La poesia assomiglia ai giorni, che sembrano gli stessi senza mai esserlo. Cosa già detta da Eraclito paragonando il tempo con l’acqua. Il paragone in se stesso è anche poesia. L’acqua non è sempre la stessa e, così, le sue forme. Infatti nel momento in cui esse si ripetono, sono sempre nuove come i giorni, anzi ognuna di esse è unica. Riviverle è esattamente lo stesso.
Questa sensazione è rafforzata dal poeta italiano Sebastiano Grasso, che nei suoi versi trattiene il tempo e l’acqua – la memoria di entrambi – ma, soprattutto, materia d’amore che è l’amore stesso. La sua poesia, simile ad altre, è totalmente sua, come la sua vita. Perché è possibile dividere le pene con un’altra persona, così come la gioia – come si divide una stanza – ma non si può mai soddisfare la sete per un altro. La poesia non può essere trapiantata.
Sebastiano Grasso scrive come se prima di lui non fossero vissuti altri poeti, come se con lui iniziasse tutto; è come se egli cercasse di (ri)scoprire l’amore dopo averlo osservato, toccato, gustato, lasciato, fatto impazzire, deluso. Che cosa importa se altri prima di lui hanno espresso le proprie sensazioni. Importa solo quello che il poeta scopre da sé.
Ecco una raccomandazione misteriosa, che il poeta tira fuori da sé: per sé e per gli altri. La parola poeta, (che in latino è poéta e in greco antico poiétés e che deriva da poeíéín), vuole dire “fare”, “produrre”. Che cosa? Sentimenti, oppure emozioni. Inventarli, raccontarli o provocarli? Raccontare l’attimo che è eternità e l’eternità che diventa attimo. Qui c’è una sorta di nodo che non va mai sciolto. Tutto ciò si vede anche nel poeta Grasso.
Senza alcun complesso, disincantato dell’incanto, in modo naturale, egli ripercorre – con una specie di sentimento sublime, segreto, primitivo – la giornata di una persona. Sole, pioggia, vento, le stagioni dell’età con incontri, separazioni, timori, cambiamenti e amori ovunque ed in ogni cosa. Ogni cosa diventa il ricordo di un amore, vi si identifica. Talvolta il ricordo è più forte della realtà. Ecco il sogno dell’amore.
L’amore si serve di tutto: treni, macchine, passi, ascensori, balconi, piante rampicanti, bicchieri di vino, divani, posacenere con sigarette che ancora emetteono fumo, fogli scritti – e, soprattutto fogli non scritti -, viaggi improvvisi, ritorni, letti disfatti e vuoti, ecc.
Ma nessuno può ripetere te; così come tu non puoi ripetere gli altri. Siamo la stesso uomo, quello di Borges, con la stessa poesia, ma infinitamente diversa.
Scrive Grasso:
Il poeta si allontana senza allontanarsi. Solo fra la gente, tende a scoprire l’anima: ovunque, soprattutto nella parola, nella quale crede. E sembra che dica: “Altri poeti dentro di me, così come io ero dentro di loro”: Anche la pioggia ha la sua voce… Questo insieme di uomo-natura e di natura-uomo, rimasto nelle parole che non riusciamo ad inventare, ha il potere di inventarci di nuovo, ti rendeva l’immortalità per un altro giorno.
Ancora un giorno in più per essere immortali.
Ed ancora:
Siamo davanti a versi di una chiarezza straordinaria. Probabilmente ciò è dovuto al lavoro del poeta, che fa il giornalista al Corriere della Sera, il maggiore quotidiano italiano, dove hanno lavorato anche Eugenio Montale e Dino Buzzati (di cui Grasso ha “ereditato” la pagina dell’Arte). Il giornalista deve scrivere chiaro, per farsi capire da tutti. Ed ecco che la maniera di scrivere si trasferisce dall’articolo al verso.
Grasso ha scritto anche del nostro Ibrahim Kodra, del quale era molto amico. Anch’io divenni loro amico durante la mia permanenza a Milano. In entrambi c’era qualcosa di affascinante: l’uno lo trasformava in colore; l’altro, in parole. Ma tutti e due lo facevano in maniera poetica.
Grasso è nato nell’estremità più meridionale dell’Italia, in Sicilia. A sedici anni ha pubblicato il suo primo libro. Dopo la laurea in Lettere moderne, ha insegnato all’università letteratura italiana per un paio d’anni. Poi, nel ’71, il trasferimento a Milano, al Corriere della Sera, dove attualmente è inviato speciale e responsabile dell’Arte. Dal 2007, Grasso è anche presidente del Pen club Italia. Dal 1964 al 1980, oltre ad alcuni libri di traduzioni da francese e spagnolo, ha pubblicato le raccolte di versi Orizzonti lontani, Plaquette, Poesie fuori stagione, Il giuoco della memoria, Pour Marie-Hélène, Il poeta e il fantasma. Segue un silenzio durato vent’anni.
Poi, nel 2000, l’esplosione. Il poeta incontra Giuliana ed escono Il tuo pube nero bufferà la morte, Sul monte di Venere, La preghiera di una vergine, Il talco sotto le ballerine. Uno di essi ottiene il Premio LericiPea (assieme all’americano della “Beat generation”, Lawrence Ferlinghetti), e’ stato asdssegnato a Ismail Kadare. Alcuni di questi libri – singoli o come antologie – vengono tradotti in Spagna (prefazione del premio Nobel José Saramago), Russia (prologo di Evgenij Evtushenko), Polonia, Svezia (introduzione di Jesper Svenbro), Siria (presentazione di Adonis, il più grande poeta arabo vivente).
L’ultima raccolta, uscita in Italia nel 2009, si intitola Tu, in agguato sotto le palpebre; ed è quella che adesso presentiamo in albanese, una lingua fra le più antiche e preziose del mondo. Nella traduzione ho cercato di conservare il ritmo dei venti, delle onde e l’eco di quelle conchiglie che racchiudono singolarmente una stella. Spero, anche se in parte, di esserci riuscito.
Questo articolo è disponibile anche in lingua albanese