Spesso la fretta di correre al lavoro o altro ci porta a leggere solo i sottotitoli di una notizia in prima pagina, perdendoci cosi l’anima di essa. Tutto ciò che ricostruisce l’accaduto. Un po’ come se di un uomo ci interessassero nascita e morte ma non la sua vita. Correva l’anno 1997. Tg e giornali italiani erano immerse di notizie provenienti dalla vicina Albania. Paese che tutti hanno imparato a conoscere purtroppo e soprattutto dalle pagine di cronaca nera. Il crollo inevitabile delle cosiddette “piramidi finanziarie” – costruite su un giro di soldi milionario promettendo percentuali di interessi superiori anche al 200 percento – non ha generato la ricchezza immediata e facile come promesso ma miseria e fratricidio. Anni di sogni e falso benessere incoraggiati dal governo che orgogliosamente ne prendeva i meriti,che arrivando al limite hanno portato i cittadini albanesi a perdere tutto ciò che avevano. Casa, lavoro e spesso anche amici ai quali dovevano i soldi depositati al miglior offerente tra le società finanziarie. La disperazione faceva da padrona. Le strade sicoprirono di lacrime e sangue di chi si era fatto prendere in giro. Padri e madri sconsolati, incapaci ormai di vedere un futuro per i propri figli.
Italia!E proprio a quell’ultima speranza che veniva dall’oltremare che si erano aggrappati i passeggeri della motovedetta albanese “Kater i Rades”, il 28 marzo del 1997. Di solida costruzione russa,aveva lasciato il porto di Valona il giorno prima e poteva imbarcare un massimo di 18 persone. Ma quella notte il comandante Namik Xhaferri pare volesse recuperare il denaro perso nelle piramidi finanziarie. Un carico di 96 milioni di lire, cioè ben 120 passeggeri per 800 mila lire a persona. Uomini, donne e tanti bambini affrontarono il freddo, il mare mosso e il buio, ignari di ciò che li avrebbe atteso al di là del confine. Non giunsero mai a destinazione. La marina militare italiana intimò inspiegabilmente il dietrofront alla “Kater” che si trovava ancora in acque internazionali. L’albanese Namik continuò il suo viaggio finché la corvetta“Sibilla” – ignorando ogni regola del codice marino che prevede una distanza minima di 100 metriin presenza di mare mosso a forza 5 – colpì all’improvviso il “Kater” vicino alla poppa, facendo sbalzare fuori alcune persone. E poi di nuovo! 1200 tonnellate d’acciaio militare, padrone del mare, fecero affondare il “Kater” di soli 56. Morirono in 108 alla ricerca di una vita migliore, chissà se l’hanno raggiunta!Dopo 8 anni dalla tragedia si arrivò alle prime condanne. Quattro anni di reclusione per Xhaferri, comandante della “Kater” e 3 anni di reclusione per Fabrizio Laudadio, comandante della “Sibilla”Sette lunghi (?!) anni in tutto per la morte di 108 persone. Morti che non ci sarebbero mai stati se fossero state rispettate le regole. Il prossimo 28 marzo saranno in migliaia a Tirana a ricordare le vittime. Pretenderanno ancora una volta, come fanno da 13 anni a questa parte, chiarezza sulla responsabilità di tale tragedia. Impossibile, per loro, che i colpevoli siano solo in due. Oramai la legge italiana – per fortuna – prevede la reclusione anche per chi maltratta i animali. Chi li abbandona, viene a sua volta abbandonato dalla società.Ma 3 e 4 anni divisi per 108, il numero degli uomini, donne e bambini che trovarono la morte vogliono dire 10 giorni di reclusione a Laudadio e 13 e mezzo a Xhaferri per la morte di ogni passeggero. Meno di due settimane di carcere per una vita innocente. Inutile chiedersi se è giusto.