Ribaltando la sentenza di primo grado, la Corte di Appello di Ancona ha concesso protezione internazionale a un cittadino albanese minacciato dal Kanun, un fenomeno che le autorità albanesi faticano ad affrontare.
Come viene riportato da OBC, il caso affonda le radici nella sera di Natale del 2002, quando davanti al bar della stazione di Gualdo Tadino (Perugia) il cittadino albanese Alfred Gega morì in un agguato perpetrato da sette connazionali. “Una sorta di regolamento di conti tra bande, una questione di onore”, si scrisse frettolosamente sui giornali locali.
A distanza di quattordici anni, dopo aver scontato la pena comminatagli dalla giustizia italiana, uno dei sette assalitori di quella notte – che peraltro non fu l’esecutore materiale del delitto – esce di prigione: ad attenderlo oltre alla soglia del carcere non c’è la libertà, ma la vendetta del gruppo famigliare colpito, in paziente attesa di ben altra “giustizia”.
Sapendo di non poter rientrare in Albania se non a rischio della propria vita, lo scarcerato chiede alle autorità italiane la protezione internazionale: la sentenza di primo grado la nega, ma in appello la concretezza del pericolo viene riconosciuta.
Motivazioni della sentenza della Corte di Appello di Ancona che concede la protezione internazionale
“Il potere che il Kanun attribuisce ai famigliari della vittima di un omicidio si concretizza in due ipotesi di sanzionamento: o con l’eliminazione fisica dell’autore dell’omicidio, o con il trattamento inumano della coatta reclusione all’interno delle mura domestiche e quindi con l’eliminazione ‘sociale’ della persona che deve essere punita”. Per questi motivi, prosegue la sentenza, “va censurata la decisione di esclusione della tutela umanitaria”, perché “il reclamante ha sufficientemente documentato l’attuale pratica della vendetta di sangue secondo il codice consuetudinario detto ‘Kanun’ soprattutto nelle zone del Nord dell’Albania”.
Vi invitiamo a leggere l’articolo originale pubblicato su OBC
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