Il regime comunista albanese dichiarò la religione illegale e condusse una lunga campagna di oppressione contro i credenti cristiani e musulmani, imprigionando e condannando a morte gli appartenenti al clero e perseguitando le loro famiglie, ma alcuni continuarono a praticare la loro fede in segreto.
“Dopo la fine della guerra, i comunisti arrivarono portandosi appresso la loro distruzione … I nostri professori di religione furono fucilati … imprigionati … ci trattarono come animali”.
Padre Ernest Simoni Troshani, un sacerdote cattolico albanese, ricorda il periodo successivo alla fine della Seconda Guerra Mondiale nel suo paese, quando il regime guidato dal dittatore comunista Enver Hoxha cominciò la repressione del clero e dei credenti religiosi.
Poiché Troshani aveva tenuto messa in memoria del Presidente americano John Kennedy da poco assassinato nel novembre del 1963, fu arrestato alla vigilia di Natale e trascorse 28 anni in prigione.
Padre Troshani non fu la sola figura religiosa a subire una grave repressione sotto il regime. Venivano perseguitati i sacerdoti cattolici che osavano battezzare i bambini, così come i religiosi musulmani che protestavano in pubblico contro il comunismo.
La sofferenza di questi uomini fu il risultato della guerra condotta contro i religiosi di tutte le fedi dal ‘Partito del Lavoro’ guidato da Hoxha sotto lo slogan “La religione è l’oppio del popolo” – una citazione adattata dagli scritti del filosofo comunista Karl Marx.
Nel 1976, il Partito dichiarò addirittura l’Albania il primo Paese ateo al mondo, imponendo il divieto di credo religioso nella Costituzione e prevedendo sanzioni in caso di partecipazione a cerimonie e di possesso di libri religiosi. Nel frattempo, veniva incoraggiata la fiducia in Hoxha, nel comunismo e nel partito.
Attraverso un sistema di propaganda, ben organizzato anche attraverso i mass-media e i film, lo stato dittatoriale denigrò i religiosi, presentandoli come esempi sociali negativi, al servizio delle forze politiche dell’Occidente o persino membri pericolosi di gruppi armati che cercavano di prendere il potere con la forza.
Ma nonostante l’impegno dello stato nella distruzione delle istituzioni religiose, l’incendio dei libri sacri, la prigionia e l’esecuzione di sacerdoti e imam, alcune famiglie albanesi hanno continuato a praticare la loro fede in segreto, a rischio della propria vita.
Hoxha annuncia il divieto di religione
La guerra anti-clericale iniziò dopo che i comunisti salirono al potere in Albania nel 1945. Primi bersagli, visti come una minaccia, furono i religiosi cattolici, che avevano forti legami internazionali e respingevano la propaganda comunista.
Il 6 febbraio 1967 Hoxha tenne un discorso che lanciò ufficialmente la battaglia contro “l’ideologia religiosa”. Il discorso fu seguito da una lettera del comitato centrale del Partito del Lavoro che recitava “La religione è l’oppio del popolo. Dobbiamo fare del nostro meglio affinché tutti possano capirlo, anche quelli che ne sono avvelenati (che non sono pochi). Dobbiamo guarirli. Questo non è un compito facile, ma non impossibile “.
La retorica politica e la forte propaganda mediatica spinsero i giovani a prendere di mira i luoghi religiosi. Secondo il Museo della Memoria, un progetto online dell’Istituto Albanese di Studi Politici, 2.169 istituzioni religiose vennero chiuse, tra cui 740 moschee, 608 chiese ortodosse, 157 chiese cattoliche e 530 tra türbe (mausolei funebri in stile ottomano) e tekke (conventi dei musulmani di credo sufista). Il patrimonio culturale e storico fu distrutto insieme a loro.
Tutti i credi religiosi furono completamente banditi dalla Costituzione della Repubblica Popolare d’Albania nel 1976, nove anni dopo il discorso di Hoxha.
L’articolo 37 così affermava: “Lo Stato non riconosce nessuna religione e sostiene e sviluppa la propaganda ateista per includere le persone nella visione scientifico- materialista del mondo”.
L’articolo 55 proibiva la creazione di qualsiasi organizzazione religiosa.
Arrestato “in nome del popolo”
Uno dei casi più assurdi di persecuzione fu quello di Padre Ernest Simoni Troshani, ora novantenne, una delle figure cattoliche più rispettate in Albania.
“Era la vigilia di Natale del 24 dicembre 1963, quando, finita la messa, quattro persone vennero da me. Due di loro indossavano uniformi militari, le altre due indossavano abiti civili”, ricorda Troshani.
“Mi hanno legato le mani dietro la schiena in modo brutale, come se fossi un criminale pericoloso, e mi hanno detto ‘sei stato arrestato in nome del popolo’, aggiungendo, ‘Sarai impiccato perché hai detto alla gente e ai giovani che, se serve, si deve dare la vita per Gesù Cristo “. Aggiunsero qualcosa a riguardo della messa che avevo tenuto quando Kennedy era stato assassinato”.
Troshani è stato condannato a 25 anni di prigione, 18 dei quali trascorsi nella prigione politica di Spaç, nel nord del Paese, dove i prigionieri erano costretti a lavorare duramente nelle adiacenti miniere di rame e pirite.
Nonostante il divieto, continuò a praticare la sua fede in segreto, tenendo messa e ricevendo confessioni. Nel frattempo, mentre le persecuzioni di Stato si estendevano alle famiglie dei religiosi, i parenti di Troshani furono messi sotto sorveglianza dalla temibile polizia segreta, la Sigurimi.
Anche quando fu rilasciato di prigione, Troshani venne nuovamente arrestato e condannato a svolgere pesanti lavori per la rete fognaria del Paese.
Il Ramadan dietro le sbarre
Anche i religiosi musulmani albanesi furono sottoposti all’oppressione da parte del regime comunista.
Mehdi Kraja, figlio di una delle figure musulmane più famose in Albania, Hafiz Ali Kraja, ricorda come suo padre abbia trascorso molti anni in prigione dopo aver pronunciato un discorso intitolato “Cos’è il comunismo e le sue conseguenze per la religione e la nazione albanese”.
Il discorso fece sì che Hafiz Ali Kraja fosse immediatamente classificato come anticomunista e questo lo costrinse a nascondersi presso una famiglia della città di Scutari per circa due anni dal 1944 al 1945.
Si nascose in un seminterrato, dal quale uscì solo dopo che venne annunciata un’amnistia che prometteva: “Tutti coloro che sono ricercati dalle autorità si vedranno risparmiati della condanna a morte e andranno solo in prigione”.
Hafiz Ali Kraja venne, quindi, incarcerato per 25 anni. Non sapeva, però, che negli anni in cui si nascondeva i suoi fratelli erano stati torturati dalle autorità per farsi dire il suo nascondiglio. Rimase, perciò, sorpreso, di ritrovarsi in carcere anche loro.
I figli di Kraja sono cresciuti senza vederlo. “Quando mio padre è uscito di prigione, mia sorella aveva paura di non riconoscerlo. Ho visto mio padre a casa per la prima volta all’età di 26 anni”, ricorda Mehdi Kraja.
Come parenti dell’Imam condannato, la famiglia di Kraja fu internata dal 1955 al 1958 a Bajram Curri, nell’estremo nord dell’Albania.
Nonostante la repressione, Kraja ha detto che suo padre riusciva a celebrare il Ramadan in prigione mentre la sua famiglia seguiva le tradizioni culturali musulmane.
Hafiz Ali Kraja uscì definitivamente di prigione nel 1965, dopo esserci rimasto per 19 anni.
“Non ho mai visto mio padre a casa”
Una delle storie più tragiche e assurde della persecuzione comunista in Albania è quella di Padre Shtjefen Kurti.
Kurti nacque nel 1898 in Kosovo, che allora faceva parte dell’Impero Ottomano. Studiò in Austria e Roma e, dopo essere stato ordinato sacerdote, arrivò in Albania, dove il Re Zog gli concessa la cittadinanza e il sostegno per la sua missione cattolica. Suo nipote Nicole Kurti rivela che era il prete che aveva confessato Madre Teresa e la Regina Geraldine nella corte reale fino al 1939.
Ma dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, con il Partito del Lavoro di Hoxha al potere, Shtjefen Kurti fu arrestato nel 1946 con l’accusa di essere una spia occidentale e condannato a 20 anni di carcere, di cui ne scontò 17. Venne rilasciato all’età di 68 anni.
Tre anni dopo il suo rilascio, Hoxha accelerò la sua lotta contro la religione e dopo la demolizione di chiese e moschee, a Kurti, ormai anziano e malato, venne imposto di svolgere lavori agricoli in un villaggio. Durante questo periodo, stando a quanto scritto nel suo dossier, venne pedinato sistematicamente da 16 agenti della Sigurimi.
Nonostante questo, riuscì anche a battezzare in segreto dei bambini. Venne, però, scoperto e nel 1970, all’età di 72 anni, venne arrestato di nuovo, con l’accusa di spionaggio, sabotaggio e organizzazione di cerimonie religiose di nascosto.
Dopo la caduta del regime comunista, Nikolin Kurti ha indagato sui dettagli della persecuzione di suo zio e dal fascicolo della Sigurimi ha scoperto che era stato condannato a morte dopo un processo di cinque giorni in un edificio che, ironicamente, prima era stato una chiesa.
Fu giustiziato nel settembre 1971 in un luogo ancora oggi sconosciuto, e senza che i parenti ne venissero informati. “La famiglia venne a conoscenza di questo episodio all’inizio del marzo 1973, quando una radio italiana riferì, tra le varie notizie, che ” in Albania, Shtjefen Kurti era stato ucciso perché aveva battezzato dei bambini”.
In altri casi, la detenzione ha lasciato i bambini senza genitori per lunghi periodi della loro infanzia. Qaramet Koçi, figlio del religioso musulmano Hafiz Sabri Koçi, ha affermato di non aver visto suo padre, condannato al carcere, da quando aveva sette anni fino ai 27.
“Quando mio padre è ritornato, è stata una grande gioia, ma non ci ero abituato. Non avevo mai visto mio padre a casa”, ha detto Qaramet Koçi.
I film diffondono la propaganda antireligiosa
Durante l’era Hoxha, una squadra degli studi cinematografici Shqipëria e Re (La Nuova Albania) si dedicò alla produzione di film che diffondessero la propaganda antireligiosa.
Nei film dai titoli come ‘Liri a vdekje’ (Libertà o morte) o ‘Te vdesësh në këmbë’ (Morire in piedi) i religiosi venivano accusati di organizzare matrimoni forzati e corrotti, di cercare di rovesciare le autorità, e venivano dipinti come traditori che chiedevano aiuto alle potenze straniere.
Tali film di propaganda sono stati trasmessi centinaia di volte sull’unica stazione televisiva albanese che esisteva prima che il comunismo cadesse e ancora oggi continuano a passare sui canali privati albanesi.
“Queste pellicole hanno solo causato danni. Anno dopo anno, hanno creato nemici immaginari, accusato ingiustamente gruppi di persone e creato false realtà”, ha dichiarato Jonila Godole, direttore dell’Istituto per la Democrazia, i Media e la Cultura.
Centinaia di articoli sono stati pubblicati anche da giornali albanesi nel tentativo di convincere i lettori a ribellarsi alla religione; articoli che spesso erano accompagnati da fotografie dei processi, con titoli che etichettavano i religiosi come traditori o nemici del popolo.
“Trentatre anni di ateismo imposto hanno lasciato il segno”, ha detto il sociologo Zyhdi Dervishi.
“Penso che la società albanese sia entrata nell’economia di mercato e nei processi democratici portandosi appresso due grandi catastrofi: la prima, uno stato marcio senza strutture statali consolidate; la seconda, la mancanza di educazione religiosa”.
Secondo Dervishi, la mancanza di valori religiosi “ha danneggiato la capacità di socializzazione degli albanesi”, predisponendoli ad avvicinarsi al crimine.
Nonostante il divieto imposto da Enver Hoxha, che è durato fino alla caduta del comunismo nel 1990, la maggior parte degli albanesi oggi afferma di essere credente.
Secondo il censimento del 2011, il 56,7 % dei cittadini del Paese si considera musulmano, il 10,03 % sono cattolici, il 6,75 % ortodosso e il 2,09 % bektashi.
Il 13,79 % ha rifiutato di dire se avevano o meno delle convinzioni particolari, ma solo il 2,5 % ha dichiarato di essere ateo.
Tuttavia, anche se gli albanesi sono ora liberi di professare qualunque religione scelgano, i parenti di coloro che hanno sofferto per la fede sotto il regime di Hoxha non potranno mai dimenticare i tragici eventi degli anni oppressivi.