L’arresto, la perizia, le accuse, il processo e il carcere duro. Tutto questo, solo per aver scritto poesie non in linea con gli ideali del regime. È la vita di Visar Zhiti, uno dei tanti poeti e letterati albanesi perseguitati dalla paranoica dittatura di Enver Hoxha.
In questo articolo, oltre alle vicende che hanno caratterizzato buona parte della sua esistenza e alla sua produzione letteraria in Italia, troverete, anche, la traduzione delle parti essenziali della perizia e dell’atto di accusa (nella foto l’originale), che hanno condotto il poeta in prigione. L’interpretazione della documentazione, dall’albanese all’italiano, è a cura del prof. Matteo Mandalà.
La perizia e la condanna
“Noi, Ramazan Vozga e Pandeli Koçi membri della Lega degli Scrittori e degli Artisti e redattori della redazione di poesie della casa editrice “Naim Frashëri”, su richiesta degli organi degli Affari Interni di Tirana, abbiamo esaminato la creatività poetica dell’autore Visar Zhiti.
Da sette anni Visar Zhiti propone per la pubblicazione il suo libro. Questo ha costituito un grave problema per la redazione di poesie della casa editrice “Naim Frashëri”.
Persino dopo il 4° Plenum del Comitato Centrale, questo letterato ha continuato consapevolmente a seguire le orme di una poesia estranea per la nostra società e piena di idee politiche sbagliate, con concetti decadenti o “di sinistra” e apertamente influenzata dalla poesia modernista reazionaria. In tutte le varianti presentate in redazione, compaiono le stesse poesie, lo stesso concetto di poesia, a dimostrazione del fatto che ha continuato con convinzione a percorrere una strada politica e artistica sbagliata.
La fantasia malata, l’ambiguità e l’ermetismo, le pericolosi ambiguità con allusioni politiche, la concezione modernista sono alcune delle caratteristiche principali della sua poesia. Analizzando da vicino e approfonditamente la poesia di questo letterato, giungiamo alla conclusione che i suoi errori sono gravi e contraddicono l’intero sviluppo della nostra poesia del realismo socialista…”
Così si apre la perizia sulla creatività poetica di Visar Zhiti; parole danzanti di un macabro ballo, che tratteggiano una condanna, che di lì a poco, porterà il giovane poeta in carcere, con l’accusa di propaganda contro il regime.
Figlio dell’attore teatrale Hekuran Zhiti, Visar nasce a Durazzo nel 1952. Si laurea in letteratura ed è subito un poeta apprezzato, pubblicato sulle più importanti riviste letterarie albanesi dell’epoca. Durante la Quarta Sessione plenaria del partito comunista, Zhiti diventa un colpevole, un capro espiatorio, usato per impaurire la società intellettuale. È l’8 Novembre 1979, un giorno festivo a celebrazione dell’anniversario della fondazione del Partito del lavoro d’Albania (oggi Partito socialista d’Albania), quando si stringono le catene intorno ai polsi del poeta.
“Devi venire con noi”. “Perché?”. “Te lo diremo dopo”. Un veloce botta e risposta tra la polizia e il giovane insegnante, (arrestato, mentre si trova nella città di Kukës, nel nord-est dell’Albania), apre le porte a un lungo e terribile viaggio nelle tenebre, che durerà ben tredici anni.
“Gli errori nella sua poesia possono essere suddivisi in tre gruppi: Primo: in molte poesie vi sono punti di vista politici errati sulla nostra realtà […] In secondo luogo: in molte poesie questo pseudo-letterato esprime apertamente la visione del mondo ideologica estranea alla nostra società, in particolare per quanto riguarda la funzione dell’arte […] Terzo: dal punto di vista del concepimento e dei mezzi espressivi, questo pseudo-letterato ha posizioni moderniste e formaliste: “I miei desideri”, “La bella/bellezza”. Lampanti in tal senso sono le poesie del suo volume, di tre anni successivo al 4° Plenum del Comitato Centrale, in cui i nostri compositori e la nostra opinione avevano condannato con forza le manifestazioni straniere di questo tipo […] Bisogna dire che gli atteggiamenti ostili di questo nemico, che abbiamo segnalato sia nell’aspetto politico che ideologico, nonché nella concezione e nei mezzi di espressione (che risaltano ovunque nelle sue creazioni) non sono nettamente distinti, al contrario si intrecciano tra loro e si sostengono reciprocamente per assecondare i fini di questo pseudo-poeta…”
Così si esprimono gli intellettuali rossi, intessendo la ragnatela che imprigionerà lo scrittore. È poco più che ventenne Zhiti, quando termina la sua prima raccolta di poesie intitolata Rapsodia della vita delle rose, consegnandola alla casa editrice statale Naim Frashëri, ai fini di un’eventuale pubblicazione. Sono questi i versi incriminati, che scatenano le accuse dei letterati chiamati a dare il proprio giudizio; poesie definite dagli stessi “ermetiche e tristi”, frutto della penna di un “malato”. Dall’accusa, al processo e al carcere, con l’unica colpa di aver scritto poesie.
La sentenza, il carcere e il dolore
Conosce la sofferenza e il lavoro duro, Visar. Trasferito in una sorta di campo di concentramento, sulle montagne albanesi, lavora nelle miniere di rame e al buio; per non impazzire, scrive poesie nella mente. Molti suoi compagni di sventura muoiono a causa delle percosse, della malnutrizione e dell’insopportabile fatica. Assistere alla loro morte, quotidianamente, è una delle sofferenze che lo segnerà per sempre.
“Hai avuto paura?”
“Certo che ho avuto paura. Non è umano tutto questo. Non è umano vivere il carcere per questo. Non è umanità arrestare le persone perché scrivono”.
“Dopo questa analisi giungiamo ad alcune conclusioni. Questo nemico è solidale con i suoi pensieri errati e ostili. V. Zhiti non ha prestato alcuna attenzione alle osservazioni della redazione, al consiglio di mettere anche lui il proprio talento al servizio del popolo, ma al contrario, per anni ha continuato a insistere affinché queste composizioni ostili fossero pubblicate. Con queste composizioni voleva instillare confusione nei lettori, riversare veleno nelle loro menti e nei loro sentimenti. Come si è notato sopra, in molte poesie esprime apertamente o indirettamente opinioni politiche errate nel rispecchiamento distorto della nostra realtà socialista, schierandosi così contro la nostra letteratura e le nostre arti che militano in aiuto del Partito per l’educazione del popolo. Gravemente influenzato dall’ideologia borghese-revisionista, è caduto nella trappola di una poesia straniera e per noi ostile, che danneggia la linea del Partito.
Attraverso un linguaggio oscuro e pieno di allusioni, ha tentato di seminare le sue idee controrivoluzionarie. In altri casi, è completamente oscuro e utilizza figure che non possono essere analizzate. Queste poesie ermetiche e indecifrabili contraddicono gli orientamenti del Partito per una letteratura chiara e comprensibile. Questo pseudo-poeta con le sue deformi imitazioni dell’arte reazionaria ha cercato di seminare erbe velenose nel nostro incontaminato giardino letterario e rovinare così la nostra atmosfera letteraria.”
Ramazan Vozga Pandeli Koçi
Ecco la sentenza: Visar Zhiti viene, quindi, ufficialmente denunciato dalla Lega degli scrittori, con una perizia che lo accusa formalmente di un crimine. La Lega degli scrittori al servizio del regime e il Ministero degli Interni si fondono e diventano per il giovane scrittore “…due crepe sul pavimento, da dove si poteva vedere l’abisso dell’inferno. Due uomini di cultura, incredibile! E per niente importanti, anzi, senza alcun speciale pregio, mediocri. Ma chi dava loro il potere di distruggere un destino, di porre fine a una vita? E altre prima e altre ancora dopo”.
Così finisce in carcere l’uomo, accusato
…di aver sviluppato agitazione e propaganda contro lo Stato, un crimine previsto dall’articolo 55/1 del Codice Penale. Ai sensi dell’articolo 204 del CPP, questo atto d’accusa e il fascicolo investigativo n. 158 contro l’imputato Visar Zhiti sono inviati al procuratore del distretto di Kukës per l’approvazione e la trasmissione in tribunale. Il presente atto d’accusa è stato compilato da
L’inquirente
Nexhat Selimi
Lo sguardo di Visar Zhiti, ancora oggi, è carico di grande dolore, anche se le sue parole rimangono prive di alcun tono accusatorio. In quei terribili e concitati momenti, si è chiesto se questi intellettuali, se pur di scarso conto, non abbiano venduto la sua di vita per salvare la loro. Se la condanna inflittagli così ferocemente, non sia stato solo un espediente per guadagnare una buona visibilità agli occhi del regime. In virtù di questo, la sua visione dell’accaduto è ancora profondamente sofferente.
“Questa gente non si rende conto del male che ha fatto. Non capisce che abbiamo sofferto, anche, per colpa loro. Ci sono persone sotto terra! Non accuso e non giudico, ma quando li incontro, quando ci parlo, mi dicono che non hanno fatto nulla! Non si sentono colpevoli. Mi raccontano che non hanno ben compreso, che nessuno spiegava loro l’utilità delle perizie richieste. Com’è possibile non capire? Perché mai il Ministero degli Interni avrebbe dovuto richiedere una perizia? In ogni caso, ora, è solo una questione di coscienza. Dovrebbero, almeno, chiedere scusa.”
Forse, non potevano fare diversamente?
“Certo che potevano, sempre con una mano sulla coscienza. Sarebbero stati segnalati, come lo sono stato io, quando mi sono rifiutato di entrare a far parte della Sigurimi.”
Dopo la prigionia, Visar non può tornare al suo ruolo di insegnante, tanto meno può pubblicare poesie. Il regime lo colloca come operaio in una fabbrica di mattoni. La caduta del totalitarismo decreta finalmente la sua libertà. Viaggia verso l’estero il poeta, alla ricerca di riscatto e lo trova, prima a Milano, poi in Germania e poi negli Stati Uniti. Nel 1995 torna in Albania e anche qui, in qualche modo, trova la sua redenzione, sia come diplomatico, ma soprattutto attraverso la sua opera poetica. Oggi, la sua figura è l’emblema del letterato scampato alle persecuzioni del regime, che porta con sé ferite indelebili. Oggi, è un poeta e scrittore di grande notorietà nazionale e internazionale.
La produzione italiana
La sua produzione letteraria in Albania è vasta. Molte delle sue opere sono state tradotte in italiano, come in diverse altre lingue. Tanto del suo dolore e della sua esperienza è arrivata a noi, attraverso la scrittura.
Croce di carne
È difficile descrivere in poche e semplici parole, la sofferenza contenuta in questo Croce di carne (Oxiana, 1997), la prima pubblicazione italiana del poeta. Zhiti, nei versi che animano la raccolta, cerca di descrivere l’orrore del carcere, dove la più elementare delle dignità umane viene calpestata.
Il tentativo è quello di dare voce al dolore, non solo suo, ma anche di altri detenuti esposti a umiliazioni e alle violenze perpetrate dal regime. Allora, scrive Visar, scrive nella mente per non impazzire e perché sa che quei momenti devono essere, in qualche modo, immortalati e tramandati. Nonostante l’orrore, nonostante il dolore, la poesia è la chiave della libertà e l’uomo lo sa, ne è conscio.
Quella libertà e quel trionfo sulle avversità che arrivano al lettore, tanto quanto la mostruosità che contraddistingue il totalitarismo di Enver Hoxha. Sono versi di grande drammaticità, ma non scritti con l’intento di ferire chi legge. La poesia rimane vivace, lasciando il giusto messaggio, scaricando l’angoscia, il tormento, il supplizio e la tortura subiti, ma abbracciando, anche, tutta la bellezza della vita e della vittoria sul male e schiacciando, così, la bruttura del regime.
Dalla parte dei vinti
Il libro è edito dalla casa editrice D’Agostino nel 1998 e trae alcune delle poesie raccolte dalla precedente pubblicazione Croce di carne. La traduzione del testo in italiano è curata da Elio Miracco. Le emozioni espresse in quest’antologia, sono forti e vibranti. Visar e la sua scrittura, vengono definiti “europei” dal giudice e scrittore italiano Gennaro Francione.
Passeggiando all’indietro
Sono racconti quelli che compongono Passeggiando all’indietro (Oxiana, 1999. Traduzione di Elio Miracco), storie che animano la narrazione, vestendola con i panni del romanzo. Visar Zhiti, dopo la caduta del regime, lascia la patria che gli ha procurato un così vasto dolore e approda in altre terre, come l’Italia e l’Austria.
È da questo nuovo mondo, che riaffiora dal buco nero in cui l’Albania lo ha catapultato ed è da qui, che fa dei passi indietro, narrando metaforicamente di memoria. Uno scritto dal profilo kafkiano, in cui l’ironia e il racconto paradossale costituiscono una profonda e valida base, per la perpetuazione di quei valori che nemmeno il dolore più acuto può demolire.
Confessione senza altari
La prigionia e i suoi divieti non uccidono la libertà che contiene la poesia. Visar Zhiti, in quei terribili giorni, in quei funesti anni, continua a scrivere. Non ha penne con sé e nemmeno fogli, ma ha la mente. Nessuno può guardare i suoi pensieri, nessuno può fermare la corsa delle parole nel buio della sua testa.
Impara a memoria le sue poesie, alcune le fa imparare ad altri detenuti, altre le scrive su delle stoffe con il sangue o sul retro delle pentole della cucina del carcere. Versi nascosti nei materassi, alcuni recuperati, altri andati perduti, creati per non dimenticare.
Attraverso Confessione senza altari (Diana Edizioni, 2012), Visar consegna al lettore uno spaccato dell’orrore e della crudeltà della vita carceraria e allo stesso tempo, lascia un messaggio fortemente positivo. L’amore, la bellezza della vita, i sogni, i desideri, si possono trovare ovunque, anche nelle peggiori delle situazioni.
Il visionario alato e la donna proibita
Con/ne Il visionario alato e la donna proibita (Rubbettino, 2014), lo scrittore albanese fa un ritratto lucido, se pur dettato dalla propria sofferenza, prima dell’Albania e poi di quegli albanesi che hanno lasciato la Patria, in nome della libertà. Una liberazione dal male, che in molti hanno cercato nelle varie città europee, illudendosi e disilludendosi. Lo fa in maniera obiettiva e cristallina Visar, attraverso la storia di Felix e della sua Ema.
Un amore forte, fortissimo, colmo di elevata tragicità, tra un uomo perso nella Storia e una donna vittima del totalitarismo. Un libro, che contiene tanto della storia personale dello scrittore, a immagine speculare dell’esistenza di chiunque sia stato schiacciato dagli eventi storici.
Uno stile di scrittura limpido quello di Zhiti, carico di armonia e di elevata musicalità. Una narrazione colma di grande drammaticità, atta a colpire l’Anima di chi legge e lì rimanere.
La notte è la mia patria
La poesia rimane il contenitore prediletto del suo grido di libertà e riscatto. Con/ne La notte è la mia patria (Pazzini, 2016), il poeta scava nei meandri dell’anima, narrando di speranza, di desideri, di nuovi inizi e dando alla parola una valenza differente, attribuendole, così, un mondo tutto suo.
Il funerale senza fine
È un romanzo in versi questo Il funerale senza fine (Rubbettino, 2017), scritto con l’intento di celebrare il requiem di una civiltà, di lanciare un doloroso allarme e di scagliarsi contro ogni forma di dittatura. Un libro che contiene la metafora della vita dello scrittore, l’olezzo del regime che ha respirato e un disegno del totalitarismo del presente e del passato, nella sua inutilità e nella sua patologica, quanto pericolosa esistenza. Un lungo corteo funebre, popolato da persone di ogni genere, costrette a una marcia dittatoriale, che va verso il cimitero e che fa desiderare a ognuno dei partecipanti una lapide.
Zhiti tenta di dare un volto a questa massa, che procede unita, in un’unica inconsapevole direzione. Un cammino che mette in serio pericolo ogni forma di autonomia. Anche in questo caso, l’autore lascia spazio all’ottimismo. La dittatura può inibire la libertà, ma non potrà mai eliminare l’umanità.
Visar Zhiti è un autore pluripremiato in Albania e ha ottenuto diversi riconoscimenti anche in Italia, come il Premio Leopardi d’oro di cui è stato insignito nel 1991 nella città di Milano, quello alla carriera vinto a Roma nel 2000 e il Premio Internazionale “Mario Luzi” riconosciutogli a Roma nel 2007. Da circa due anni vive a Chicago.
Sei felice?
“No, non sono felice. Io sono. Sto e basta”
Quali sensazioni provi quando torni in Albania?
“La mia vita nel mio Paese è finita. Ho dato tutto quello che potevo alla mia terra. Adesso, ogni passo che faccio in Albania è una sofferenza”.