Ho intervistato Eugert Zhupa, pluri campione di Albania di ciclismo su strada e primo ciclista professionista della storia del ciclismo albanese.
Quest’anno ha partecipato al giro d’Italia dove è stato tra i protagonisti più attivi, sempre molto combattivo e pronto a buttarsi nella fuga di turno. Nato nel 1990 nella provincia di Durazzo, a 6 anni si è trasferito nella provincia di Reggio Emilia dove è cresciuto, lui è la sua passione per il ciclismo. Ci siamo fatti una chiacchierata e abbiamo parlato di molte cose, ciclismo – sicuramente – ma anche integrazione, Albania, immigrazione, identità.
Zhupa lei è il primo ciclista professionista della storia d’Albania, non ha vinto il campionato quest’anno perché si è rotto la mano qualche giorno prima della gara, ma ha vinto praticamente tutti quelli precedenti ed è campione nazionale a cronometro. Come ci si sente a essere il dominatore indiscusso del ciclismo albanese?
Il ciclismo in Albania è seguito da pochi e praticato da pochissimi, senza dubbio per quei pochi che lo seguono o i ragazzi che lo praticano io sono una specie di esempio e in molti sognano di correre le corse che sto correndo io. In un certo senso, sto facendo la storia e questo non può che farmi emozionare perché sto realizzando proprio quello che volevo da piccolo. Durante i primi anni della mia carriera sentivo un po’ il peso di questo mio primato, mi sembrava di essere un po’ il Garibaldi del ciclismo albanese, adesso mi sto abituando.
È un peccato, però, che alla gente non interessi molto il ciclismo, perché considerato quanto abbiamo la testa dura e come riusciamo a realizzare i nostri obiettivi con determinazione, in questo sport che è di gamba e fatica ma soprattutto di testa, l’Albania potrebbe sfornare diversi talenti.
A proposito di talenti si sta muovendo qualcosa nella scena albanese? è in contatto con la federazione?
Sì, con la federazione parlo spesso, e provo a dare loro qualche idea su come fare crescere i ragazzi che si avvicinano al ciclismo. Spesso non vengo capito soprattutto quando dico loro della necessità di mandare i ragazzi all’estero, in Italia o in altri posti dove la tradizione del ciclismo è più viva, dove fare crescere la passione che è difficile che nasca in un contesto dove in pochissimi praticano questo sport. Ma comunque piano-piano qualcosa sta venendo fuori, adesso ci sono addirittura delle donne che corrono in bici e lo considero un grande successo. C’è ancora molto da lavorare per migliorare tutta la scena, ma qualcosa si sta muovendo.
Quest’estate mentre facevo i miei soliti giri nel sud Albania pensavo a quanto sarebbe bello se il Giro d’Italia facesse qualche tappa in Albania. Anche per il turismo sarebbe una bella spinta.
Sì, decisamente. Lo dico sempre alla Federazione che bisogna provare questa strada, nonostante i costi siano effettivamente molto alti, ne avremmo un ritorno di immagine incredibile. Potremmo fare vedere a tutto il mondo, perché il giro lo seguono in tutto il mondo, che posti bellissimi abbiamo. Dovrebbe esserci la volontà politica di adottare una strategia di questo tipo.
Magari facciamo partire una petizione a Edi Rama.
Perché no?
Senta, cosa significa essere un ciclista professionista?
Le prime parole che mi vengono in mente sono sacrificio e fatica. Il ciclismo è quello, uno sport molto duro, molto diverso dagli altri sport. È uno sport che prende tutta la tua vita, non si tratta solo degli allenamenti duri, delle gare durissime, è tutto quanto che si deve adeguare al tuo essere ciclista professionista: la dieta, gli orari, tutto. Nella bici sei solo tu, non puoi darti il cambio. Quando fai il giro d’Italia devi fare 20 giorni sempre a tutta e ci sei solo tu e la tua bici. Non è uno sport da persone normali.
E come mai lei invece di sognare di diventare ricco e famoso giocando a calcio come tutti, ha scelto questo sport da pazzi fatto di sacrifici e diete ferree?
Per passione. E la mia è nata da piccolissimo, quando mio padre, che lavorava in Italia, mi mandò una bici con le rotelline, avevo due anni, e ce l’avevo solo io nel paesino in cui vivevamo. Quando giravo per le strade tutti me la chiedevano. Poi ho iniziato a fare dei numeri, e da lì è nata questa passione. Quando sono venuto in Italia, mio padre mi ha portato a giocare a calcio, mi piaceva anche ma non era la mia passione. Io insistevo con la bici ma mio padre non ne voleva sapere fino a quando un giorno abbiamo fatto una scommessa con lui e un mio vicino di casa: se fossi riuscito a fare una salita vicino a casa nostra un po’ ripida con la bici del mio vicino, mi avrebbero iscritto a una squadra di ciclismo. Ho fatto una fatica assurda, a un certo punto stavo per mollare ma ci sono riuscito. E da lì è partito tutto.
Era piccolo, a che età ha iniziato?
Avevo 10 anni. Ero contentissimo, dormivo con la bici in camera. All’inizio mi facevo spesso male perché non riuscivo a slacciare le scarpette, cadevo tante di quelle volte, ero sempre insanguinato. I miei a un certo punto volevano buttarmi via la bicicletta, ma li ho minacciati di andare via di casa e da lì hanno capito quanto era forte la mia passione. Poi ho iniziato a vincere le prime gare e mio padre ha iniziato ad esaltarsi. Adesso la nostra casa è una specie di museo, trofei, medaglie, foto.
A proposito di suo padre, mi è venuto in mente di aver letto nella sua rubrica “Zhupa del Giorno” , un diario del suo Giro d’Italia che ha tenuto su Bidon , una cosa bellissima che dice, parlando della sua famiglia. Scrive: mi sento un privilegiato rispetto a mio padre. Un sentimento questo che accomuna un po’ tutti noi cosiddette seconde generazioni. Io ho avuto la strada spianata – dice, mentre cosa ha significato per suo padre, per i nostri padri arrivare in un paese straniero?
Loro sono partiti proprio da zero, tanto per cominciare il viaggio in mare, con tanta gente che è morta cercando di arrivare in Italia, poi arrivarci, trovare un lavoro, da soli, senza nessuno. Poi gli albanesi non hanno goduto di questa gran fama per molto tempo. Facevano una vita tremenda, tutti i soldi che guadagnavano cercavano di mandarli a casa dalla famiglia, nessuno divertimento, solo lavoro. E’ stato tutto molto duro, non oso pensarci. Io sono arrivato tranquillo, con i documenti, sono andata a scuola, ho iniziato a correre in bici. Ho avuto una vita sicuramente da privilegiato. L’unica cosa che mi sono dovuto subire è un po’ di razzismo. Mi ricordo che mi dicevano che voi albanesi siete tutti uguali, intendo cose non belle e io gli ho risposto “beh io sarò il primo albanese di cui parleranno bene i giornali”.
In un’intervista che ho letto le fanno la domanda che ci siamo sentiti fare tutti quanti: ma tu ti senti più italiano o albanese? Che noia. Non gliela farò anche io, ne farò una molto più difficile: come si fa a trovare una propria identità in questa cosa mista, che per forza di cose siamo noi nati di là e cresciuti di qua?
Purtroppo la gente dovunque vai guarda alla propria nazione come se fosse la migliore del mondo, anche nel ciclismo è un po’ così. Mi rendo conto che sia più difficile per me trovare squadra e farmi strada, ci sono tanti pregiudizi e io sono il primo albanese professionista. Lo slogan “prima gli italiani” vale anche per il ciclismo, purtroppo. Anche se ho la cittadinanza e sono cresciuto qua, rimango comunque un albanese. Per noi è più dura, alla fine noi siamo in un territorio che a noi piace considerare nostro, però non saremo mai considerati italiani, forse nemmeno i nostri figli. Però a me dà più soddisfazione raggiungere gli obiettivi facendo il triplo della fatica degli altri. Bisogna reagire nella vita, se non ci ribelliamo a questo non realizzeremo mai niente nella vita.
Senta una mia curiosità personale: lei fa del lavoro “sporco”, è un gregario al servizio del capitano della sua squadra, una figura eroica (almeno per me), quando le tappe sono lunghissime e deve faticare per portare su il suo capitano o quando va in fuga e spinge forte sulle gambe e i tornanti non finiscono mai, che cosa pensa?
Vedi il vuoto, davvero. Non vedi l’ora di tagliare la riga dell’arrivo. Non connetti, davvero, non sai dove sei, cosa stai facendo, vedi il vuoto. È una sensazione strana da spiegare. Il nostro fisico – ho scoperto in questi anni – è capace di fare cose assurde. Il problema è la testa, che deve essere sempre connessa con il corpo.
Hai finito il giro, 21 lunghissime tappe, alcune interminabili, cosa hai provato all’ultimo traguardo? Hai mai pensato di mollare? E quale è la cosa più bella del tuo giro?
A Roma ho anche provato a vincere la tappa, in realtà. Ero orgoglioso di me stesso di aver finito un giro per me durissimo. Avevo un ruolo particolare quest’anno, il capitano della mia squadra era un velocista e dovevo stare con lui. Nelle tappe in cui potevo puntare alla vittoria di tappa dovevo stare con il mio velocista, mi sono sentito un po’ castrato. Quando ho provato a fare la mia corso, ho avuto degli ultimatum dalla mia squadra, quindi è stata molto dura mentalmente. Poteva darmi tanto questo giro, ma sono stato frenato.
“Incerto è il futuro” ha scritto in uno dei suoi ultimi post. Dove correrà l’anno prossimo? E cosa sogna per il futuro?
Il mio obiettivo è fare le olimpiadi del 2020 con la maglia dell’Albania. Quindi cercherò di trovare una squadra che mi consenta di raggiungere questo obiettivo. Il mio sogno sarebbe fare una tappa del giro d’Italia in Albania e vincere lì con tutti che mi acclamano. Per me l’emozione più grande della mia vita è stata quando il giro è arrivato a Reggio Emilia e c’erano tutte le persone che mi aspettavano, io sono cresciuto lì, vivo lì, tutti mi conoscono. è stato bellissimo. Ecco sogno una cosa di questo tipo con una tappa in Albania del giro, che vinco in un trionfo di bandiere albanesi.
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Questo articolo è disponibile anche in lingua albanese dal titolo “Eugert Zhupa, çiklisti profesionist që ëndërron një Giro d’Italia në Shqipëri”
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Conosci il Programma “Coinvolgere La Diaspora Albanese nello sviluppo Sociale ed Economico dell’Albania“, finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione e lo Sviluppo (AICS), ed appoggiato politicamente dal Ministero Italiano degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale?
Il programma è realizzato dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni – l’Agenzia delle Nazioni Unite per le Migrazioni (OIM) in collaborazione con il Ministro di Stato Albanese per la Diaspora, il Ministero Albanese per l’Europa e gli Affari Esteri, il Ministero Albanese delle Finanze e dell’Economia e l’AICS.
L’obiettivo di questo programma è di contribuire a migliorare il coinvolgimento della Diaspora Albanese nello sviluppo dell’Albania. Vai alla pagina del Programma