E’ recentemente stato pubblicato sulla prestigiosa rivista “Studi Emigrazione” (1)un articolo di Franco Pittau e Antonio Ricci dal titolo: il superamento di cinque pregiudizi sulla presenza albanese in Italia. Una rilettura di 20 anni di immigrazione albanese in Italia.
La ricerca presenta l’insediamento degli albanesi in Italia sotto cinque aspetti che aiutano a superare alcuni pregiudizi nei confronti di questa collettività. Con questa riflessione gli albanesi diventano il paradigma del possibile incontro tra la popolazione italiana e l’immigrazione, superando una serie di timori che si nutrono nei loro confronti.
Questa impostazione rasserenante – affermano gli autori – può essere di grande aiuto per un Paese come l’Italia, dove l’immigrazione è destinata ad incrementare la sua già considerevole consistenza, e anche per l’Albania, Paese non molto popoloso in cui l’emigrazione ha un grande impatto. Nelle conclusioni dell’articolo si mette in evidenza come l’immigrazione albanese può costituire un fattore positivo tanto per l’Italia quanto per l’Albania.* **L’articolo inizia con un breve excursus delle fasi storiche dell’emigrazione albanese in Italia, che addirittura si rifanno al 1400 quando, a seguito dell’invasione turca, una consistente quota della popolazione riparò in Italia. Tuttavia gli autori si concentranosui flussi determinatisi dopo il superamento del regime comunista in Albania.
Il crollo del regime albanese (1990) dette l’avvio ad una crisi politica ed economica, che influenzò fortemente l’esodo. Nell’estate del 1990 circa 800 albanesi si rifugiarono nell’Ambasciata italiana di Tirana. Ma la prima vera ondata migratoria verso l’Italia si determinò nel 1991: circa 25.000 persone arrivarono in Italia nel mese di marzo, cui seguirono altri 20.000 nel mese di agosto. Negli anni seguenti vi furono arrivi dall’Albania, ma l’origine della seconda ondata migratoria fu la conseguenza della crisi delle “piramidi finanziarie” (1997), che mise in ginocchio il paese.
La guerra del Kossovo (marzo 1999) e il successivo conflitto in Macedonia alimentarono una terza ondata migratoria.
Tuttavia l’evoluzione della legislazione italiana sulle migrazioni portò ad un clima di normalità che si dispiegò negli anni 2000. Dopo quella data le migrazioni albanesi in Italia sono state vivaci, ma senza i picchi del passato.
La tendenza all’esodo dall’Albania è stata determinata, tra l’altro, dalla giovane età della popolazione albanese, dalla facilità di imparare la lingua italiana e dalla propensione ai ricongiungimenti familiari.
Attualmente la collettività albanese si è confermata la seconda collettività più numerosa in Italia: nel 2009 contava 466.684 residenti (senza tener conto delle presenze regolari non ancora registrate in anagrafe che possono essere stimate a circa il 20% del totale).
La diffusione riguarda tutto il territorio nazionale, il loro insediamento è stabile, con prevalenza di coniugati e con un elevato numero di minori, in parte di seconda generazione.
L’insediamento stabile in Italia si compone con un forte attaccamento all’Albania: la prossimità geografica e la facilità negli spostamenti favoriscono le relazioni economiche, sociali e culturali e il mantenimento dell’identità linguistico-culturale. Inoltre un consistente numero di studenti albanesi sono iscritti nelle università italiane.
Nel complesso si può parlare di un soddisfacente grado di integrazione sulla base di una tendenza all’assestamento, di un livello istruzione superiore e di un dinamismo imprenditoriale. La società italiana ha recepito una immagine di persone tenaci nel lavoro, disponibili e rispettosi dell’autorità, salvo frange propense a delinquere.Una soddisfacente integrazione comporta un buon inserimento lavorativo, che gli immigrati albanesi sono riusciti a conseguire mettendo a frutto il loro impegno a sostegno della loro permanenza, ma anche dei familiari rimasti in patria tramite le rimesse.
Le rimesse sono arrivate ad incidere fino al 27% del PIL albanese. Nel periodo 2004-2009 il totale delle rimesse è passato da 2,7 miliari di Euro a 6,7 miliardi di Euro.
E’ interessante l’osservazione della comunità Europea, riportata dagli autori, sulle «migrazioni circolari». Come l’emigrazione costituisce una fuga di capitale umano, così il ritorno in patria degli immigrati costituisce un investimento proveniente dall’estero. E le rimesse contribuiscono in maniera sostanziale all’economia del paese di origine.
Ma, sostengono i due studiosi, la maggioranza della popolazione italiana è propensa a ritenere che il problema della criminalità e la mancanza di sicurezza nelle città siano – in Italia – in parte addebitabili agli immigrati.Un giudizio così severo non è giustificato nei confronti degli immigrati regolari albanesi, e va riferito con grande cautela anche agli irregolari: quindi sono precisati – e considerati fondamentali – i seguenti punti:a)gli italiani e gli stranieri hanno un tasso di criminalità simile;b)l’aumento delle denunce contro stranieri è percentualmente inferiore all’aumento della popolazione straniera;c)sulla base del VII Rapporto CNEL i nuovi immigrati non possono essere considerati i maggiori colpevoli della situazione di insicurezza vissuta dalla gente;d)lo stesso Rapporto CNEL dà precise statistiche sul tasso di criminalità degli immigrati albanesi rispetto al totale degli immigrati in Italia.
Nel periodo 2005-2009 le denunce contro gli stranieri sono aumentate del 19,9%. Si deduce, dai dati forniti, un andamento virtuoso dell’Albania: l’incidenza che gli albanesi residenti in Italia hanno avuto nel 2008 sulle denunce è stato del 6,8%, inferiore a quello che hanno avuto i residenti (11,3%), con una differenza a loro favore di 4,8 punti percentuali, che merita di essere segnalata positivamente.
I dati esposti pongono in evidenza lo sforzo positivo fatto dagli albanesi per farsi accettare in Italia, dove hanno fortemente desiderato di inserirsi.
Si assiste, infatti, ad una tendenza a un insediamento quanto mai stabile, caratterizzato da una forte presenza di minori, tra i quali non pochi di seconda generazione, con innegabili benefici per l’Italia dal punto di vista demografico ed occupazionale.
Di fatto Pittau e Ricci equiparano gli albanesi ad una «comunità virtuosa» e il loro inquadramento positivo consentirà all’Italia di valorizzare questa collettività come una risorsa, ma saranno anche consistenti i benefici che si determineranno per l’Albania.
L’articolo si conclude con una citazione dall’articolo di Aldo Bonomi «Il mare corto. Italia-Albania, storia di sviluppo e cooperazione», pubblicato su Comunitas, 45, settembre 2010:«L’Albania si configura quindi come un pezzo di piattaforma produttiva adriatica in fieri. Base di questa piattaforma è l’asse di quel “mare corto”…che separa l’Albania dalla Puglia per risalire da lì verso il Centro-Nord Italia e l’Europa continentale».
(1)La rivista trimestrale “Studi Emigrazione” (International Journal of Migration Studies) è edita dal Centro Studi Emigrazione di Roma (CSER), istituzione con finalità culturali sorta nel 1963 per promuovere “la puntualizzazione e l’approfondimento dei fenomeni relativi al fenomeno migratorio”. Il CSER fa parte della Federazione dei Centri studi per le migrazioni “G.
B.
Scalabrini”.