In una di quelle giornate di sole tiepido, alzi la testa verso il cielo e cerchi di definire una striscia lunga nera che all’improvviso si trasforma in decine e decine di piccole ali veloci come un foulard di seta bianca attorno al collo, tutte insieme in una sinfonia di natura gioiosa!
“Le rondini nel cielo che vanno verso il mare…”, cantava Modugno.
E chi ha resistito, almeno per una volta nella sua vita, alla tentazione di domandarsi mentre le guardava, che cosa portino da lontano queste belle creature. La mia infanzia ha un legame strettissimo con i loro nidi. Sembrerà molto strano, da raccontare ora, in un ambiente di “civiltà urbana” e condominiale, di palazzi e palazzine ben fatte ed ermeticamente dotate alle regole precise da rispettare.
Per carità! Tutto è giusto d’altronde è cosi che siamo diventati, appassionatamente, fuori contesto natura. Grigi, dipinti di colori moderni, senza nessuna voglia di accogliere un volo in picco di una rondine che si ferma in un angolo delle nostre finestre. Eppure la mia infanzia, di quei voli, ne ha viste tanti in Albania.
Loro ci facevano visita puntualmente ogni primavera, marzo – aprile. Quando il tempo iniziava a riscaldare le pareti delle nostre scale condominiali, dove non c’erano ne vetri e ne porte, semplicemente scale aperte. Penso che li piacesse quest’accoglienza, cosi semplice, come in un giardino all’aria aperta, senza barriere. Si accostavano negli angoli più alti.
Con il becco pieno di terra, operaie esemplari delle “costruzioni edili”, il loro traffico su e giù era più movimentato delle macchine nei nostri centri urbani. Lui era lì che le guardava sempre. Un ragazzo strano perché non riusciva a dare delle risposte al suo pensiero bello ma “ingombrante” per gli altri. Però in quegli anni non gli importava molto cercare dove poteva trovare quelle risposte. Era molto occupato a capire come quelle rondini collegavano i suoi sogni in un volo chi sa dove e chi sa perché.
Segnalavano in lui un disagio che aveva solo due esistenze contrapposte, isolamento e voglia di volare, oltre quel tramonto che baciava le onde come un Romeo innamorato. Le mie parole sembreranno molto fantasiose, ma lui era cosi tenero con la natura che in ogni espressione modificava un “reato” per gli altri che non lo capivano.
Come ogni mattino le rondini, volo dopo volo, avevano costruito il loro bel caldo nido con vista panoramica cittadina, per poi porgere le uova che non ci mettevano tanto tempo a schiudersi e ti accorgevi, che con la testa verso l’alto aspettavano i vermicelli dal becco “gigante” della loro mamma, uscivano le loro belle testoline dal nido e non smettevano di cinguettare fino alla sera. Che stupenda inquadratura questo spettacolo giornaliero. Per lui le rondini erano sublimi, coraggiose nell’adattarsi alla libera vita, di poter appropriarsi ai viaggi lunghi… per ritornare…. ritornare sempre.
Ci specchiavamo anche noi altri, che eravamo chiusi in una gabbia solo fisicamente, perché il pensiero era libero e volava nascosto. Lui era lì tra il vetro della finestra e l’aria pesante che si respirava in classe. Fuori la natura accoglieva bocciolo per bocciolo la primavera. Un tema scritto con il gesso bianco sulla lavagna: “Le rondini”!
Quante volte lo aveva pensato mentre guardava quel cerchio di vita nell’angolo della sua finestra.
Quante volte aveva detto a occhi chiusi “portatemi insieme con voi”! Ed ora lo stava gridando al mondo semplicemente in un tema adolescenziale. “ Vorrei essere una rondine…. per volare lontano.” Il mondo che aveva intorno era ottuso, senza dignità, pieno di spie, fu un incubo. Quel bel tema, sognato per giorni con lo sguardo fisso alle serrature del cielo, aveva avuto un voto insufficiente perché per l’ennesima volta il suo essere non è stato capito! Lo hanno inseguito, per un lungo tempo. Li hanno puntato gli occhi diffidenti, perché la sua era una lotta giovanile, scomoda, di quelli che da sempre amavano il volo libero delle rondini… nessuno poteva più fermare le stagioni.
In alto, davanti al Duomo di Milano, prendendo un caffè e aspettando che si scarichino le nuvole di novembre, il ragazzo è diventato oramai un uomo. Sorride a quel ricordo ma non ha mai dimenticato com’erano belli quei nidi che lui non ha più visti.
Ad un amico, normale come noi, ma tanto giudicato per il suo essere libero.