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Il poeta gladiatore in lotta con Tirana

Recensione di «Confessione senza altari» (Diana edizioni, pp. 274, € 10), antologia di versi di Visar Zhiti

Albania News
08 Febbraio 2013
in Letteratura
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Da oggi è in libreria «Confessione senza altari» (Diana edizioni, pp. 274, € 10), antologia di versi di Visar Zhiti, considerato, assieme a Ismail Kadare, una delle punte più alte della letteratura albanese contemporanea. Il volume, curato da Elio Miracco, ha la prefazione di Sebastiano Grasso. Ne anticipiamo una parte. Visar Zhiti è, come suole dirsi, «figlio d’arte». Il padre, Hekuran, era attore, poeta e commediografo, ma, perseguitato dal regime, non aveva mai potuto pubblicare i suoi scritti in vita (oggi è un autore abbastanza noto in Albania, ma avrebbe meritato di più)

Che cosa vuol dire? Che sin dalla più tenera età, Visar (Durazzo, 1952) ha avuto a che fare con teatro e letteratura. E, purtroppo, ha seguito la stessa sorte del genitore: arrestato, nel 1979, per i suoi versi anti-regime, processato e condannato a dieci anni di lavori forzati nelle miniere. Certo ad alcuni dei suoi amici è andato peggio: fucilati o impiccati. Visar non ha scontato tutta la condanna: è uscito due anni prima, nel 1987. Ma le stimmate sono rimaste. Così come i ricordi che generano angosce, ansie, tormenti. Ho conosciuto Zhiti a Milano, nel settembre del 1991. Era arrivato nel capoluogo lombardo qualche mese prima con Lanfranco Vaccari, giornalista di razza. Quindi, era approdato al «Corriere della Sera» per uno stage.

Statura media, piuttosto massiccio, capelli ricci, si esprimeva in un italiano approssimativo e non sempre riusciva a finire la frase. Faceva pratica in redazione e, al tempo stesso, traduceva poesie e racconti dall’italiano in albanese per i giornali di Tirana.

Batteva centinaia di pagine (soprattutto versi e racconti) con una vecchissima Olivetti che aveva almeno vent’anni, recuperata chissà dove. Una reazione, probabilmente, al divieto di scrivere, in cella.

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Adesso poteva sfogarsi, fermare sulla pagina le nuove sensazioni di uomo libero, guardarsi intorno e illuminarsi davanti agli occhi delle donne che aveva sognato per anni.

Ogni tanto un respiro profondo, per aspirare l’aria di libertà, gli faceva persino girare la testa. Non sorrideva spesso, ma quando lo faceva sul suo viso si formavano delle rughe che facevamo finta di non vedere.

Era affamato di letture, ma non aveva denaro sufficiente per comprare i libri. Il regalo più gradito per una ricorrenza? Libri, solo libri.

Era così forte il suo desiderio di leggere che, di tanto in tanto, ci diceva che da lì a qualche giorno avrebbe festeggiato il proprio onomastico o compleanno. Credo che in un anno sia riuscito a farne cinque o sei. Quando li annunciava, eravamo tutti colti da amnesia e ammiccavamo. E così, il giorno conclamato, gli auguri erano sempre accompagnati da pacchetti editoriali.

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Mangiava con noi alla mensa del giornale e, spesso, lo portavamo in giro per la città. La cosa che lo meravigliava di più erano i supermercati. Tutta quella abbondanza lo sbalordiva (…).

Nel 1997, Zhiti pubblica la sua prima raccolta di poesie in Italia Croce di carne, a cura di Elio Miracco, drammatica testimonianza della sua storia personale, che, naturalmente, coincide con quella del suo Paese (…).

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Ecco, adesso, il secondo, Confessione senza altari, dove Visar, ancora una volta, consegna la sua vita drammatica a versi che diventano lo specchio «della storia della sua nazione» (…).

Poeta e gladiatore. Poeta e musicista. Poeta e cavaliere del Santo Sepolcro. Poeta e artista. Poeta e soldato. Poeta e ferroviere. Poeta e indovino. Poeta e medico. Poeta e migrante. Poeta e operaio. Poeta e angelo. Per non cadere in una disperazione senza vie d’uscita, Visar si inventa di giorno in giorno sembianze e ruoli diversi perché, alla fine, vuole restare soltanto poeta.

Articolo di Sebastiano Grasso, per gentile concessione. Articolo originale

Argomenti: Elio MiraccoSebastiano GrassoVisar Zhiti

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