I dati sulla presenza degli immigrati in Italia sono stati forniti durante la prima conferenza nazionale sull’immigrazione albanese in Italia , tenutasi a Tirana lo scorso 2 marzo e organizzata da RAT, INAS, AGORA e FAI CISL. Per la prima volta in assoluto i dati sono stati resi pubblici e rielaborati dallo studioso Rando Devole. Si tratta quindi di informazioni del tutto inedite che sicuramente potranno essere spunti di riflessione per istituzioni e quanti lavorano nel campo dell’immigrazione e della cooperazione internazionale.All’inizio del 2010 la maggior parte dei lavoratori albanesi erano maschi. Questi costituivano il 68,7% degli occupati, mentre le donne solo 31,3% (70.220). Tale dato, il cui aggiornamento recente manca, necessita di un’interpretazione, poiché l’immigrazione albanese si presenta attualmente abbastanza equilibrata dal punto di vista del genere. Infatti, se dovessimo considerare il numero complessivo dei residenti, quindi al di là del legame con il lavoro, alla fine del 2010, le donne raggiungevano il 46,3%. Un’occhiata alle statistiche dell’anno prima (la componente femminile era 45,8%) ci farebbe capire un aspetto importante, ossia l’incremento dell’incidenza femminile all’interno dell’immigrazione albanese. Tuttavia, i dati sulla presenza lavorativa dimostrano da una parte l’origine maschile della migrazione albanese, dall’altra la distribuzione più bilanciata nel mercato del lavoro. Ovviamente, ci sono anche influenze culturali, che portano ad un maggior impegno delle donne nella cura della famiglia. Ci sono gruppi etnici in Italia che si sono “specializzati” (ad es. Ucraina, Filippine, ecc.) nei lavori domestici. Le statistiche confermano che gli albanesi in Italia lavorano in tutti i settori macroeconomici. Si evidenziano concentrazioni che variano a seconda dei settori, ma non sono tali da indurci a parlare di “specializzazione etnica” nel mercato del lavoro. Nel settore industriale, fino all’inizio del 2011, operavano 104.078 lavoratori albanesi, quindi la maggior parte. Si tratta dell’industria meccanica, chimica, edile, elettrica, alimentare, tessile, del legno, ecc. Nel comparto dei servizi ne risultano 92.784 occupati. Qui sono inclusi i sottosettori come commercio, trasporto, sanità, pulizie, turismo, assistenza alle famiglie, ecc. Infine, l’agricoltura: in questo settore lavorano non pochi albanesi: 20.027. In percentuale, l’ordine della presenza nei settori economici si presenterebbe così: industria (47,2%), servizi (42,1%), agricoltura (9,1%). Qualcosa è cambiato in un anno. Infatti, un anno prima, nell’industria lavoravano più albanesi (110.731); al contrario, nel settore dei servizi il loro numero è aumentato (erano 90.056); quasi stabile la loro presenza nell’agricoltura (nell’anno precedente erano stati 20.158). Quindi c’è stato un movimento all’interno dell’occupazione degli albanesi, un passaggio dall’industria ai servizi. Infatti, in termini percentuali decresce la presenza nell’industria a favore dei servizi e dell’agricoltura. Nel 2009 la distribuzione era così: industria (49,3%), servizi (40,1%) agricoltura (9%).
Il cambiamento si nota anche all’interno delle comunità. Mentre un anno prima, per quanto riguarda la distribuzione settoriale, i lavoratori marocchini assomigliavano agli albanesi, adesso la somiglianza concerne solo il modello di spostamento all’interno del mercato del lavoro. Con i cittadini marocchini il divario della presenza nell’industria si fa più ampio (42%): gli albanesi sono più numerosi nel settore industriale. Il contrario è successo nel settore dei servizi, dove gli albanesi sono meno dei marocchini, i quali passano da un 44,4% di un anno prima al 46,7%. Anche in agricoltura si è verificata una crescita dei lavoratori marocchini, maggiore degli albanesi (da 8,9 al 9,4%). Interessante sarebbe lo studio dei rapporti di lavoro, tenendo presente che nei servizi e nell’agricoltura domina il carattere temporaneo nei rapporti di lavoro, molto più marcato che nell’industria. La distribuzione settoriale degli albanesi, malgrado le trasformazioni dovute alla crisi, appare sostanzialmente equilibrata. Lo stesso si può dire della comunità marocchina. Tuttavia, per dimostrare che ciò non sempre è vero basta analizzare la distribuzione dei 146.593 ucraini che lavorano in Italia. La stragrande maggioranza lavora nei servizi (75,3), meno nell’industria (11,9) e ancora meno in agricoltura (4,3). All’interno dei servizi le attività svolte presso le famiglie hanno raggiunto il 47,5% di tutti i lavori. Ciò spiega anche l’alta composizione femminile dell’immigrazione ucraina in Italia. Ha ragione quindi lo studio della Fondazione Leone Moressa (gennaio 2012) a sostenere che “la distribuzione degli immigrati nei diversi settori di attività non è però omogenea in Italia, dal momento che si possono evidenziare delle differenze anche macroscopiche tra aree del nostro Paese”.
All’interno dell’industria ci sono molti settori, dall’estrazione di minerali all’industria del petrolio, dal settore tessile a quello della carta, dall’industria meccanica all’edilizia. Tranne nell’industria del petrolio e in quella dell’elettricità e del gas, gli albanesi erano presenti in tutti i settori industriali. Durante il 2010, la maggior parte degli albanesi lavorava nell’industria delle costruzioni (28,6%), nell’industria dei metalli (4,9%) e nell’industria alimentare (2,8%). Per quanto riguarda i servizi, bisogna sottolineare che la distribuzione tra le varie attività è piuttosto omogenea, sebbene al primo posto ci sia il comparto alberghiero dove operano l’11.2% degli albanesi. Seguono i servizi alle imprese e il commercio. Le attività presso le famiglie non attirano molto gli albanesi, solo 4,8% vi lavorano.
Le statistiche dimostrano che il lavoro degli albanesi è concentrato nel nord Italia. Ciò è dovuto al fatto che si tratta della parte economicamente più sviluppata del Paese, dove si trovano le maggiori opportunità di occupazione. Quasi il 60% degli albanesi, al 1.1.2011, lavorava nelle regioni settentrionali. La regione della Lombardia occupava il primo posto con 42.680 lavoratori. Da notare un calo di lavoratori in questa regione. Un anno prima erano 43.999. Si sono verificati cambiamenti anche nella graduatoria delle regioni per presenza dei lavoratori albanesi. Mentre l’anno precedente il secondo posto spettava chiaramente alla Toscana, adesso questo posto spetta a due regioni contemporaneamente. Sia la regione della Toscana, sia quella dell’Emilia Romagna hanno avuto il 12,8% degli albanesi. In realtà, Toscana ha qualche unità in più, ma la differenza è davvero insignificante, distacco che si è accorciato durante il 2010. In poche parole, gli albanesi di Toscana si sono ridotti di numero e sono incrementati quelli che lavorano in Emilia Romagna. Il quarto ed il quinto posto sono occupati dal Veneto (19.465) e Piemonte (18.522), seguiti dalla regione del Lazio (11.606). Tra le ultime regioni citate, solo Lazio è risultato in crescita, mentre Piemonte e Veneto hanno interrotto la tradizione dell’aumento costante. All’ultimo posto c’è Sardegna, dove lavorano 446 albanesi, un numero davvero modesto che dimostra da una parte la capacità limitata del mercato del lavora sardo in termini di occupazione, ma anche la mancanza di tradizione migratoria degli albanesi in quell’isola, condizionata, tra l’altro, dai fattori geografici. Tuttavia, interessante il fatto che i lavoratori albanesi, in confronto con l’anno precedente, siano aumentati in questa regione, seppure di una quota modesta. L’incidenza dei lavoratori albanesi nelle varie regioni in rapporto con le altre cittadinanze ci potrebbe indicare qualche aspetto interessante. In realtà la distribuzione degli albanesi è abbastanza omogenea e in nessuna regione raggiungono valori eccessivi di concentr
amento. In questo caso ci vengono in aiuto la storia e dinamica dei flussi migratori dall’Albania. È vero che la maggior parte degli albanesi lavorano in Lombardia, ma in quella regione loro costituiscono solo il 7,4 di tutti i lavoratori immigrati. La regione che ha avuto la maggior incidenza di albanesi è stata Toscana con il 13,4%. Costituiscono una sorpresa Umbria (13%), Marche (11,3), Puglia (12,1%), ma soprattutto Liguria (11,5).
A livello provinciale la distribuzione appare proporzionata. Se si fa eccezione di Milano, dove lavorano 18.077 albanesi, ossia 8,2% del totale, di Firenze (3,9%), e di Roma (3,7%), il resto delle provincie si aggira a percentuali basse: un altro indicatore della distribuzione equilibrata dei lavoratori albanesi. Diversa sembra la situazione in confronto con le altre collettività. Ci sono territori dove gli albanesi raggiungono percentuali di presenza significative (Pistoia 28,5%, Bari 20,3%, Rimini 14,9%, Savona 17,5%, Cuneo 16,5%, Brindisi 14,8%, Firenze 13,6%, Pesaro 13,8%, Teramo 12,2%, Frosinone 10,1), altri dove la presenza è meno importanti e pochissimi territori che scendono sotto la soglia del 2%.
Nel 2009 il lavoro degli albanesi non era andato così bene. A causa della crisi l’occupazione degli albanesi era scesa di -4.276 unità. E durante il 2010 cos’è successo? La crisi ha colpito con la stessa forza. In tutta Italia il saldo degli albanesi tra assunzioni e cessazioni di rapporti di lavoro è stato negativo, precisamente -4.329. Stranamente, la differenza negativa non ha riguardato il settore agricolo, dove al 1.1.2011 risultavano 285 operai agricoli albanesi in più relativamente all’anno precedente. Molto peggio hanno chiuso i settori dell’industria (-3.478) e dei servizi (-1.186).
Ridisegnare la mappa del lavoro degli albanesi in Italia consente non solo una conoscenza migliore del fenomeno migratorio, in un momento molto critico della situazione economica globale, ma permette di valutare altri importanti aspetti quali l’integrazione e la stabilizzazione. Senza una mappa del genere, nessuno potrà mettere a punto azioni efficaci, di programmazione, di tutela e di assistenza, al di qua e al di là del mare, a favore degli albanesi che lavorano, e che in un modo o nell’altro danno il proprio contributo per lo sviluppo dell’area. La conoscenza del loro lavoro è utile tanto al Paese di residenza, quando al Paese di origine. Da un lato, il lavoro è fortemente legato all’integrazione, alle competenze professionali, alle rimesse ed altri aspetti importanti che i movimenti migratori comportano, la cui sottovalutazione sarebbe grave specialmente in tempi di crisi. D’altra parte, c’è il rischio reale che l’aumento della disoccupazione tra gli immigrati comporti un peggioramento delle loro condizioni di lavoro e un consolidamento del modello italiano del mercato del lavoro, dove gli immigrati detengono una posizione subalterna, svolgendo i lavori più duri e umili. Insomma, gli immigrati potrebbero rischiare sul versante dei diritti, delle tutele e dell’integrazione. Da valutare seriamente anche le ripercussioni nel Paese di origine, che non può essere immune ai cambiamenti della propria emigrazione.
La presenza degli albanesi nel mercato del lavoro italiano è strutturale. Sebbene ci sia una concentrazione al Nord, la distribuzione dei lavoratori albanesi pare più omogenea di altre collettività. Si tratta di una presenza capillare, anche se in alcune province non si presentano numeri significativi. Infatti, non esistono territori italiani dove non lavorino albanesi. Lo stesso si può dire dei settori economici. Gli albanesi operano in tutti i campi dell’economia, anche se in alcuni settori (ad. es. quello edile ed alberghiero) si verifica una presenza maggiore. È interessante notare come l’incremento nel tempo della componente femminile non abbia portato ad una forte affluenza nel comparto dei servizi alla famiglia. La manodopera albanese è ben distribuita e viene impiegata anche in settori generalmente trascurati dagli studiosi, come ad es. l’agricoltura, dove gli albanesi occupano il primo posto tra i paesi non comunitari. Le statistiche dimostrano innanzi tutto la stabilità e l’integrazione degli albanesi nel tessuto economico italiano. Tuttavia, a causa della crisi economica qualcosa sta cambiando. A cominciare dalla mobilità all’interno dei settori economici, che dimostra comunque una certa flessibilità della manodopera albanese, che per due anni consecutivi perde quote di presenza. Una tale dinamica costituisce un motivo in più per continuare a monitorare il lavoro degli albanesi in Italia.
Leggi anche: Il lavoro degli immigrati in tempo di crisi: il caso degli Albanesi in Italia – Parte 1
BibliografiaCaritas/Migrantes, Dossier Statistico Immigrazione 2011, Idos, Roma.
Cnel, Rapporto sul mercato del lavoro 2010 – 2011, Roma 2011.
Fondazione Leone Moressa, L’occupazione straniera: esiste un effetto sostituzione? La presenza straniera nei settori di attività e nelle professioni, Mestre gennaio 2012.
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