Mi presento come “studente extracomunitario”. Per alcuni e’ una parola vergognosa, per altri vuol dire che non sono (ancora) europeo, non tanto nelle idee, quanto nel passaporto. In Italia “de facto” appartengo alla seconda generazione, i figlidi immigrati, i cui doveri mi porto dietro da quando sono arrivato.
I diritti me li sono sempre guadagnati, e con tanta fatica. E’così anche per alcuni amici, di nazionalità diverse, che ho incontrato a Roma, davanti al parlamento,al Sit In organizzato dal Forum nazionale immigrazione del Partito Democratico per chiedere subito una nuova legge sulla cittadinanza.Una giornata dedicata al riconoscimento del diritto di cittadinanza dei figli di immigrati. Non avevo mai visto gli immigrati residenti in Italia, così uniti per una causa che sicuramente porteranno avanti fino a quando non si arriverà ad una soluzione, ossia l’approvazione di una legge che riporti scritto nero su bianco: “Chi nasce e cresce in Italia e’ italiano”. Questo era lo slogan di tutti i presenti a Roma venuti da tutta l’Italia. Immigrati con un italiano perfetto e con accenti delle regioni di residenza, ma non italiani sulla carta. Tutti davanti alla sede del Parlamento Italiano per sostenere una causa delicata ma giusta sotto tutti i punti di vista, sicuri di poter proteggere i loro figli e di garantirgli un futuro migliore nel paese dove sono nati o cresciuti. Al microfono si sono alternate moltissime persone, che hanno portato testimonianze e suggerimenti in merito alla materia. «Protestiamo – ha detto Khalid Chaouki – contro una legge ingiusta che toglie a tanti ragazzi il diritto a immaginarsi un giorno avvocati, medici o poliziotti, ragazzi che conoscono l’Inno di Mameli meglio di tanti parlamentari, come quelli della Lega che disconoscono anche la bandiera».
L’attuale legge sulla cittadinanza obbliga chi nasce in Italia da genitori stranieri, a risiedere in modo continuativo per 18 anni prima di poter presentare la domanda per ottenere la cittadinanza italiana. In nessun paese europeo esiste una legge cosi ostile nei confronti dei minori. Sono quasi un milione di figli di immigrati, metà dei quali nati qui – spiega Marco Paccioti, coordinatore del Forum – e che si sentono italiani di fatto ma non lo sono sulla carta. Il PD ha sposato questa battaglia da quasi un anno ormai e auspichiamo che altre forze politiche possano andare in questa direzione, perché si tratta di una battaglia di civiltà – ha concluso Paccioti. I Termini Underground e Amir, artisti di seconda generazione, animano con le loro musiche il sit in. Sentire l’inno di Mameli in versione rap, ha qualcosa di particolare ed una carica emotiva significante. Sono intervenuti altri parlamentari del PD, come Andrea Sarubbi, che sono impegnati su questi temi da anni. È stato chiarissimo invece il segretario del partito Bersani. “Il Paese ha il dovere di dire a questi ragazzi chi sono. Per il Pd sono italiani e io prendo l’impegno – ha ripetuto il leader democratico – a sostenere questa battaglia in Parlamento. Perché si tratta di una radicale ingiustizia. Ma state sereni – ha detto rivolgendosi ai giovani che manifestano davanti alla Camera dei deputati – combatteremo insieme questa battaglia, perché l’Italia ha bisogno dei nuovi italiani”.
Su questi temi infatti l’Italia è in ritardo. Cosi anche come succede con il tema del diritto di voto e partecipazione alla vita politica del paese. La convenzione promossa dal Consiglio d’Europa sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica locale infatti, stipulata nel 1992, ed entrata in vigore nel 1997 e’ stata recepita dall’Italia (Legge n204., 1994) escludendo la parte sul diritto di voto locale. Per garantire il diritto di voto agli immigrati, la legge ordinaria deve recepire tale Convenzione nella sua interezza.
La partecipazione politica a livello locale dei cittadini stranieri è un diritto fondamentale in quanto essi contribuiscono in modo importante alla vita delle città dove vivono. Consentirgli di votare, riconoscendo loro lo stesso diritto di cui godono i cittadini italiani, significa incoraggiare una maggiore collaborazione e la ricerca d’interessi comuni. Inoltre, favorendo l’apprendimento di regole e politiche democratiche, si incentiva l’integrazione politica riducendo i rischi di conflitto interetnico e di ghettizzazione. La proposta sul diritto di voto agli immigrati contiene sia l’istanza della democrazia inclusiva che quella della lealtà verso la nazione. Quindi i nuovi cittadini sono chiamati anche ad arricchire la cultura del paese.
Sperando che tutto ciò in un futuro prossimo diventi realtà, per il momento, ancora per noi, resta un complimento “non sembri albanese”.
Sosteniamo questa giusta causa e vogliamo che i figli degli immigrati, le cosiddette seconde generazioni,già italiani di fatto, diventino anche italiani anche per legge.