio. “Il nuovo governo ha sostituito quasi tutti i capi della polizia. Non è stato facile lo stesso perché facevano finta di non sapere. Mi dicevano che i documenti erano scomparsi dagli archivi. Ma dopo avere sganciato un po’ di soldi, stranamente li hanno trovati. I poliziotti della democrazia.” Raccolsero le ossa e le misero in quella piccola cassa di legno, e partirono. Faceva caldo.
1) Kulla: a. Casa in sasso di due o tre piani, con piccole finestre e alcune feritoie. b. Torre
2) Pejgamer: Profeta
Questo racconto è stato originariamente pubblicato su Albania News il 29 aprile 2011. A cura di Olimpia Gargano