Nel gergo popolare, nel Centro-Sud Albania le donne lamentatrici vengono chiamate “llahinka”.
Esiste un detto nella tradizione popolare albanese: “Të qafshin me llahinka!” – “Che siano le lamentatrici a piangere su di te!”, questo, interpretato come segno di onore e rispetto per un defunto.
Accompagnato dal canto funebre o da una vera e propria esibizione poetica in onore del defunto, dalla convinzione per il raggiungimento di una dimensione ultraterrena, il rituale mortorio di una persona, è guidato in primis dalla considerazione quale, grave perdita per la famiglia del defunto e per tutti i conoscenti.
Sebbene il fenomeno del canto funebre, questa volta, quello effettuato da parte delle donne, sia diffuso da Nord a Sud dell’Albania, mi soffermo in un caso funebre a cui ho assistito in una famiglia originaria del Sud dell’Albania.
Al Nord invece, come lamentatrici si incontravano le cosiddette, “Vajtojca”.
Ho lasciato l’Albania quando avevo 18 anni per cui, per fortuna da un lato, non ho avuto modo di partecipare in tante cerimonie funebri che potevano essere parte della vita a Tirana, come in qualsiasi angolo del mondo.
Considerando che noi ragazzi, i familiari tendevano ed estraniarci dalla cerimonia funebre di un amico a parente. Non so perché, ma anche se un adolescente poteva eventualmente essere curioso di partecipare ad un rito funebre, gli adulti non avevano tanto piacere averci lì in quei momenti di cordoglio per il defunto. Per cui, i ragazzi giovani seguivano un po’ a distanza queste cose e sentivano vari racconti dagli adulti e dai più anziani.
Noi, come citavo anche in precedenza, abbiamo convissuto principalmente con tre religioni, quella mussulmana in maggioranza, l’ortodossa e la cattolica, per cui anche i riti funebri oppure i racconti che ci pervenivano inerenti a loro, erano differenti per dettagli e usanze.
Era la fine degli anni ’80.
Una famiglia del Sud Albania si era trasferita dal Sud, nella mia città Tirana, erano diventati nostri vicini di casa.
È capitato che purtroppo hanno avuto una disgrazia in famiglia, è morto il loro capo famiglia.
Io ero nella fase preadolescenziale e per la prima volta, la cosa che ricordo, mi fece molta impressione, furono delle donne lamentatrici che vegliavano il defunto e cantavano questi canti funebri, recitavano, in maniera programmata, con testi già preparati, grandi oratrici, dotate anche di una voce che non aveva nulla da invidiare a delle cantanti professioniste.
Quando chiesi a mia madre quale fosse la relazione di parentela di quella donna, la solista, che era colei che sembrava la più rammaricata per la perdita di quella persona, che con piagnistei e urla faceva riempire tutto il condominio con il timbro della sua voce, lei mi rispose:
“Ah, nessun rapporto di parentela tra lei ed il defunto. Lei non lo conosceva affatto. È una donna che pratica questa cosa per professione, è una professionista del canto funebre, chiamata dalla famiglia del defunto per onorarlo a dovere attraverso questi canti che mettono in evidenza tutti i lati positivi del defunto, i suoi meriti, attraverso una vera e propria tecnica del canto funebre.”
Insomma, mi sembrò così strano ai tempi questo fatto. La definii forse in modo spontaneo e superficiale, vista la spensieratezza dell’età, questa scena, “una vera e propria finzione” perché semplicemente, io associavo la morte di una persona cara al vero dolore, quello dimostrato nelle sue forme naturali, nelle forme che una persona sente veramente nel profondo del suo cuore cioè, a seconda della sensibilità della persona, c’è chi di fronte ad una grave perdita perde le parole, non ha nemmeno lacrime, c’è chi piange e urla, ma non potevo minimamente pensare che una persona estranea “recitasse” con delle formule schematiche il pianto funebre per un defunto, riportando le sue azioni positive o scelte effettuate da lui quando era ancora in vita. Tutto in benevolenza, in maniera analoga, anche nei casi in cui eventualmente si trattasse di una persona di poco merito …
E solo l’idea che la professionista in questione, facendo questo per mestiere, appena lasciata la casa dei miei vicini, probabilmente si recava in un’altra famiglia in lutto, per rimettersi a fare quelle scene di piagnisteo, con stesse formule standard, mi sembrava una cosa assurda.
Ma pian piano mi resi conto più a fondo della nostra cultura e dei nostri usi e costumi, del nostro folklore e storia. Realizzai che mi trovavo solo agli inizi del cammino di studio e quelli appena effettuati, anche in ambito di pura curiosità sul rito funebre, erano spunti che avrei approfondito anche se non per propria professione, ma solo per cultura personale, più in avanti.
Dopo la sepoltura, una folla di persone, si è recata in casa del defunto per stare vicino ai familiari in segno di cordoglio, consumando insieme il pranzo di lutto, in modo da alleviare loro il dolore. Ai tempi, tutto si faceva in casa.
Non avevano ancora iniziato ad organizzare nei locali tali eventi. Per cui, in tutto il condominio ci fu una grande mobilitazione. Tutti portammo da loro tavoli e sedie, tovaglie e posate, utensili da cucina e insomma, si cucinava in pentoloni in due –tre appartamenti del condominio, in quanto le cucine piccole e poco attrezzate della case di allora, non supportavano quel carico inusuale e il senso di solidarietà più che mai, in questi casi, naturalmente prevaleva.
Le cose che si offrivano a chi veniva a far visita erano raki, caffè alla turca, sigarette.
Si offriva anche un dolce tipico del rito funebre, “hallva”, di origine turca, rimasto dai tempi remoti nel tessuto gastronomico e folkloristico albanese.
Invece nella tavola del pranzo, il piatto caratteristico era il riso in bianco accompagnato da spezzatino di carne bovina in sughetto di pomodoro, con il quale si poteva eventualmente accompagnare il riso, oppure il brodo di carne o verdure. Il raki non manca mai nelle tavole albanesi, sia in casi di gioia, che di dolore, e in quest’ultimi, per di più, il raki è visto come grande elemento consolatorio.
Mentre il pianto funebre collettivo, costituisce un archetipo comune dal Nord al Sud dell’Albania, al Nord la differenza la fanno gli uomini che praticano il rito del “Gjama”, del grido mortorio di gruppo.
Quanto ai pranzi, a seconda del credo religioso della famiglia del defunto, essi si ripetono ad esempio al compimento del quadragesimo della morte del familiare, nella decorrenza del semestrale di morte oppure dell’anniversario.
Allo stesso tempo, sempre in base al credo religioso della famiglia del defunto, varia anche l’accoglienza in casa degli ospiti che vengono in segno di cordoglio, cambia il fatto di lasciare la porta di casa aperta per un determinato numero di giorni dopo l’accaduto, in modo che la gente venga a fare le condoglianze alla famiglia, in certe famiglie la porta di casa rimaneva aperta per ben quaranta giorni con un viavai di gente, in altre meno, varia la modalità della veglia funebre ecc …
Le frasi o formule di cordoglio che si usano in questi casi, sia per quanto riguarda le frasi di condoglianze che gli ospiti pongono, che le rispettive risposte che i familiari del defunto presentano, variano da Nord a Sud dell’Albania altrettanto.
Come precisavo all’inizio, questo mio scritto non tende naturalmente a fungere da mero “manuale di antropologia del lutto o etnologia”, ma intendevo semplicemente condividere con voi, con sommaria rapidità, questi cenni collegati al rito funebre in Albania – solo di alcuni dettagli, quelli più accentuati nel suo folklore – che penso siano peculiari dell’Albania come “Gjama”, d’altro canto (almeno ad esempio, le figure delle lamentatrici) simili un po’ anche a quelli praticati da altre popolazioni del mondo, fin dall’antichità, compreso di conseguenza anche il territorio italiano ma concentrati soprattutto al Sud, nelle sue svariate regioni o piccoli paesini.
Il detto: “Paese che vai, usanze che trovi”, penso che in questo caso, essendo il culto dei morti presente in tutte le culture popolari, nonostante di concezioni o misure differenti, ci colga con una visione allargata sul fatto che in molti aspetti umani e culturali, i nostri popoli hanno tanti punti in comune.
Questo è inevitabile per l’intera umanità, a livello globale.