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Oltre la paura, la Conferenza dei democratici sull’immigrazione

Il 25 e il 26 marzo prossimo, il Partito Democratico italiano organizza la sua prima Conferenza nazionale sull’immigrazione. Albania News ha intervistato Marco Pacciotti, coordinatore del Forum Immigrazione del PD per approfondire i temi al centro di questa conferenza.

Alban Trungu
22 Marzo 2011
in Mondo Migrante
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“Oltre la paura, per l’Italia della convivenza” è il titolo che i democratici italiani hanno scelto per la loro prima Conferenza Nazionale sull’immigrazione. Un percorso iniziato circa un anno fa, preceduto da passi importanti quali il documento sull’immigrazione approvato all’Assemblea nazionale di Varese a ottobre del 2010 e l’ordine del giorno sulla partecipazione politica dei “nuovi cittadini” approvato a quella di Roma, lo scorso febbraio. Due giorni di dibattiti e proposte in cui interverranno parlamentari e dirigenti italiani e di origine straniera del PD, ma anche sindacalisti e studiosi.

“Discuteremmo dell’idea di società che dovrebbe avere il nostro partito, del ruolo che ha già la comunità dei nuovi cittadini all’interno di questa società” e “delle risposte che il PD deve dare per creare percorsi reali di accoglienza e inserimento”, sostiene Marco Pacciotti, coordinatore del Forum Immigrazione del PD.“Sarà una discussione molto aperta e approfondita che andrà a modificare in meglio il documento approvato a Varese”, e che verrà nutrita dai quattro gruppi di lavoro sui temi di asilo, diritti di cittadinanza, scuola e lingua italiana, lavoro e welfare. Ovviamente si parlerà delle proposte di legge sulla cittadinanza e sull’insegnamento della lingua e cultura italiana. Ma anche di riforma della normativa sull’immigrazione, diritto di voto amministrativo, accesso paritario ai concorsi pubblici e alle professioni, rappresentanza politica dei cittadini di origine straniera all’interno delle strutture del PD e nelle liste elettorali.

Per Pacciotti, il PD sta superando l’atteggiamento ondivago e poco chiaro sulle politiche di immigrazione che negli anni passati ha caratterizzato il centro-sinistra, anche se all’interno del partito ci sarebbero ancora “arretratezze di lettura sociale e culturale” perché “l’immigrazione è un fenomeno ancora poco conosciuto”.

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Il 25 e il 26 marzo prossimo il PD tiene la prima Conferenza nazionale sull’immigrazione. L’avete intitolata “Oltre la paura”. Perché?

Oltre la paura perché per il PD su questi temi bisogna andare oltre l’approccio adottato dal governo attuale in questi anni nei confronti dell’immigrazione, vista sempre in chiave emergenziale e come minaccia al lavoro e alla società, alimentando sempre le paure dei cittadini. Crediamo che l’immigrazione per l’Italia sia un’opportunità. Chi saranno i delegati e di cosa discuterete?

I delegati sono membri del PD, italiani e di origine straniera, che all’interno del partito si occupano di questi temi e verranno da tutte le provincie. Discuteremmo dell’idea di società che dovrebbe avere il nostro partito, del ruolo che ha già la comunità dei cittadini non italiani, che noi definiamo “nuovi cittadini”, all’interno di questa società e di come lo sta modificando in meglio. Ma anche delle risposte che la politica, in questo caso il PD, deve dare per creare dei percorsi reali di interazione dentro la società e quindi di accoglienza e inserimento per creare un circolo virtuoso.

Per il PD sarebbe la prima iniziativa di carattere nazionale di questa natura.

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È la prima Conferenza nazionale che è stata preceduta nei mesi scorsi dai tre appuntamenti del Forum Immigrazione del partito, dall’approvazione all’Assemblea nazionale di Varese (ottobre 2010 ndr) di un documento che sarà anche la base di discussione di questa conferenza, e poi da una festa che abbiamo fatto lo scorso giugno sulle seconde generazioni. C’è un percorso che porta a questa prima conferenza.

Anche dall’ordine del giorno sulla partecipazione politica dei cittadini migranti nelle strutture del vs. partito e nelle liste elettorali approvato all’ultima Assemblea nazionale lo scorso febbraio?

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Certamente sì. L’ordine del giorno approvato a febbraio è molto importante perché apre la discussione nel PD della rappresentanza politica dei nuovi cittadini.

Anche se la conferenza è parte di un percorso iniziato un anno fa, l’immigrazione rimane un tema caldo anche all’interno del centro-sinistra e del PD. Ci sono state resistenze all’interno del partito per intraprendere un’iniziativa simile?

Il tema è centrale non solo per l’attualità, ma anche per il futuro del nostro paese. Perché i quasi cinque milioni di cittadini stranieri che vivono in Italia aumenteranno con gli anni, e avranno ruoli, funzioni e un peso sempre maggiore all’interno della nostra società. Quindi un grande partito se ne deve occupare perché altrimenti sarebbe miope. Nel nostro partito non ci sono state resistenze politiche, ma arretratezze di lettura sociale e culturale. L’immigrazione è un fenomeno ancora poco conosciuto, in parte sicuramente anche in un grande partito come il PD.

Come ha accennato prima, a ottobre 2010 avete approvato il documento sull’immigrazione, lo scorso febbraio l’ordine del giorno sulla partecipazione dei “nuovi italiani”. Settimana prossima terrete la prima conferenza nazionale sull’immigrazione. Sembra che il PD faccia sul serio soprattutto quand’è all’opposizione.

Difficile da dirsi se il PD fa sul serio quand’è all’opposizione perché al governo ancora non ci siamo mai stati. Adesso siamo sicuramente facendo sul serio anche perché sia il documento di Varese, sia l’ordine del giorno di febbraio sono stati approvati nell’Assemblea nazionale all’unanimità. Ed è un fatto politico importante. Poi, nei comuni, nelle città, nei piccoli centri, ci sono già tanti cittadini di origine straniera ora con la nazionalità italiana che ricoprono ruoli di direzione politica o sono amministratori. Quindi, dove governiamo, nei piccoli comuni e nelle provincie esistono già esperienze che fanno pensare che faremmo sul serio anche quando saremmo al governo.

Tuttavia in questi anni, se il centro-destra ha avuto una linea chiara sull’immigrazione, il centro-sinistra, i democratici di sinistra e poi il PD hanno giocato sempre a fare l’equilibrista, non offrendo un’alternativa in merito. Concorda con questa affermazione?

Questo è stato un limite che il PD ha avuto meno perché è un partito relativamente giovane e non ha sofferto di questa subalternità culturale di cui parla lei. Sicuramente nei DS, che conosco meglio, c’era una percezione dell’immigrazione non chiara. Per cui si avevano delle oscillazioni da un impianto tutto solidaristico a un altro che in qualche modo risentiva di un subalternità ad alcune proposte anche leghiste. La cosa positiva che registro in questi ultimi due anni e mezzo è che questo atteggiamento ondivago si sta progressivamente superando. Nell’ultimo anno la presa di posizione anche del segretario nazionale Bersani su questi punti e degli altri leader politici è chiara e indiscutibile.

Nel passato il PD o meglio il centro-sinistra ha avuto degli smarrimenti che hanno condizionato la quotidianità dei migranti. Uno di questi è lo sbaglio di non aver abrogato subito il contratto di soggiorno quando il centro-sinistra è venuto al governo nel 2006. Quando il Pd verrà al governo abolirà l’accordo di integrazione previsto dal pacchetto sicurezza e dal decreto legislativo che dovrà entrare in vigore prossimamente?

Il ritardo di cui lei parla era legato anche a una condizione oggettiva di non autosufficienza piena dei governi di centro sinistra da cui derivava anche la difficoltà di affondare su questi temi. Anche se l’u
ltima bozza della Ferrero-Amato che non abbiamo potuto votare perché è caduto il governo Prodi, rappresentava già un notevole progresso rispetto anche alla Turco-Napoletano. Se noi dovessimo andare al governo sicuramente il primo atto sarebbe superare in modo radicale la Bossi-Fini, togliendo di mezzo tutto il pacchetto sicurezza. Sono due provvedimenti irriformabili con i quali non si può mediare. Vanno superati come impianto culturale e come proposta politica, altrimenti è difficile parlare di politiche di integrazione. Anche perché questo pacchetto fantomatico sull’integrazione è stato approvato ma non è stata emessa una lira. Quindi è difficile pensare che una legge cammini da sola senza i fondi per implementarla.

Su questo versante, una vostra iniziativa legislativa importante è la proposta di legge per quanto riguarda la tematica dell’accordo di integrazione in cui proponete di abbreviare i termini per il rilascio della carta di soggiorno da 5 a 3 anni per i cittadini che si impegnano e raggiungono un livello di conoscenza dell’italiano A2.

Noi proponiamo che l’insegnamento della lingua e della cultura italiana sia un’opportunità e non un obbligo perché l’articolo 3 della nostra Costituzione prevede che la lingua non sia un elemento di discrimine. Quindi deve essere un’opportunità che si dà al cittadino straniero nel momento che viene accettato, dandogli la carta di soggiorno in Italia. Se poi responsabilmente, il governo mette a disposizione del cittadino corsi di lingua e cultura italiana gratuiti attraverso il sistema pubblico di insegnamento, pure il cittadino straniero si impegna responsabilmente. Parliamo sempre di persone mature e consapevoli che imparando la lingua e cultura italiana fanno due cose utili a se stessi. La prima imparano un’altra lingua e a vivere meglio nella società che hanno scelto come seconda casa. Dall’altra parte, come incentivo vedono decurtato di due anni il periodo per ottenere la carta di soggiorno.

Però questo presuppone che l’accordo di integrazione rimarrà in vigore?

No. È un disegno di legge che abbiamo presentato autonomamente dal pacchetto Maroni. Attualmente non esiste nessuna legge in Italia che vada incontro a questa esigenza oggettiva. Stando di fronte a un fenomeno che è in crescita e non si fermerà, un governo e un paese responsabile si pone il tema di come accogliere al meglio queste persone. Sicuramente metterle a disposizione un percorso formativo che le permetta di imparare la lingua e la cultura italiana, è una condizione necessaria per poter stare bene nel nostro paese, poter cercare lavoro e potersi muovere liberamente. Quindi il disegno di legge prescinde dal pacchetto Maroni.

Quale sarà il punto più forte del programma del PD che verrà discusso alla Conferenza di settimana prossima?

Oltre al disegno di legge sull’insegnamento della lingua e cultura italiana che abbiamo già depositato a nome Turco, ci sono altri due punti importanti che riguardano l’idea della società futura che dovremmo avere per il nostro paese. Il primo è sicuramente la legge sulla cittadinanza che deve riconoscere la nazionalità italiana ai ragazzi nati e cresciuti in Italia. Mi riferisco al testo di legge Bressa – Zaccaria, ripresentato nel 2009 in modo quasi uguale da Sarubbi e Granata. L’altro tema fondamentale è il riconoscimento del diritto di voto nelle amministrative per i cittadini residenti in un comune da almeno cinque anni. Si tratta di una norma di civiltà che non fa che adeguare il nostro paese a quanto già accade in quasi tutti i paesi dell’Unione Europea.

Però c’è almeno un’altra norma che riguarda la questione delle pari opportunità e andrebbe portata avanti dai partiti politici italiani che vorranno farsi carico. Riguarda l’accesso alle professioni e ai concorsi pubblici. Sappiamo che ci sono giovani o comunque migranti professionisti o quant’altro che effettivamente non hanno la cittadinanza però hanno tutte le altre carte in regola per poter partecipare nei concorsi pubblici.

È uno dei temi che affronteremmo in uno dei quattro gruppi di lavoro della Conferenza nazionale perché è evidente che esiste in primis un problema di riconoscimento dei titoli di studio e che passa molto attraverso gli accordi bilaterali. In molti casi esistono già ma non vengono rispettati approfonditamente rispetto a questo aspetto. In secondo luogo, ci sono vecchie leggi che risalgono addirittura agli anni trenta e rappresentano un ostacolo per esercitare alcune professioni. In terzo luogo, c’è da avviare un processo di confronto con gli ordini professionali che in Italia rappresentano un filtro rispetto alla possibilità di accedere a talune professioni da parte dei cittadini non italiani. Tra l’altro, in contraddizione con Schengen e Maastricht che prevedono invece la libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’area comunitaria e il riconoscimento delle loro professionalità.

Un’altra battaglia da portare avanti sarebbe quella di coinvolgere sempre di più i cittadini nati in Italia da genitori di origine straniera o comunque cittadini migranti in un percorso di inclusione nella pubblica amministrazione a partire per esempio dalle scuole e dai servizi.

Certo, è un processo, secondo noi, inarrestabile. In Italia, la presenza dei cittadini stranieri non solo aumenterà per un fatto di buco demografico, ma col tempo inevitabilmente questi cittadini stranieri andranno ad occupare sempre più posizioni lavorative che adesso non coprono. Questo riguarda le professioni ma anche i temi dell’insegnamento. Uno dei gruppi di lavoro è proprio sul tema della scuola in cui un approccio interculturale è altrettanto importante perché l’incontro fra culture diverse rappresenta un’opportunità per tutti, sia per quei ragazzi di origine straniera nati in Italia, sia per i loro coetanei nati da famiglie italiane. Non è un caso che qualche mese fa, il sindaco di New York, un uomo moderato, un repubblicano indipendente, auspicasse cento milioni di nuovi immigrati per gli Stati Uniti perché considera l’immigrazione un elemento di arricchimento non solo economico ma anche in termini sociali e culturali. Senza pensare a cento milioni di stranieri in Italia perché oggettivamente sarebbero tanti, però un processo storico così non si può arrestare e va governato in termini di opportunità, non solo economica ma anche di avanzamento culturale e sociale. E questo ha come premessa quello che diceva lei, cioè che alcuni meccanismi che ora filtrano o impediscono l’accesso a tutte le professioni ai cittadini stranieri, vengano rimossi.

Concorda che non basta creare solo le opportunità ma bisogna incentivare le persone per coglierle e quindi attivare un processo di cambiamento culturale radicale per poter portarle avanti.

Il primo tema è quella della scuola ed è fondamentale. Difendere la scuola pubblica, farla diventare luogo di formazione paritetico per tutti i ragazzi che accedono al sistema scolastico pubblico è il primo grande motore di questo processo. Poi ci sono quelle altre resistenze che dicevamo prima, cioè vecchie leggi da cancellare, regolamenti interni agli ordini professionali da modernizzare. Però il primo grande motore di integrazione, di sviluppo, di inserimento, di questa grande ricchezza, di questo patrimonio umano è sicuramente la scuola pubblica, dove i ragazzi trovano strumenti comuni di crescitae di affermazione sociale personale.

Eppure un altro ambito in cui si incontrano resistenze è la partecipazione politica. Albania News ha intervistato cittadini di origine straniera attivi all’interno del PD su vari livelli che denunciano una sorta di chiusura e diffidenza nei loro confronti da parte delle strutture di partito. Addirittura spesso vengono “confinati” nel settore dell’immigrazione. Conferma?

È vero perché si è iniziato a lavorare in questa direzione da poco. Il senso della nostra proposta di riconoscere il diritto di voto alle amministrative per i cittadini non italiani va esattamente a rimuovere queste resistenze o deficit culturali. Come si voglia mettere, sono di quelli convinti che una persona quando vota, vota come un altro. E quindi riconoscere il diritto di voto, significa creare quella forza per potersi rappresentare all’interno dei partiti, che pure devono fare di più, ma soprattutto per dare peso e voce a questi cittadini nel momento della scelta dei propri amministratori per poter votare oppure candidarsi. È l’unico vero modo per rompere queste barriere perché chi non vota, conta meno di chi vota e questo in una società civile coesa è impensabile.

All’Assemblea nazionale dello scorso febbraio avete approvato un ordine del giorno molto importante che se effettivamente funzionerà, cambierà la scena politica italiana. Vi siete impegnati come partito di garantire alle seconde generazioni e ai cittadini migranti una rappresentanza all’interno del PD ma anche nelle liste elettorali. Rimarranno solo buoni propositi?

Intanto, aver fatto approvare quell’ordine del giorno in modo unanime non era scontato, proprio per le difficoltà che ricordavamo prima. Quindi rappresenta un primo segnale importante. Io sono uno molto realista. Quell’ordine del giorno è un impegno e gli impegni vanno fatti rispettare. Come Forum, con l’aiuto del partito nazionale e del segretario Bersani in primis, siamo convinti che sia all’interno dei gruppi dirigenti a partire dai circoli per arrivare fino all’assemblea nazionale, sia nelle liste elettorali, vada fatto spazio e vadano inseriti i candidati o dirigenti che sono di origine straniera perché comunque nel PD per essere dirigente, non bisogna essere italiani. Ed è un altro aspetto importante da ricordare sempre. Noi abbiamo già in giro per l’Italia, tantissimi nostri compagni di partito che svolgono ruoli di direzione non sempre legati ai temi dell’immigrazione. Ad esempio il nostro deputato di origine straniera Jean Léonard Touadi è in Commissione Giustizia, non si occupa né di politiche sociali, né di temi direttamente collegati, anche se ovviamente ha una sensibilità e un’attenzione per questi temi.

Però l’onorevole Touadi è stato eletto con l’Italia dei Valori.

Sì è stato eletto da indipendente nell’Italia dei Valori, ed era stato già assessore della giunta Veltroni. Subito dopo essersi eletto, ha aderito al PD epoi ha deciso chiaramente con il gruppo di stare nella Commissione Giustizia.

A un mese dall’approvazione dell’ordine del giorno e a due mesi dalle elezioni amministrative, effettivamente quanti cittadini di origine straniere avete candidato?

Le liste non sono state approvate ancora. È un dato che possiamo rivedere fra due – tre settimane quando saranno approntate le liste. In giro per l’Italia abbiamo già tanti amministratori di origine straniera eletti, molti dei quali si ricandideranno. È ovvio che bisogna fare un lavoro più capillare. Il nostro impegno è anche aprire una discussione su questo punto alla Conferenza in cui parteciperanno anche gruppi dirigenti nazionali. Sono abbastanza fiducioso.

Molti a che percentuale corrisponde?

La percentuale non glielo so dire, però lo stiamo scoprendo man mano. Non abbiamo mai fatto in partito un ragionamento organico di registrazione del dato degli eletti di origine straniera tra gli amministratori. Da quando abbiamo avviato il processo del Forum, quindi lo scorso maggio, abbiamo trovato parecchie decine. Devo dire purtroppo più nel Nord Italia che nel Sud. Questo è un dato sicuramente da colmare.

Dal 1 gennaio 2007, il numero dei cittadini comunitari che possono votare alle amministrative è cresciuto molto. Perché il PD non ha avvicinato i cittadini comunitari nelle elezioni che si sono avute in questi 4 anni. Non è interessato oppure ha paura dell’esito?

Ci sono stati dei tentativi riusciti in alcune realtà. In altre non si è avuto, secondo me, neanche la percezione della grandezza del fenomeno. Quando dicevo prima che ci sono stati dei ritardi di analisi da parte del PD è esattamente questo. Ci sono oltre un milione di cittadini neo-comunitari che potrebbero votare. Per essere chiari, rappresentano una regione più grande dell’Umbria, e non è stato fatto un lavoro organico verso loro. Invece, in alcune realtà sono stati contattati e coinvolti in qualche modo, e si è proceduto ad incitarli a iscriversi alle liste elettorali. È un altro tema che stiamo iniziando ad affrontare specie con la comunità romena, polacca e le altre cosiddette neo-comunitarie.

E avete candidato qualcuno per le prossime elezioni?

È ancora presto perché le liste non ci sono ancora. A Padova c’è già una nostra consigliera comunale di origine romena. Lì è stato fatto un lavoro con la comunità.

Un altro punto importante che si trova nel documento di Varese e che sicuramente discuterete in Conferenza sarà quella della residenza europea.

Sì, è uno dei temi che sarà discusso nella prima sessione della Conferenza nazionale, venerdì prossimo. Ci saranno diverse relazioni, tra le quali anche quella del prof. Zaccaria, nostro deputato e costituzionalista di livello assoluto che sta affrontando insieme al nostro gruppo al Parlamento europeo questo tema. Infatti, parte della Conferenza avrà un taglio molto legato alle dinamiche europee, anche di cittadinanza. Saranno presenti fra gli altri David Sassoli, il nostro capogruppo al Parlamento europeo, e Antonio Panzeri, eurodeputato che segue in commissione queste tematiche. È sicuramente una di quelle tematiche di cui inizieremmo a parlare non più unicamente all’interno del Forum ma in una conferenza sui temi dell’immigrazione che è di tutto il Partito. Questo è un altro passo e un salto di qualità rispetto a qualche mese fa.

La Conferenza è organizzata in varie sessioni e Commissioni di lavoro?

È divisa in due giornate. Ci saranno tre sessioni di lavoro in plenaria e nel pomeriggio di venerdì fino a sera quattro gruppi di lavoro sui temi specifici dell’asilo, del lavoro e dell’welfare, della scuola e dei diritti di cittadinanza.

Al termine della Conferenza si verrà fuori con quello che dovrebbe essere il programma del PD sull’immigrazione?

Al termine della Conferenza si uscirà fuori con una serie di spunti e suggerimenti che verranno dalla discussione, quindi nulla di precostituito. Sarà una discussione molto aperta e approfondita che andrà a modificare in meglio il documento approvato a Varese. Questo avverrà anche attraverso i gruppi di lavoro che serviranno a riscrivere e approfondire i temi che verranno discussi.

Dall’altra parte, il PD non dovrebbe impegnarsi per cambiare anche il discorso politico e pubblico sull’immigrazione spesso denigratorio nei confronti dei migranti, a partire da quello sul rispetto delle regole, creando l’idea che siamo noi a non rispettarle? Di fatto non è cosi. Ad esempio non basterebbe il 10% della popolazione italiana composta da stranieri per coprire il 40% di evasione fiscale in questo paese.

Certo. Noi abbiamo scelto il titolo “Oltre la paura”. La paura è un termine che serve come elemento di comunicazione e oltre la paura significa esattamente oltre una visione culturale arretrata rispetto alla presenza degli immigrati. È una battaglia non solo di carattere politico ma anche culturale che ponga il tema dell’immigrazione nella giusta prospettiva. Tanto più, e questo è un dato storico incontrovertibile, qualunque persona che immigra in un altro paese tende ad assumere i comportamenti del paese di cui è ospite.

Gli ultimi anni stanno crescendo a dismisura i casi di cittadini stranieri a cui viene revocato la carta di soggiorno e sostituita con un permesso di soggiorno perché hanno perso il lavoro. Una pratica assolutamente illegale non prevista dalla normativa sull’immigrazione, che sgretola lo stesso concetto di integrazione. Il PD ha modo di approfondire questa problematica e portarla avanti a partire da una interrogazione parlamentare al Ministro Maroni?

Abbiamo già presentato un disegno di legge su questo aspetto. La Bossi-Fini è una legge irriformabile e ha questo meccanismo che rende chi perde il lavoro dopo 10 – 15 anni di permanenza in Italia, instabile e irregolare. Il primo passo da assumere come impegno politico è togliere di mezzo la Bossi- Fini. In attesa che ciò avvenga, qualche mese fa con un nostro senatore abbiamo presentato un disegno di legge che allungava il periodo di ricerca lavoro da sei mesi a due anni per i lavoratori stranieri residenti in Italia regolarmente da anni che perdono il lavoro. Dall’altra parte, vogliamo abolire l’idea che per poter lavorare in Italia un cittadino straniero debba per forza avere un lavoro a tempo indeterminato. In una società dell’economia in cui le varie forme contrattuali tendono sempre di più alla flessibilità e al part-time, mantenere il tempo indeterminato solo per i lavoratori stranieri è sicuramente un elemento di discrimine.

Però per quanto riguarda la carta di soggiorno che è a tempo indeterminato, la legge prevede chiaramente quali siano i casi in cui uno la può perdere e la perdita del lavoro non rientra tra questi. È una pratica che è illegale e va combattuta non solo politicamente ma anche istituzionalmente.

Va chiaramente contro la legge stessa. Ne stiamo discutendo, i nostri parlamentari che partecipano al Forum sono al corrente, e credo che sarà oggetto di un’iniziativa di carattere parlamentare. Il primo obiettivo in attesa di riuscire ad avere la maggioranza politica per poterla cancellare, è denunciarla, sapendo però che bisogna cambiare proprio l’impianto culturale che porta ad avere leggi e atteggiamenti discriminatori di questo genere. È un lavoro che va fatto molto in profondità, non basta un’interrogazione parlamentare.

Argomenti: Marco Pacciotti

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