Il 6 luglio il Consiglio dei Ministri ha varato in via definitiva il decreto legislativo che recepisce la direttiva europea (2009/52/CE) sulle “norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare”.Per avere i dettagli bisognerà aspettare che i tecnici dei ministeri dell’Interno, del Lavoro e della Cooperazione precisino la procedura di emersione.
Tuttavia, è chiaro che lo scopo non è quello di produrre una sanatoria che semplifichi la possibilità di avere il permesso di soggiorno per gli irregolari, bensì di sollevare il velo che fino ad oggi ha coperto il ‘lavoro nero’.
Si punta infatti a incentivare i lavoratori sfruttati a denunciare la propria situazione e prevenire così il formarsi di nuove situazioni illegali. Per i datori è prevista, inoltre, la possibilità di autodenunciarsi. Il decreto prevede, quindi, due modalità per la regolarizzazione: denunciare o autodenunciarsi.
La possibilità di denunciare mira a sanzionare il datore che assume lavoratori non in regola. Infatti il provvedimento prevede che chi è già stato condannato negli ultimi 5 anni con sentenza anche non definitiva per aver dato lavoro ad un immigrato senza permesso (favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro) si vedrà revocato il nulla osta al lavoro e dovrà pagare una multa pari al costo medio del rimpatrio del lavoratore straniero assunto illegalmente. Soldi che serviranno a finanziare i rimpatri, ma anche progetti per l’integrazione. L’esclusione dalla possibilità di regolarizzarsi vale anche per i lavoratori colpiti da provvedimenti di espulsione, condannati o segnalati, anche in base ad accordi o convenzioni internazionali.
Inoltre, il decreto inasprisce ulteriormente le pene per casi di particolare sfruttamento. Queste possono aumentare del 30-50% se i lavoratori sono più di tre, se sono minori con meno di sedici anni, o se sono sottoposti a “condizioni di grave pericolo”, tenendo conto delle “caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro”.
In questi casi, per lo straniero che “abbia presentato denuncia e cooperi nel procedimento penale instaurato nei confronti del datore di lavoro” è previsto il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari dalla durata di sei mesi, con possibilità di rinnovo per un anno o più, finchè si arrivi alla fine del processo. Il permesso potrebbe essere convertito in permesso per lavoro solo se intanto il cittadino straniero trova un’altra occupazione, ovviamente regolare.
La seconda opzione è la cosidetta “fase transitoria” o “ravvedimento operoso”,prevista in aggiunta alla direttiva europea, su suggerimento del ministro dell’Integrazione Andrea Riccardi. Suggerimento che si accorda perfettamente con l’opinione espressa a larga maggioranza dalle commissioni di Camera e Senato.
Questa fase, che anticiperà l’entrata in vigore delle nuove norme, vuole permettere ai datori di lavoro di conformarsi alla nuova normativa evitando le sanzioni in arrivo. In questo modo, imprese e famiglie che danno lavoro a uno o più immigrati irregolari, presenti nel territorio nazionale, potranno volontariamente adeguarsi alle norme di legge dichiarando il rapporto di lavoro irregolare allo Sportello unico per l’immigrazione entro un periodo di tempo limitato, ancora da definire. Per il datore di lavoro sarà previsto l’onere dei pagamenti retributivi, contributivi e fiscali pari ad almeno tre mesi e il pagamento di un contributo di 1.000 euro per ciascun lavoratore.
Forti critiche sono arrivate dal centrodestra. Il capogruppo alla Camera del Pdl, Maurizio Gasparri, ha accolto il decreto affermando: “Non vorremmo che dietro questa norma si celasse una qualche forma di sanatoria, che potrebbe attrarre addirittura ingressi di clandestini nel nostro Paese”.
Immediate anche le repliche. “Si tratta di un provvedimento di buon senso, che non ha nulla a che vedere con una sanatoria”, ha subito ribattuto Livia Turco, presidente del Forum Immigrazione del Partito Democratico. Mentre i partiti prendono posizione, Filippo Miraglia (Responsabile nazionale per l’immigrazione Arci) definisce il decreto “uno strumento straordinaro che pone fine a enormi ingiustizie prodotte dall’attuale legislazione in materia di immigrazione” e ricorda che questo provvedimento “potrebbe riguardare non meno di 500 mila persone e portare un gettito di circa tre miliardi di euro di contributi previdenziali”.