Mario Calivà ha l’orgoglio di chi sente di rappresentare qualcosa di speciale. In questo caso l’essere discendente di quegli albanesi che nel 1400 lasciarono l’Albania perché invasa dai turchi.
Lui è arbëresh, ossia un albanese che conosce e parla anche la lingua di ieri. “Il rapporto con l’Albania è un legame molto sentito con quella che noi chiamiamo la madre patria”
È nato e vive a Piana degli Albanesi in provincia di Palermo, un paese che parla appunto anche la sua lingua, l’arbëreshe.
Come mai si dedica ad una lingua che pochi conoscono?
Innanzi tutto perché è la mia lingua, perché senza il legame con essa si perde la propria identità.
Con quali mezzi tuteli la lingua?
Attraverso il teatro. Infatti lo spettacolo, frutto di un laboratorio teatrale precedente, è un momento in cui la comunità è chiamata a celebrare l’identità linguistica, poiché le drammaturgie sono scritte in lingua arbëreshe e l’attore ha la possibilità di studiare un testo figlio della cultura e recitarlo di fronte ai componenti della sua stessa comunità.
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In Italia gli arbëreshë sono circa 100.000 distribuiti in varie regioni, come la Sicilia, la Calabria, l’Abruzzo, il Molise, la Puglia”.
Che differenza c’è tra la lingua albanese e l’arbëreshe?
In realtà è una lingua antica, ma ci sono molti termini che si equivalgono con quella di oggi. Questa nostra lingua antica ribadisce la nostra identità culturale.
Mario Calivà è un giovane sui 30 anni. Ma la sua vera età ha tenuto a non dirla, cosa che di solito è normale tra le signore.
È un bel ragazzo, moro, dagli occhi di fuoco, ma non vanitoso, alto un metro e 85. Abita bene il suo mondo. Anche se a volte può sembrare cupo, un po’chiuso, introverso, in realtà è un ottimista nelle cose in cui crede. Perché sostiene che “chi opera nel sociale e si attiva, avrà molte possibilità di arrivare alle mete che si era prefisso”.
Come è stata accolta negli ambienti politici/diplomatici la sua decisione di tenere alta la lingua arbëreshe?
Molto bene. Per esempio Mario Bova, ambasciatore italiano a Tirana nel periodo 1999-2003 ne è entusiasta, come anche ambasciatrice albanese a Roma Anila Bitri Lani, che ci stimola a portare avanti questi progetti.
Ci sono giovani che studiano questa lingua antica?
Ce ne sono alcuni. Poi, attraverso il teatro, i giovani entrano direttamente in contatto con le dinamiche di cui parlavo sopra. Attraverso il teatro poi si crea una sorta di comunità.
Mario Calivà ha molte sfaccettature. Non è un estroverso, anche se ascolta volentieri persone che sente affini. È elitario, anche se non fa distinzione di ceti: lui parla volentieri con il contadino o il professore purché siano autentici.
Non sopporta le persone che parlano ad alta voce. Le elimina senza sapere chi siano. Non le sopporta. È un ansioso, ma non depresso. La cosa che lo angoscia di più è la consapevolezza della brevità della vita. È chiaro che al momento la fede è latitante. L’eternità è un concetto entra nella sua poetica artistica.
Oltre alla poesia coltiva con successo la fotografia.
La fotografia per me è la luce di un istante che ha la potenzialità di protrarsi fino alla fine del tempo. Mario Calivà
Nello scatto cerco quel momento, quella visione che diventa poesia. Il meccanismo è lo stesso, solo che al posto del poeta e della sua penna è lo scatto di me fotografo, sempre poeta che scrive attraverso la luce. Questa è proprio la differenza sostanziale.
Tuttavia nei significati poesia e fotografia salpano nello stesso porto che è quello dell’arte che attesta un passaggio, una traccia che è prova dell’intenzione umana di snodarsi verso l’infinito e oltre”.
Tra le sue molteplici attività, c’è anche l’esperienza che ha fatto alla RAI.
“Ho fatto un’esperienza di tre mesi alla redazione di Rai Cultura. Ho avuto modo di conoscere molti autori e vedere da vicino il loro lavoro.
Ringrazio ancora la RAI per avermi dato questa bellissima opportunità. Inoltre ho avuto modo di conoscere Paolo Mieli e regalargli una copia del mio libro sulle testimonianze dei sopravvissuti alla strage di Portella della Ginestra.
Ad una persona così attiva chiedo come si svolge la sua giornata.
Studio, leggo, scrivo. Mi piacerebbe fare il poeta a tempo pieno, perché la poesia da cibo all’anima, ma non me lo posso permettere. Il poeta, attraverso l’introspezione, ha modo di vedere le cose nella loro essenza. Tutto quello che ruota intorno alla scrittura è un pretesto per descrivere il mondo e raccontarne le dinamiche umane”.
La sua filosofia:
Se hai mente di fare una cosa, non puoi dire che è impossibile. Se uno si pone da ottimista, deve cercare di raggiungere la meta che si era proposto.
La regola per raggiungere l’obiettivo per essere migliore? “Studiare sempre, cercare la dimensione etica. L’impegno è la prima regola. Devi avere qualcosa da offrire”.
Non è semplice decifrare l’animo di Mario, pervaso da mille sfaccettature. Legge 5 libri alla settimana. Ama il neorealismo magico, quello di Gabriel Garcia Marquez. Naturalmente Samuel Beckett e tutti i Greci, Sta rileggendo per la seconda volta, l’Ulisse di James Joyce nella traduzione di Gianni Celati (che non è una passeggiata tra alberi in fiore).
Baudelaire diceva “basta con la bellezza metafisica delle cose che vediamo, la poesia descriva l’essenza delle cose, il rapporto tra l’uomo e il tutto.
“Sono simbolista – aggiunge- L’uomo è all’interno di una giungla di segni e questi segni vanno decifrati. Il poeta, attraverso l’ispirazione, ha il modo di vedere le cose nella loro essenza. Chi non capisce la poesia è perché fa l’errore di contemplarla unicamente dal punto di vista del poeta. La poesia è un’autoanalisi. Devi tuffarti dentro”.
Insomma lei come è?
“Certo, ho alcune fissazioni, ma amo il silenzio, la pacatezza, mi sento simpatico”.
Mario Calivà è poeta, drammaturgo, fotografo, dottore in economia e finanza, laurea in discipline dello spettacolo e da poco diplomato in drammaturgia e sceneggiatura, presso l’Accademia d’arte drammatica Silvio d’Amico.
In quale ruolo si sente più rappresentato?
Nella poesia e nella scrittura drammaturgica.
Ha presentato, con successo, a Roma, il suo libro di interviste ai sopravvissuti alla strage di Portella della Ginestra , avvenuta in Sicilia il primo maggio del 1947.
D’altra parte gli arbëreshë devono molto alla Sicilia, perché li ha accolti e ha consentito loro di preservare le proprie specificità culturali.
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Lei sta scrivendo sugli ebrei. Non pensa di parlare anche del ruolo che hanno avuto gli albanesi per la salvezza degli ebrei?
Si, infatti sto cercando ulteriori informazioni in merito.
Ha all’attivo diversi romanzi inediti: Il prossimo in uscita sarà “MISERIA”, un romanzo di fantasia, che racconta l’affannosa ricerca dell’altro. Inoltre, anche in uscita la sua nuova raccolta di poesie dal titolo “OLTRE L’OBLIO DELLA VOCE”.
Ha pubblicato inoltre anche altre raccolte di poesia come “PERCEZIONI” e LA LUCE DEI PUNTI LONTANI”.
Mentre le sue opere teatrali in lingua arbëreshe sono:
- Burri me këmben te lucja (L’uomo con il piede dentro la pozzanghera)
- Ka bësh skurse ngë të nget (Fa come se non ti importasse)
- Kuatra e Shën Xhintot (Il quadro di San Xhinto)
- Tuke pritur udhëtarin e qëroit (Aspettando il viaggiatore del tempo)
- Kanolli (Il cannolo)
Ho avuto modo di leggere due sue drammaturgie (scritte in italiano) dal titolo Il riscatto e Il mare color arancio. Emergono soprattutto la profondità e l’autorialità di Mario. Spero che qualcuno le porti in scena al più presto.
Le Feste principali di Piana degli Albanesi
Le principali sono:
23 Aprile San Giorgio che è il nostro patrono. Viene organizzata una processione dal comitato e il simulacro del Santo viene portato in giro per le strade del Paese.
Il 2. Settembre. Un’altra festa molto importante è quella della Madonna dell’Odigitria, la Pasqua in cui si manifesta la nostra identità sia a livello estetico grazie alla sfilata delle donne vestite in abito tradizionale.
Il 30. Agosto un’altra festa importante, nel giorno in cui, nel lontano 1488 vennero firmati i capitoli di fondazione del nostro Paese.
Non va però dimenticato il Primo Maggio, la festa che si organizza ogni anno a Portella della Ginestra.