Da uno dei tanti meravigliosi angoli della città, lontano dalle luci marmoree di Tirana – sovente immeritevole detentrice di ciò che nel paese viene chiamata “cultura” – ma anche da quelle del cemento mal-armato del “lungomare” di Valona, si innalza la bellezza di una musica che da tempo l’Albania attendeva.
Il concerto di Aulon Naçi, il compositore che oramai fa parlare di sé non solo fuori dai confini nazionali ma anche in patria, crea una magia inattesa sull’isola di Zvërnec, metà sconosciuta al “turista albanese”, nonostante il suo bellissimo monastero medievale immerso nel verde e allietato dal suono delle cicale canterine.
Le poche parole della Console italiana a Valona, (da ammirare per l’essenzialità non manierata e scevra da ampollosi ringraziamenti) esprimono perfettamente l’atmosfera della serata. Una notte magica, dove la luna e le stelle, specchiate sulla superficie della laguna, sembrano i numi di quella musica a loro dedicata.
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Come in ogni forma di bellezza che mira all’eternità, sono le forze primeve a trionfare, l’incontro con l’autentico, lontano da ogni vuoto artificio e dalla medietà banale e semplicistica tanto in voga oggi. C’è un orchestra, ci sono gli archi e il pianoforte, che danno voce alla musica classica, ma il compositore filtra il tutto attraverso un linguaggio contemporaneo impreziosito dai suoni millenari e incantatori del folklore ancestrale.
Il pezzo conclusivo, Pioggia di lacrime, esprime la meraviglia di questo innesto, con l’artista nazionale Vendim Kapaj ad accompagnare con la cyla dyjare, strumento a fiato tradizionale del sud Albania, il nuovo pezzo del compositore suonato da lui stesso al pianoforte. L’orchestra, composta ad hoc, è giovane, anzi, giovanissima, con musicisti albanesi e stranieri, in mano alla direzione dello spagnolo Ricardo Casero. Il pianoforte, in condivisione con il compositore, è affidato alle mani del giovane pianista italiano Enrico Tricarico, i solisti di violino e clarinetto Dejon Bendaj e Igli Tuga, il fisarmonicista Elton Balla, e la soprano Nina Muho, a rappresentazione di questa orchestra ricca di talento che ha suonato in maniera splendida, a detta dello stesso compositore.
Organizzato e patrocinato dal Consolato D’Italia a Valona, in collaborazione con il comune di Valona, questo concerto e le musiche di Aulon Naçi sembrano aver magicamente risvegliato nei cittadini di questa città, a lungo abbandonata, i loro sopiti sentimenti di orgoglio e appartenenza, i quali acquisiscono un carattere nazionale fusi con i molti esperti spettatori venuti da Tirana. La musica desta meraviglia e imbriglia nel silenzio dell’attesa più di 400 persone, oltre ai tanti rimasti in piedi attorno alla platea improvvisata posta fra gli ulivi secolari.
A sorpresa si presenta anche il Primo ministro Rama, che, ignaro del dresscode bianco, è vestito di nero. Il Premier albanese sembra toccato nella sua sensibilità estetica e non resiste alla tentazione di riprendere personalmente alcuni momenti salienti pregni di virtuosismo compositivo e destrezza esecutiva. Si notano fra il pubblico il maestro Xhani Ciko e l’artista Artan Shabani. A cominciare dal Premier, quasi tutte le personalità note hanno partecipato all’evento con sobria discrezione e assenza di protagonismo, lasciando la ribalta alla musica di Aulon Naci.
Un grande artista – nelle parole della console – donato al mondo da questa città, una musica che colpisce nell’anima, proveniente da uno spirito eccezionale. Appunto, una musica elevata che, in un’Albania che trionfa l’apparire, non vuole che essere se stessa.
Un’originalità che rielabora l’albanesità musicale con l’intento di portarla in una nuova dimensione, aulica ed estetica, di godimento del bello, superando i confini nazionali.
La musica si esprime come una riflessione su se stessa, nell’assenza di luci abbaglianti e di presentazioni colme della solita affettata retorica, tanto roboante quanto sterile; nemmeno le parole introduttive da parte del compositore, come se la musica dovesse bastare a se stessa. È questa una conseguenza del rispetto che questo artista ha per la musica, tanto per quella dei grandi del passato, che in Italia e in Austria ha studiato, quanto per quella dei nostri avi, dei pastori cantanti e dei montanari con lahutë o delle donne che cantano il morto nei villaggi del Sud.
Questa è la genesi della sua musica tout court, anche se il compositore riconosce, citando Strauss, che ogni grande musicista deve saper mettere in musica persino il menu delle vivande. E si potrebbe con questi suoni musicare ogni parola o verso, ma sono soprattutto le parole non dette ad emergere con forza da questa musica. Accorgersi della sua musica è facile per gli esperti e l’élite artistica, ma essa conquista soprattutto chi è privo di formazione musicale, soprattutto i bambini, alcuni dei quali già fischiettano i motivi per la città, mentre i più privilegiati, li suonano, invece, con i loro pianoforti.
E’ proprio qui che ha vinto l’Arte e la sua musica. A tutto ciò resta sorda, come sempre nella cultura albanese, soltanto l’aurea mediocrità rappresentata dalle alte sfere della cultura burocratizzata nazionale, composta di intellettuali di quartiere che influenzano il gusto e le opinioni della capitale. Non esistono veri critici, o meglio, questi non scrivono di Arte ma soltanto di intrattenimento e di spettacoli; vedono soltanto le “beghe di quartiere professionale” senza tralasciare mai il mero e ristretto tornaconto personale e, nel fare ciò, hanno contribuito e hanno aperto la strada al trionfo del tallavaismo (paragonabile al neomelodico partenopeo e del sud d’Italia), proliferato in ogni ambito della cultura.
Questo è il vero problema della società albanese: si è reso tutto medio, livellato, lontano sia dalla dimensione aulica della letteratura e dell’arte che dalla genuinità popolare. È solo il mondo medio (e non dico mediocre, perché, per paradosso, sarebbe meglio, e chi è allenato alla riflessione filosofica sarebbe probabilmente d’accordo), purtroppo imperante, che rischia di non accorgersi in tempo di Aulon Naçi e della sua musica, come spesso vale per altri talenti.
Ma, il compositore sorride, a questa riflessione e dice che è destino e dovere degli artisti veri volare sopra la medietà, essere oltre le misure e i paragoni. Inoltre, si potrebbe dire che la sua è una musica che non lo lega alla dimensione strettamente albanese, anche se egli ha l’Albania nelle sue radici.
E’ un’arte non “globalizzata” la sua, avulsa dal cosmopolitismo di superficie vigente che tutto ha annacquato. La sua musica non è scritta per qualcuno, non esclusivamente per l’Occidente e nemmeno per gli albanesi. Così, vale anche per lui quel che dice Kadare: la vera arte non ha confini; il grande romanziere parlava come sempre dell’Albania ma tale concezione si può certamente estendere al mondo.
Così, grazie ad Aulon Naçi, è lecito dire che abbiamo la musica che da tempo l’Albania attendeva di donare al mondo.
Z.K.