Informazioni e ricerche su lingua, usi e costumi albanesi, compreso il canto funebre e vari aspetti del rito mortorio albanese riportano gli autori albanesi e stranieri quali:
Pjetër Bogdani; Pjetër Budi; Frang Bardhi in una relazione del 1641; Evlija Çelebi 1660-1664; Vincenzo Dorsa (Frascineto, 26 febbraio 1823 – Cosenza, 4 dicembre 1855) che è stato uno scrittore italiano di origine arbëreshe; Johann Georg von Hahn nel suo libro Albanesische Studien – “Studi albanesi” (1853); Robert Elsie (1950-2017); Elena Gjika nota come Dora d’Istria, quest’ultimo, pseudonimo della principessa Helena Koltsova-Massalskaya, (Bucarest, 22 gennaio 1828 – Firenze, 17 novembre 1888), che è stata una scrittrice di origine albanese ma russa e italiana per acquisizione; Zef Jubani; Girolamo De Rada, Poeta e scrittore calabro-albanese (Macchia Albanese, Cosenza, 1814- S. Demetrio Corone 1903); Luigj Gurakuqi, un intellettuale, personaggio molto noto del movimento patriottico e democratico albanese, poeta e pubblicista, nato a Scutari il 19 febbraio del 1879; Vinçenc Prennushi, religioso di Scutari, poeta, interprete, pubblicista, educatore e martire della fede, perseguitato e morto nel 1949 sotto torture disumane da parte del regime comunista albanese, nel carcere di Durazzo; Maximilian Lambertz (1882-1963), albanologo austriaco; il barone transilvano Franz von Nopcsa, paleontologo ed albanologo ecc…
Sono innumerevoli gli elementi da analizzare nel campo del rituale funebre in Albania, ma io mi vorrei soffermare in due determinanti, quali: “Gjama e burrave” – ” Il grido mortorio di lamento maschile” applicato nella “Malësia e Madhe” – “Le Grandi Montagne” – nell’estremo Nord Albania ed il pianto funebre o piagnisteo delle donne lamentatici del Sud Albania.
In tutto il mondo, le usanze inerenti ai punti cruciali delle fasi di vita dell’uomo, quali nascita, modo di vivere, matrimonio e morte sono peculiari da un lato, e omologhe dall’altro.
Cioè, esistono dei filoni comuni nel panorama etnologico dei popoli riguardo a usi, riti e costumi, così come un popolo viene differenziato dall’altro, per le sue peculiarità in merito.
Riguardo all’evento “morte” sono altrettanto molteplici i riti funebri e l’insieme dei modi in cui si esprime il cordoglio alla famiglia del defunto, da costituire uno degli elementi più importanti dello studio di un determinato popolo dal punto di vista collegato all’antropologia culturale, in particolare quella del lutto e l’etnologia.
Presenti nella sua storia, nel folklore e nelle tradizioni di un popolo, i riti mortori diventano una sua peculiarità sotto vari aspetti.
Non essendo prettamente esperta delle branche sopraccitate di studi e tanto meno una tanatologa, potrei provare ad esporre solo a livello personale cittadino, le mie modeste impressioni di esperienza e conoscenza diretta di alcune occasioni di riti funebri celebrati in Albania.
Ergo, partendo dal presupposto che in Albania non esiste un’unica religione, occorre tenere presente che alcune differenze notevoli nella celebrazione del rito funebre da Nord a Sud della Terra delle Aquile sono dettate anche da questa diversità religiosa.
Il rito del Gjama
Il grido o lamento mortorio tipicamente maschile. Uno dei più significativi rituali di cordoglio nelle Grandi Montagne albanesi
Secondo vari studi e ricerche, pare che l’usanza da parte degli uomini “malësorë” albanesi, i montanari dell’estremo Nord Albania di annunciare la morte di una persona nota alla comunità, con forti urla e grida, disposti in fila oppure in un ordine preciso accompagnati da determinati gesti per uno specifico ritaglio di tempo, che varia dai venti minuti ad un’ora, sembra che sia nata a partire dal 1468 con la morte dell’Eroe Nazionale Albanese, Scanderbeg.
E da allora, sia diventato una vera e propria istituzione rituale mortoria nelle zone sopraccitate, in cui vigeva il Kanun di Lekë Dukagjini – Il Kanun (Canone) di Lekë Dukagjini è un codice di leggi consuetudinarie che si sono trasmesse oralmente per secoli, soprattutto nel Nord Albania – in momenti di lutto, specialmente se si tratta di persone di spessore, che si sono contraddistinte soprattutto per l’onestà e la correttezza ai riguardi dell’intera comunità.
Un rito da rispettare e curato nei minimi dettagli dagli organizzatori professionisti come ad esempio: il numero degli uomini che fanno parte del gruppo dei “gjëmëtarë” per lanciare l’urlo di lamento mortorio, è di regola di minimo dieci, gruppo a cui venivano eventualmente aggregandosi altri.
Più il gruppo si allargava, maggiore era il senso di rispetto mostrato per il defunto. I gesti ed i movimenti che accompagnano le urla, sia per quanto riguarda le persone del gruppo delle urla stessi, che per quanto riguarda il loro approccio con il defunto, i loro passi, prima il loro posizionamento a distanza dal defunto e man mano, avvicinandosi ad esso, le loro esclamazioni, i colpi che si davano con i pugni al petto, il graffiarsi il viso fino a sanguinare, il tipo di esclamazione che variava a seconda dell’età del defunto, per i più giovani si usava un certo grido e per i più anziani un altro, ecc…
È collegato alla morte di Scanderbeg la nascita del rito in questione, ma si dice che esso sia molto più antico, citato anche molto prima, nell’ Odissea di Omero.
“Il rito funebre del Gjama” e la dittatura di Enver Hoxha
Il rito del “Gjama”, il grido o lamento mortorio maschile, tipico delle Grandi Montagne albanesi iniziò ad essere proibito già a partire dal 1945 con l’instaurazione del potere del regime dittatoriale di Enver Hoxha, considerandolo come un rito collegato allo status vivendi dell’arretratezza culturale popolare.
Rimase però conservato dai più anziani e tramandato alle nuove generazioni per poi riprendere con la democrazia ai primi anni ‘90, ma naturalmente in dimensioni ridotte ed oggi si trova in via di dissolvimento o praticamente già dissolto, di cui rimane solo il vago racconto delle vecchie generazioni.
Il detto: “Paese che vai, usanze che trovi”, penso che in questo caso, essendo il culto dei morti presente in tutte le culture popolari, nonostante di concezioni o misure differenti, ci colga con una visione allargata sul fatto che in molti aspetti umani e culturali, i nostri popoli hanno tanti punti in comune.
Questo è inevitabile per l’intera umanità, a livello globale.