« Cosa capirò? Che c’entriamo con l’Italia? Per l’amor di Dio, dimmi dove ci stai portando? Cos’hai in testa stavolta?»
« Niente, faremo una visita all’ambasciata italiana. Tutto qui. Ho previsto ogni cosa, non ti preoccupare, cammina tranquillo e, quando saremo lì vicino, parla italiano »
Così Ylljet Aliçka nel suo recentissimo “Il sogno italiano”, edito da Rubbettino Editore , da pochi giorni nelle migliori librerie (disponibile sia su carta che in e-book), che arricchisce la Collana velvet, sempre pronta a rispondere all’aspettativa dei suoi lettori.
L’autore, Ylljet Aliçka, è fra i più importanti scrittori albanesi contemporanei, i suoi libri sono stati tradotti in più lingue. Già diplomatico internazionale, Ambasciatore presso l’UNESCO e attualmente National Representative del prestigioso Fondo Eurimages, fondo del Consiglio d’Europa per la co-produzione cinematografica che assegna annualmente oltre 20 milioni di euro destinati al cinema europeo. Aliçka è autore di numerose opere, tra cui raccolte di racconti, romanzi, testi universitari e sceneggiature divenuti film (alcuni dei quali hanno vinto numerosi premi, tra cui il premio della critica al Festival di Cannes 2001 e il Golden Prize all’International Film Festival di Tokyo 2001).
Un libro basato su una storia vera: immigrati che hanno visto la sofferenza, vicissitudini al limite di una civiltà moderna, vere anche le esperienza di vita che si snodano tra procedure e trafile burocratiche, sogni a occhi aperti, sentimenti contrastanti e forti emozioni, senza dimenticare i pregiudizi e la cattiveria della gente, ancora spaventata da culture e tradizioni diverse dalle proprie. Affrontare e vivere lo status di rifugiato politico è infatti una realtà complessa e intensa, che non risparmia la mente e l’anima, toccando l’essenza più recondita dell’essere umano.
È gridare “Siamo liberi, siamo liberi, viva l’Italia!”, come fa Vangjel in questo libro, che non è solo un grido di libertà o di esultanza, ma piuttosto di dignità e di esistenza, di diritto umano, di spirito etico e di accoglienza che si coglie nei fatti e nei gesti pratici, più che negli incontri diplomatici e negli accordi tra Paesi stilati con finti toni di cortesia, di solidarietà e di lungimiranza. Vangjel è uno dei sei membri della famiglia Tota, che assieme alle sorelle e al fratello fa richiesta di tale status all’ambasciata italiana a Tirana, dichiarando che sono “perseguitati politici del regime”.
Non l’inizio di un’avventura, come la prospetta il fratello minore portandoli a sorpresa nel territorio italiano, laddove il confine con l’Occidente è così vicino e lontano al contempo, ma un cambiamento totale, lo sradicamento secco e improvviso dalle proprie radici, seppure attuato per la propria sopravvivenza. Sincera è la riconoscenza dei Tota “nei confronti dello Stato, grande e potente, l’Italia”, “campione della libertà e della diplomazia mondiale”.
Con il cuore in mano i sei ricordano sempre che non è solo un problema di territorialità, di rapporti fra paesi, di politica, di competenze, di diritto internazionale, di legge e legalità: hanno infatti una dignità, un cuore e finanche un cervello, pur se il regime ha cercato di uniformarlo e asservirlo ai suoi princìpi, e non vogliono essere dimenticati, prima per 5 anni in un’ambasciata, poi per un mese e mezzo in un campo profughi e infine alla periferia di Roma e alla ‘Giustiniana’.
Una vita di sacrifici e di non-libertà in patria, per poi passare a quella assurda nell’ambasciata, sottoterra. Una vita che ovviamente mina il cuore e i nervi dei sei, allontanandoli dal ‘mondo di sopra’, fin quasi a staccarli del tutto dalla vita ‘normale’, fra gente ‘normale’, invece che fra ambasciatori, consoli, ministri, poliziotti, carabinieri, soldati (armati), medici e servizi segreti. Uno spaccato, chiaro e preciso – poco noto a chi non si trovi a vivere una simile realtà.
C’è anche, tuttavia, chi si presenta all’ambasciata albanese a Roma, richiedendo là asilo politico, giacché ritiene di non poter più vivere lì, in quel posto marcio, “com’è l’Italia, immersa nella droga, nella prostituzione e nella criminalità”. Una richiesta ufficiale, che lascia di stucco l’ambasciatore.
Il sogno italiano in quest’opera di forte spessore umano ma anche storico e documentale, non è semplicemente il sogno di un matrimonio “in riva al mare blu, dove la gente getterà riso e confetti colorati, e l’orchestra suonerà ‘Valzer per un amore’, poiché l’ho richiesto io… e loro sono obbligati a esaudire la mia richiesta”, ma quello di non essere dimenticati, di non essere ridotti a questione spinosa da risolvere o a incubo interminabile. Vicenda dai risvolti anche drammatici, che alla fine divide e separa una intera famiglia, vissuta sempre assieme: ognuno dei fratelli Tota trova infatti la propria strada, e non esita a percorrerla, con quella naturale dignità che gli è propria.
Aliçka caratterizza “Il sogno italiano” con la scrittura in terza persona, quasi a dare voce umana agli ulteriori testimoni della vicenda che sono il tempo, i luoghi, le circostanze stesse che un immigrato si trova a dover affrontare, spesso in solitudine, senza poter usufruire di soluzioni idonee e dignitose né dell’appoggio da parte dei servizi sociali territoriali: è così che problematiche a carattere pubblico e sociale possono trasformarsi in un problema di ordine pubblico.
Con stile asciutto e diretto l’autore descrive le cose così come sono e si sono verificate, raccontando quelli che sono tra i più drammatici e profondi eventi che un essere umano possa vivere. Eventi che seppur drammatici possono e devono toccare la coscienza collettiva per far riflettere perché certe cose, fino a quando prevarrà una certa arroganza umana sarebbero potute (e possono) accadere a ognuno di noi e che invece in un mondo globalizzato e civilizzato dovremmo raccontare ancor più affinché prima o poi vengano lasciate alle spalle, poiché ogni essere vivente è metaforicamente membro della famiglia Tota.
Forte di tale energia, per “Il Sogno Italiano”, così come ha fatto sapere lo stesso autore Ylljet Aliçka, seguirà presto l’adattamento cinematografico per diventare un film per cinema e tv, progetto nel quale è prevista anche una coproduzione con una società italiana.
Ylljet sarà in Italia nei prossimi mesi e non è escluso che anticiperà altre notizie sugli sviluppi del progetto ed eventuali location, che potrebbero essere proprio quelle nel Lazio, ma anche in Puglia e in Calabria, giacché il tema dell’immigrazione è sempre più centrale, soprattutto nel sud italiano e non solo.
/ Michela Albanese