Il merito è di un giovane attore, Aleksandros Memetaj, 26 anni, che ha scritto e interpretato a teatro “Albania casa mia” .
Una storia autobiografica, con l’ambizione però, di parlare a tutti. Il successo che gli è stato tributato è una garanzia della riuscita.
Osannato dalla stampa di tutte le tendenze politiche, ha all’attivo 70 repliche nelle principali città della Penisola, che ha battuto da Nord a Sud, e il coronamento finale a New York, “In Scena! Italian Theatre Festival NY ”
La Storia
Quando aveva appena sei mesi, suo padre con lui in spalla, per abbandonare il paese ridotto alla fame dal regime comunista, fugge, scavalcando quel muro pieno di cocci aguzzi di bottiglie, con la polizia che gli puntava addosso il fucile. Riesce, su un gommone traballante, a raggiungere la costa italiana.
La famiglia si stabilisce nel Veneto, dove il padre, con due lauree alle spalle, si guadagnava da vivere con un doppio lavoro: pizzaiolo e calzolaio. Aleksandros più tardi lo aiuterà a fare le pizze.
A 19 anni però decide, contro il volere del papà, di lasciare la casa dei genitori per approdare a Roma. Aveva un’idea precisa di cosa volesse e, in attesa del momento magico, per mantenersi, si mette a fare e vendere pizze, come gli aveva insegnato il padre.
Chi è Aleksandros Memetaj

Un giovane fuori degli schemi della nostra società. Ha una doppia natura e dentro di sé due anime: albanese ed italiana. Più prosaicamente aggiunge: “sono fiero di avere i piedi in entrambe le scarpe”.
I genitori albanesi, figli del comunismo, di cui hanno assimilato quei valori che, trasferiti ad Aleksandros, lo hanno formato: il senso del sacrificio, l’impegno e la precisione nel lavoro, la tenacia per arrivare alla meta. E poi l’istruzione, fondamentale, secondo il padre, perché “la cultura è la sola cosa che ti salverà”.
Ed è proprio al padre Vasil 56 anni, che considera il suo vero eroe, che ha dedicato “Albania casa mia”.
“Mio padre, non voleva che andassi via di casa, ma, dopo che ha visto il mio debutto a teatro, si è commosso fino alle lacrime e ha deciso di finire di pagare le rate della mia macchina”.
In Italia raggiunge il coronamento del suo sogno: fare l’attore. “Devo tutto al regista Giampiero Rappa , che ha creduto in me, ha curato la regia del mio primo lavoro, voluto fortemente da lui, ed ora a 42 anni è un eccellente regista e drammaturgo e mio grandissimo amico.”
Poiché Aleksandros non dimentica chi in Italia lo ha aiutato, ci tiene a ringraziare pubblicamente l’imprenditore Maurizio Valentini, proprietario a Roma di quattro pizzerie, il quale, gli insegna, oltre che a fare bene la pizza, a diventare adulto.
Parlando per due ore con Aleksandros, mi sono sentita alleggerita. Avevo la sensazione di volare in un altro mondo, quello autentico, lontano dalla pesantezza della quotidianità, fatta di scadenze, di impegni, di notizie, di frastuoni, di eventi quasi tutti superflui, ma che hanno il potere di appesantirci la mente e l’anima.
Forse anche perché la sua Weltanschauung, nonostante la differenza di età, è in sintonia con la mia, che, nel vortice della attività giornalistica, è sempre in cerca di un angolo dove, in solitudine, poter meditare.
Il suo curriculum, così giovane, è piuttosto affollato. Il padre voleva che facesse il medico, ma lui, avendo paura degli aghi, non poteva certo accettare. Quindi studia per tre anni filosofia, che non è estranea alla sua formazione, anche perché, avendo fatto nel passato dei tornei di filosofia, regolarmente vinti, doveva improvvisare davanti al pubblico.
Già allora aveva capito che gli piaceva comunicare con la gente. D’altronde è sempre stato affascinato dall’uomo e dai suoi numerosi perché. Per cui, “vivendo in quest’epoca, in cui il progresso tecnologico e l’alienazione di massa stanno prendendo sempre più piede, mi sono concentrato sulla comunicazione”
Cerco di interrompere per un momento il torrente di informazioni che mi sommergono senza sosta, e gli chiedo di tracciare un suo autoritratto. Lui cerca di sfuggire, ma, incalzato da me, con un leggero rossore che sale a colorare le sue pallide gote, mi risponde.
“Sono sensibile e molto fantasioso, un po’ bambino ma anche maturo. Non sono portato a fare la vita che c’è fuori, perché la gente quasi sempre è chiusa agli altri, è difficile aprirsi, cosa per me molto importante. Per questo ho sentito il bisogno di fare l’attore, per comunicare. E anche quando scrivo (la mia seconda passione) il “di fuori” non esiste”.
“Fare l’attore per me è ossigeno. È un modo per sfuggire a questa società che non mi piace. Perché è una rincorsa vorticosa verso un traguardo. È frenetica, non dà tregua. L’aspetto tecnologico che è fondamentale, è pericoloso. Stiamo entrando nella realtà virtuale. La soglia di attenzione si è abbassata, la gente guarda il cellulare, illusa che i colori che vedono dentro siano più belli di quelli di fuori”
Insomma Aleksandros vive nel suo mondo che si sta sempre più dilatando. Per la prima volta ha debuttato come attore non protagonista nel film “Brutti e cattivi” di Cosimo Gomez e parteciperà ad una trasmissione di Sky “The Miracle” , scritto da Ammaniti in cui farà la parte di un malvivente, coltivatore di marjuana.
È un pragmatico, un pignolo stakanovista, che vive secondo il motto di Socrate: hic et nunc , ossia cercando di fare al meglio il lavoro che sta svolgendo. “Non sentirmi mai appagato è la vera molla di un artista. Mi piace trovare il difetto di ciò che faccio”
“Mi sono posto degli obiettivi, che sto perseguendo. Sono tranquillo, perché so che le cose dipendono solo da me. Fino all’anno scorso mi mantenevo facendo le pizze, mentre da un anno e mezzo vivo facendo dell’arte”.
Come vive la sua giornata?
“Mi sveglio presto (anche se potendolo, potrei dormire fino a mezzogiorno), e tutto ciò di cui mi occupo è solo arte. O lavoro in sala, o faccio le prove di un nuovo spettacolo, curo la dizione, vado in scena, incontro ragazzi e ragazze che come me hanno sete di sapere. Faccio un po’ tutto perché l’attore è come l’atleta, deve allenarsi sempre con continuità, senza smettere mai.
Per la drammaturgia non mi sento ancora pronto, sto ancora imparando.
Poiché ai registi piace la mia scrittura devo cercare di forzare la mia fantasia.”
Anche se la concretezza è la cifra del suo variegato carattere, non rinuncia a sognare. I famosi sogni nel cassetto di Aleksandros sono tre e me li elenca così, come fosse la lista della spesa.
Riguardano il teatro naturalmente e sono divisi in tre fasi.
Prima fase, quella giovane, ossia l’attuale, che è in programma la prossima estate, è recitare l’Amleto.
Seconda fase, che va dai 35, 40 anni, il testo sarà “Aspettando Godot” di Beckett , perché si tratta di due personaggi adulti, e poi perché va pazzo per il teatro dell’assurdo.
Terza fase che si aggira intorno ai 60 anni, è l’apoteosi. Interpretare “Riccardo III”, un testo non proprio facile, un azzardo, specialmente dopo l’interpretazione che ne ha fatto Al Pacino
“Alla fine stop. Non ho intenzione di lavorare per sempre”
Ed io penso, conoscendo il personaggio “Mai dire mai”
Tant’è vero che sta già programmando un testo sull’Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam e ha in cantiere scritti da lui.
La scena
In un piccolo spazio Aleksandros, all’interno di un rettangolo nero, su cui è disegnato il profilo dell’Albania, cappuccio in testa, pantaloni e felpa, scalzo, nient’altro, rimarrà chiuso per tutto lo spettacolo, dilatandolo però a territorio di una complessa geografia della memoria. Ma questo gli basta per trasformarsi in suo papà, in sua mamma e nel fagottino che era lui piccolo.
Una storia vera e di coraggio è il commento di una giornalista, una esperienza forte, uno shock positivo.
D’altra parte è impossibile racchiudere in un solo articolo la vastissima rassegna stampa, tutta elogiativa, sul lavoro di Aleksandros “ALBANIA CASA MIA”
“Ho conosciuto Aleksandros in un laboratorio teatrale e, dopo aver ascoltato la sua storia, gli ho proposto di farne un monologo. Perché la difficoltà di trovare la propria identità, come anche il rapporto fortissimo fra padre e figlio rendono la vicenda universale”. Il regista Giampiero Rappa, nella STAMPA di Torino
Il R.it di Napoli : “Aleksandros racconta con grazia furibonda, emozionata e emozionante, un suo percorso autobiografico “a ritroso” che termina nel giorno di uno sbarco di albanesi al porto di Brindisi: uno sbarco che fece epoca e che segnava la fine di un incubo e l’inizio di una vita colma di speranze. Aleksandros così titola la sua storia: “Dall’Albania del regime al Veneto. La mia vita, viaggio meraviglioso”.
Altri scrivono:” una storia fatta di orgoglio, di lacrime amare e di lunghi arrivederci”
Aleksandros d’altronde si sente figlio di questo viaggio, figlio del mare, simbolo di una popolazione che migra.
“Sento dentro lo strappo dal luogo in cui sono nato. Lo rivivo ogni volta che torno a Valona. Mi ribolle il sangue quando vedo la mia terra” Aleksandros Memetaj
Nota storica
1991: esodo biblico. 27.000 migranti fuggivano dalla crisi economica e dalla dittatura comunista. Dopo la morte di Enver Hoxha-1985 e la caduta del muro di Berlino 1989, nelle principali città dell’Albania (Tirana, Durazzo, Valona) divampavano i nuovi movimenti politici che chiedevano di viaggiare fuori dallo Stato. Migliaia di persone cercavano di scappare verso l’Occidente, partendo dai porti di Valona, Durazzo con navi, pescherecci, gommoni.