Approfittando del caos all’indomani dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, l’Italia e altri Paesi occuparono i territori dell’Albania meridionale. Tutto ciò non era altro che l’effetto del trattato segreto del 26 aprile 1915 che andava contro la neutralità albanese decisa quasi due anni prima dalla Conferenza degli Ambasciatori di Londra (17 dicembre 1912-12 agosto 1913), iniziativa xenocratica tesa a riconoscere l’indipendenza albanese.
Il trattato del 1915, all’Art. 6 stabiliva: «Italia do të marre sovranitetin e plotë mbi Vlorën, mbi ishullin e Sazanit dhe një territor mjaft të gjerë për të siguruar mbrojtjen e këtyre pikave (që nga Vjosa në veri dhe në lindje dhe afërsisht gjer në kufirin verior të rrethit të Himarës në jug)» (1) (L’Italia dovrà ricevere piena sovranità su Valona, l’Isola di Saseno ed un territorio circostante sufficiente al fine di assicurare la difesa di questi punti [dalla Voiussa a nord e ad est fino circa al confine settentrionale del distretto di Himarë a sud]). Inoltre all’Art. 5 stabiliva la costituzione nella parte centrale dell’Albania di un piccolo Stato fantoccio e neutralizzato, con capitale Durazzo («Dhe, në Adriatikun e Poshtëm [në zonën që intereson Serbinë dhe Malin e Zi] gjithë bregdeti nga kepi Planka gjer në lumin Drin, së bashku me portet e rëndësishme të Splitit, të Raguzës, të Kotorit, të Tivarit, të Ulqinit dhe të Shëngjinit, dhe ishujt Cirona e Madhe, Cirona e Vogël, Bua, Solta, Braxa, Jakliana dhe Kalamota. Porti i Durrësit do t’i mbetej shtetit të pavarur mysliman të Shqipërisë» (2) – E, nell’Adriatico meridionale [nella zona che interessa la Serbia e il Montenegro] l’intera costa da capo Planka fino al fiume Drina, con i considerevoli porti di Spalato, Ragusa, Cattaro, Antivari, Dulcigno e San Giovanni di Medua [Shëngjin] e le Isole Zirona Grande, Zirona Piccola, Bua, Solta, Braza, Jakliana e Calamotta. Il Porto di Durazzo dovrà essere assegnato allo Stato indipendente mussulmano di Albania).
Per cui durante la guerra l’Italia ammassò le truppe nella zona di Valona con l’intenzione di annettersela. Il 3 giugno 1917, il Comandante delle truppe italiane di occupazione, gen. Giacinto Ferrero (1862-1922), a capo del XV Corpo d’Armata, emanava il Proclama di Argirocastro (3), che ribadiva l’unità dell’Albania sotto l’egida dell’Italia: un vero e proprio protettorato di fatto (4).
La lotta del popolo albanese per la liberazione della città dagli occupanti liberal-imperialisti italiani, trovò larga eco all’estero. Un atteggiamento che appoggiava la guerra di liberazione della città adriatica ebbe vasti consensi da parte del popolo italiano. Su pressione di piazze e strade delle città italiane, del Partito Socialista Italiano (f. 1892), della stampa progressista e di parte del Parlamento, si sollevarono forti voci di protesta richiedenti il ritiro delle truppe di invasione da Valona e il rispetto della sovranità del popolo albanese. Il numero degli iscritti al Partito Socialista (5) era salito dai 50.000 precedenti alla I Guerra Mondiale a 200.000 nel 1919, e quello dei lettori del quotidiano «Avanti!» (primo numero: 25 dicembre 1896) a ben 300.000; infine gli iscritti alla Confederazione Generale del Lavoro da 500.000 a due milioni (6).
Dopo l’attacco del’11 giugno 1920, durante il quale i guerriglieri albanesi misero in serio pericolo le sorti dell’Esercito italiano a Valona, le posizioni del governo di Roma in merito alle proprie pretese sull’Albania, turbarono maggiormente l’opinione pubblica. Nelle principali città d’Italia, il proletariato passò da semplici proteste a scioperi e dimostrazioni.
Alla lotta, già contro l’aumento del prezzo del pane e l’intervento liberal-imperialista italiano nella guerra civile nella Russia sovietica (7) agli ordini di Stati Uniti d’America e Gran Bretagna, si unì quella per costringere il governo di Roma a por fine all’occupazione bellica di Valona, ritirando i contingenti militari dall’Albania.
Nei moli dell’Adriatico, a Trieste, Ancona, Bari, Brindisi furono affissi gli appelli del Partito Socialista, che invitavano i soldati a non accettare di partire per l’Albania (8). Si ebbero manifestazioni di lavoratori. Una di queste, a Trieste il 12 giugno 1920, finì in uno scontro sanguinoso (9). Lo stesso giorno il gruppo socialista in Parlamento cercò di far approvare una mozione, in cui si chiedeva il ritiro delle truppe italiane da Valona; essa fu respinta dalla maggioranza dei parlamentari onde tutelare gli interessi dei circoli liberal-imperialisti (10).
I successi ottenuti dagli albanesi nella prima fase della guerra per Valona, scossero alla base il governo liberale di Francesco Saverio Nitti II (21 maggio-15 giugno 1920). Tutto questo, unito alle vittorie dei combattenti schipetari dell’11 giugno a Vlora (città ove 7 anni, 6 mesi e 14 giorni prima era stata proclamata l’indipendenza albanese), creò profonde spaccature nel Consiglio dei Ministri.
In queste condizioni, i d
eputati italiani liberal-borghesi chiesero al proprio governo di approntare misure urgenti per garantire le posizioni in terra albanese. Il 13 giugno 1920 Benito Mussolini, nel suo articolo «Restare a Valona» scrisse di ritenere responsabili i generali che comandavano l’esercito italiano nel meridione d’Albania, e punirli mediante fucilazione quale unico rimedio (11).
Il 15 giugno la situazione interna italiana giunse al culmine. Il governo Nitti II si dimise e subentrò il governo liberale Giovanni Giolitti V (15 giugno 1920-4 luglio 1921). Pure il nuovo esecutivo tentò in un primo momento di sopprimere con la forza la lotta del popolo albanese, ma il tentativo fallì.
I giornali italiani progressisti – l’«Avanti!» su tutti – uscirono con titoli anti liberal-imperialisti quali: «Non vogliamo conquiste militari in Albania», «Il proletariato deve essere vigilante e pronto contro le astuzie imperialiste». Intanto le proteste del proletariato italiano continuavano senza soste.
Il 25 giugno 1920, a Roma, si svolse una grande manifestazione con la parola d’ordine: «L’allontanamento delle truppe italiane dall’Albania». I rappresentanti delle organizzazioni sociali e politiche severamente condannarono la politica colonizzatrice del governo liberal-imperialista italiano. «Chiediamo il ritiro delle truppe italiane dall’Albania e il riconoscimento dei diritti del popolo albanese», fu detto da ognuno in tal manifestazione (12). Sempre nel mese i ferrovieri rifiutarono di trasportare le munizioni da inviare contro il popolo albanese (13).
La notte fra il 25 e il 26 giugno i soldati dell’XI Reggimento Bersaglieri ‘Sciara-Sciat’ della Caserma Villarey di Ancona si ribellarono all’ordine di imbarcarsi per l’Albania, ponendo agli arresti i loro ufficiali (14). I militari avevano notato la presenza in porto della nave ‘Magyar’, che era lì per condurli in Albania. La rivolta fu sostenuta da socialisti, anarchici e dal popolo anconetano. Per tre giorni, armi alla mano, essi combatterono in strada, fronteggiando guardie regie, polizia e carabinieri. La ribellione provocò uno sciopero generale che si estese a parecchie località delle Marche, dell’Umbria e della Romagna e che fece rivivere i ricordi della “settimana rossa” del 1914. La rivolta di Ancona rappresentò «il punto più vicino all’insurrezione che la classe operaia avesse raggiunto nel dopoguerra» (15). La superiorità numerica e il miglior armamento delle forze inviate da Giolitti, e raccolte in molte caserme del centro Italia, ebbero il sopravvento. Nei giorni a seguire furono organizzate dal Partito Socialista manifestazioni di solidarietà in molte città della Penisola. Lo sciopero continuò sino al 1° luglio salvo ad Ancona dove esso si prolungò fino al 4 dello stesso mese (16).
La battaglia si spostò poi in Parlamento dove i socialisti – come vedremo – riuscirono ad ottenere lo sgombero definitivo dell’Albania, ad eccezione dell’isola di Saseno. Il 26 giugno, i deputati socialisti italiani indotti dalle proteste delle masse presentarono in Parlamento una mozione con la quale richiedevano il ritiro delle truppe di occupazione italiane dall’Albania e il rispetto dell’indipendenza di quel Paese. Lo stesso giorno il Partito Socialista e la Confederazione Generale del Lavoro (f. 1906) indirizzarono ai lavoratori e ai militari un appello congiunto (17) con il quale invitavano a essere pronti se le forze della reazione non ritirassero le truppe da Valona e – in caso si inviassero nuovi rinforzi – di trasformare la guerra imperialista contro l’Albania in una lotta di classe, in una rivoluzione proletaria: «Di fronte ai fatti di Libia e Albania d’accordo con la Confederazione Generale del Lavoro e con la Direzione del Partito, [il gruppo parlamentare] ricorrerà ad ogni mezzo perché il paese non sia trascinato in nuove avventure guerresche» (18). La solidarietà del popolo italiano fu di grande aiuto per il popolo albanese.
Il 27 giugno, Giolitti affermò alla Camera dei Deputati di essere favorevole all’indipendenza albanese e di respingere la proposta di inviare altri soldati, ma non ritirò subito le truppe di stanza a Valona.
Il 23 luglio un nuovo attacco dei guerriglieri albanesi mise in difficoltà l’Esercito italiano. Il 2 agosto fu stabilito diplomaticamente il rientro di tutti i militari dall’Albania (accordo di Tirana: cessione di Saseno in cambio delle pretese italiane su Valona). All’Italia restava, appunto, solamente quell’isola.
Va comunque detto che l’anzidetto trattato serviva a Roma per liberarsi dal meschino e vile accordo segreto stipulato a Parigi il 29 luglio 1919 dal governo liberale di Nitti col primo ministro greco liberale Eleftherios Venizelos. Nella capitale parigina il Ministro degli Esteri, Tittoni, aveva firmato con il Presidente
del Consiglio ellenico un patto secondo il quale: a) il Governo italiano si impegnava ad assecondare davanti alla Conferenza della pace le rivendicazioni greche sulla Tracia occidentale ed orientale e la richiesta di annessione dell’Albania meridionale, e, nello stesso tempo, cedeva alla Grecia la sovranità sulle isole del Mar Egeo occupate dopo la guerra italo-turca del 1911-12 (l’isola di Rodi sarebbe rimasta sotto la sovranità italiana, salvo l’eventualità di un plebiscito da effettuare entro cinque anni); b) il Governo greco si impegnava a sostenere davanti alla Conferenza della pace le richieste italiane relative allo Stato albanese e di annessione di Valona con il suo hinterland (sotto celata forma di mandato: ‘de facto’ colonia); confermava la neutralizzazione del Canale di Corfù già stabilita dalla Conferenza di Londra del 1913-14; e si impegnava ancora, nel caso in cui le sue rivendicazioni in Tracia e nell’Epiro settentrionale trovassero accoglimento, a rinunciare in Asia Minore ad alcune pretese, a vantaggio del Governo italiano (19) – (20).
Saseno era stata occupata dall’Italia il 30 ottobre 1914, fino a quando, al termine della I Guerra Mondiale, il 18 settembre 1920, grazie al trattato del 2 agosto e ad un’intesa con la Grecia, entrò a far parte del territorio italiano a causa della posizione strategica all’imbocco del Mare Adriatico. Occupata dai tedeschi nel settembre del 1943, fu liberata dai partigiani dell’Esercito di Liberazione Nazionale Albanese nel maggio 1944.
Note
(1) Arben Puto, Çështja shqiptare në aktet ndërkombëtare të periudhës së imperializmit. Përmbledhje dokumentesh me një vështrim historik, 8 Nëntori, Tiranë 1987, Vol. II (1912-1918), p. 638.
(2) Ibidem.
(3) Amedeo Giannini, L’Albania dall’indipendenza all’unione con l’Italia (1913-1939), Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, Milano 1940, pp. 39-40.
(4) Cfr. Il protettorato italiano sull’Albania, in Prassi italiana del diritto internazionale, Istituto di Studi Giuridici Internazionali, Consiglio Nazionale delle Ricerche: .
(5) Il Partito Socialista Italiano alle elezioni politiche per la XXV Legislatura del Regno d’Italia (16 novembre 1919) ottenne 1.834.792 voti, pari al 32,3% dell’elettorato e conquistò 156 seggi alla Camera dei Deputati; i componenti del Senato del Regno d’Italia erano di nomina regia.
(6) Denis Mack Smith, Storia d’Italia 1861-1958, Laterza, Bari 1964, Vol. II, p. 520.
(7) Giuseppe Boffa, Storia dell’Unione Sovietica, l’Unità, Roma 1976, Vol. I: 1917-1927, p. 130; William Henry Chamberlin, Storia della rivoluzione russa, Einaudi, Torino 1942, Vol. II, p. 223.
(8) «Drita», 10 luglio 1920.
(9) «Avanti!», 13 giugno 1920.
(10) «Il Tempo», 12 giugno 1920.
(11) «Il Popolo d’Italia», 13 giugno 1920.
(12) «Avanti!», 26 giugno 1920.
(13) «Përparimi», Giugno 1920.
(14) «Avanti!», 27 giugno 1920.
(15) Giuseppe Maione, Il biennio rosso. Autonomia e spontaneità operaia nel 1919-1920, Il Mulino, Bologna 1975, p. 207.
(16) Franco Pedone (a cura di…), Il Partito Socialista Italiano nei suoi Congressi, Milano, Edizioni ‘Avanti!’, Milano 1963, Vol. III: 1917-1926, pp. 110-111.
(17) «Il Tempo», Giugno 1920, passim.
(18) Pietro Nenni, Storia di quattro anni [1919-1922], Centro di studi sociali, Einaudi, Roma 1946, p. 93.
(19) Ennio Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali 1918-1999, Laterza, Roma-Bari 2000, p. 70.
(20) Cfr. L’Accordo Tittoni-Venizelos del 29 luglio 1919, in Prassi…, cit.: .
(1) Arben Puto, Çështja shqiptare në aktet ndërkombëtare të periudhës së imperializmit. Përmbledhje dokumentesh me një vështrim historik, 8 Nëntori, Tiranë 1987, Vol. II (1912-1918), p. 638.Su
(2) Ibidem. Su
(3) Amedeo Giannini, L’Albania dall’indipendenza all’unione con l’Italia (1913-1939), Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, Milano 1940, pp. 39-40. Su
(4) Cfr. Il protettorato italiano sull’Albania, in Prassi italiana del diritto internazionale, Istituto di Studi Giuridici Internazionali, Consiglio Nazionale delle Ricerche: .Su
(5) Il Partito Socialista Italiano alle elezioni politiche per la XXV Legislatura del Regno d’Italia (16 novembre 1919) ottenne 1.834.792 voti, pari al 32,3% dell’elettorato e conquistò 156 seggi alla Camera dei Deputati; i componenti del Senato del Regno d’Italia erano di nomina regia. Su
(6) Denis Mack Smith, Storia d’Italia 1861-1958, Laterza, Bari 1964, Vol. II, p. 520. Su
Giuseppe Boffa, Storia dell’Unione Sovietica, l’Unità, Roma 1976, Vol. I: 1917-1927, p. 130; William Henry Chamberlin, Storia della rivoluzione russa, Einaudi, Torino 1942, Vol. II, p. 223. Su
(8) «Drita», 10 luglio 1920. Su
(9) «Avanti!», 13 giugno 1920. Su
(10) «Il Tempo», 12 giugno 1920. Su
(11) «Il Popolo d’Italia», 13 giugno 1920.Su
(12) «Avanti!», 26 giugno 1920. Su
(13) «Përparimi», Giugno 1920. Su
(14) «Avanti!», 27 giugno 1920. Su
(15) Giuseppe Maione, Il biennio rosso. Autonomia e spontaneità operaia nel 1919-1920, Il Mulino, Bologna 1975, p. 207. Su
(16) Franco Pedone (a cura di…), Il Partito Socialista Italiano nei suoi Congressi, Milano, Edizioni ‘Avanti!’, Milano 1963, Vol. III: 1917-1926, pp. 110-111. Su
(17) «Il Tempo», Giugno 1920, passim. Su
(18) Pietro Nenni, Storia di quattro anni [1919-1922], Centro di studi sociali, Einaudi, Roma 1946, p. 93. Su
(19) Ennio Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali 1918-1999, Laterza, Roma-Bari 2000, p. 70. Su
(20) Cfr. L’Accordo Tittoni-Venizelos del 29 luglio 1919, in Prassi…, cit.: . Su