Visar Zhiti, uno dei poeti albanesi contemporanei migliori, in un’intervista della giornalista Anila Kadija. Visar, classe 52, è stato condannato nel 1980 con 13 anni di carcere dal regime comunista per una raccolta di poesie mai pubblicata. In Italia ha vinto i premi “Leopardi d’oro” nel 1991 e “Ada Negri” nel 1997.
Avevo superato ogni immaginazione riguardo ai poeti. Quando pensavo che i confini tra noi, persone comuni e loro, poeti, sono impermeabili e dalle sfumature particolari, mi sbagliavo. Alla stretta di mano, Visar mi ha trasmesso un’energia positiva che solo un uomo come lui dall’interiorità sorprendente e semplicità smantellante può regalare.
Nato in una dimensione in cui la spiritualità vive l’emozione nelle piccolezze della quotidianità, in quella stretta di mano da amici di vecchia data, mi sono disfatta del dubbio se avrei mai potuto parlare liberamente con uno dei big della nostra cultura. Via le vesti del diplomatico e le parole di circostanza…
Lo intervisto durante l’iniziativa “Porti cittadini. Culture in crescita tra Albania ed Italia” , organizzato a Modena da AlbaniaNews, in cui Visar è stato inviato in veste di relatore sugli ultimi anni del regime comunista e Ministro della Cultura dell’Ambasciata albanese a Roma.
Inizio a parlargli di una sua poesia che mi aveva colpito fortemente, scoperta casualmente su internet. Parla delle scarpe del carcere, ed io, da curiosa incorreggibile, cerco di trovare nella risposta che mi aspetto tenacemente la forza della sua anima, cosi, continuo…
L’impronta che lascia il poeta con la sua pena dura una stagione come quelle sulla neve e col passare del tempo si scioglie nei ricordi, oppure, è ben scalfita nell’anima del lettore e lo segna a vita?
Credo che le impronte siano di ambedue i tipi. Può capitare di non lasciarle oppure lasciarle, come dice lei, tanto forti da segnare la vita.
In me, per esempio, durante la gioventù hanno avuto un grande peso le figure come Esenin e Whitman. Ma ho sempre amato anche Lorca, Pol Elyrain.
Tutti gli altri che ho conosciuto dopo li ho amati ma non hanno mai sostituito i primi.
Indubbiamente amo gli immortali come Omero, Dante e Shakespeare e gli autori nella mia lingua Lasgush Poradeci, Naim Frashëri, Gjergj Fishta, De Rada fino all’attuale Podrimja. I poeti invece dell’era socialista mi hanno profondamente deluso. Sono capaci di scrivere solo sotto la pressione dittatoriale considerando il dittatore il loro Dio. Il segno lasciato dal poeta con i suoi passi, noi puntualmente lo calpestiamo.
Visar Zhiti e la sua infanzia? Conserva qualche momento indimenticabile?
Eh, tutte le infanzie sono belle. Il mondo si scopre dinnanzi a te. Sono magiche.
All’epoca non lo sapevo, ma oggi mi rendo conto di aver avuto un infanzia troppo povera, con grandissime mancanze economiche ma con l’onnipresente amore familiare. Si chiede cosa mi ricordo? Quando vidi per la prima volta il mare, rimasi di stucco. Quella grandezza infinita, azzurra, un sogno. La stessa sensazione ho percepito anche quando per la prima volta andammo a vedere l’anfiteatro rispolverato di Durazzo. Ma, nel momento in cui entrò in casa nostra un ex carcerato salutai la mia infanzia…
Alla base della personalità di ognuno ci sono le fondamenta, là dove inizia il lungo cammino della vita. Nelle fondamenta del suo sogno si trova un episodio della sua adolescenza e gioventù?
Come l’infanzia anche la vita stessa è bella e cara. Io però ebbi chiaro da subito che non stavo vivendo nel mio tempo e tanti vantaggi non mi appartenevano. La libertà concessami era sempre meno degli altri. Di conseguenza ho vissuto meno le gioie, l’amore, la poesia che sono strettamente correlate con la libertà. Chi dice il contrario mente per nascondere i propri peccati.
La gioia di vedere pubblicato una mia poesia è stata spenta velocemente dalla disperazione di trovarmi rinchiuso in carcere per averla scritta. Anche i sogni si condannano, ma, almeno riescono a fuggire più facilmente di noi. Hanno viaggiato tanto i miei sogni? Abitavamo a Lushnja, città che ho sopranominato, parafrasando un poeta, “capitale della sofferenza”. Lì si trovavano gli internati: artisti, pittori, musicisti e scrittori. Fare conoscenza con loro era bello ma rischioso. Tutto ciò che di bello mi circondava era condannabile.
Durante l’iniziativa di pomeriggio di “Porti Cittadini”, il moderatore Paolo Muner le ha fatto una domanda che l’ha emozionato tantissimo. Si stava parlando dei primi albanesi che entrarono nella ambasciata italiana di Tirana nel lontano 1991 e aprirono le porte della libertà ai loro connazionali. Muner le ha chiesto dov’era in quel momento e lei ha risposto che si trovava vicino al suo fango, che augurava fortuna a chi intraprese quell’iniziativa ma lei scelse di rimanere in Albania per ritrovare se stesso. Si è ritrovato? Nell’arco di quale arcobaleno ha iniziato a vedere la luce del sole? Poiché la libertà è sole non sbarre!
La ringrazio dell’attenzione con cui ha seguito l’iniziativa. Ognuno di noi di continuo si cerca e si crea ma il nostro IO non siamo solo noi, ma ogni cosa che ci circonda, la società, il Paese, l’aria. La domanda “dov’eri Adamo?” è indispensabile che venga posta da tutti. Dove ci si trovava all’epoca quando alcuni venivano condannati e altri condannavano? Tutti gli stranieri hanno il coraggio di rivolgerci questa domanda chiave, come Muner, che lei si ricorda benissimo.
Anche noi stessi avremo dovuto porci questa domanda, ma è sempre meglio tardi che mai. Per rispondere alla sua domanda se mi sono ritrovato, la mia esistenza allora era stata semplificata: schiavo e nemico del regime. Pertanto, mi ero messo in cerca dell’altro mio IO, quello degli altri poiché ognuno di noi è qualcun altro per gli altri come gli altri sono qualcun altro per noi.
Quando in varie conferenze mi capita di parlare di ricerche e ritrovamenti, spesso non sono le mie ma del mio Paese. In qualche maniera siamo la stessa cosa e dobbiamo essere responsabili. Ho la convinzione che stiamo camminando verso la giusta meta, quella della libertà e dell’Europa. Lei afferma cosi bene che la libertà è sole e lo condivido. Nella mia esperienza di vita ho subito anche questa accusa, di essere in cerca di un altro sole, uno secondo che è proprio questo della libertà. Perciò fui condannato perdendo molto anche dal primo sole.
Durante il suo intervento in “Porti Cittadini” ha parlato correttamente in italiano, anche se poi si è scusato per il suo “italiano carcerato”. Qualcuno tra le mura del carcere le ha dato lezioni? Mi può descrivere brevemente qualche ricordo caro di quei tempi quando si sedeva insieme al prete, carcerato a sua volta, e faceva ripetizioni di verbi dell’italiano, fingendo di parlare dello sport quando si avvicinava un poliziotto? Cultura che lei percepiva in pochi metri di vita delimitati.
E’ esattamente come dice lei, in pochi metri di vita, in uno spazio poco più grande di una tomba. Come tanti altri anch’io ho pubblicato vari romanzi con storie che riporto dal carcere. Mi fa piacere che il lettore apprezzi queste scritture che nascono dall’inferno e portano la verità e la morale che anche se riguardano l’etica, sono necessari in generale per la letteratura. In fondo, sicuramente molto più importanti delle menzogne del regime socialista.
La democrazia ed il comunismo. Serena Luciani, autrice del romanzo “Terremoto a Tirana” dice di aver notato un’Albania dove la dottrina idealista non esisteva. “Marx – dice lei – considerava il comunismo un sistema migliore del capitalismo”. Durante la sua permanenza negli anni ’80 a Tirana come funzionario dell’Ambasciata italiana, aveva notato un paese che non si poteva chiamare comunista. Lei come definirebbe l’Albania di quei anni?
Dittatura e povertà, una prigione. Credo che la dottrina di Marx sia ancora da concludere perciò la considero mancante. I suoi seguaci, molto meno preparati di Marx hanno portato l’apocalisse. Un altro filosofo, Georg Santana, diceva che il comunismo è antibiologico.
Ovunque si trova scritto che il comunismo è un utopia. La parola stessa originaria dal greco antico vuol dire “fuori luogo”. Il comunismo è fuori luogo come i comunisti senza paese. Senza Patria non esiste alcuno. La patria diventa sempre più grande, Europa, il pianeta, il sogno. Ma, l’uomo da qualche parte nasce, in una città, in una strada, in una casa e questi luoghi non si separeranno mai da lui. Con la caduta del comunismo, la storia non è finita. Il mondo saprà sognare sempre e saprà stare insieme, per di più gioendo meglio di qualsiasi dottrina.
Nei vostri giorni più difficili quali pensieri l’hanno raggiunto riguardo alla esistenza? Un messaggio di coraggio che aiuta a superare le difficoltà che dividono la vita dell’uomo in momenti tali?
Sono io colui che aspetta questi messaggi per credere all’uomo. Sono stato tradito e colpito nella mia persona. Vi dico ciò che diceva Madre Teresa di Calcutta, tra l’altro questo è il suo anno. “È meglio accendere una candela che maledire il buio. Cosi avremo più luce insieme”.
Nella vita si hanno angeli che ci regalano le ali della bontà. Lei ha un angelo che ha dato colore alla sua vita ed alla sua persona nei momenti più difficili?
Ho una madre, una moglie, un figlio…fratelli e sorelle, amici, tanti altri che amo e che mi amano.
Avete ricevuto due premi molto importanti in Italia. Cosa ne pensa Visar Zhiti di questi riconoscimenti?
Ne ho ricevuti più di due. I premi sono come il bel vestito, si è contenti di indossarlo. I premi però non sono una opera mia, penso solo a cosa posso fare io.
In una strada dritta, se si trovasse di fronte una curva e una fermata, quale sceglierebbe? Oppure lo spirito del poeta è un labirinto di emozioni?
Sceglierei entrambe. Mi fermerei un attimo per riposare e continuerei a cercare di vedere cosa si trova dietro alla curva. Sì, lo spirito del poeta è un labirinto di emozioni.
Voi avete contatti con penne brillanti della letteratura italiana, che cosa vi trasmettono e cosa trasmettete a loro? Noi siamo un popolo dove ancora si raccontano legende di fate, come ama precisare Antonio Caiazza, giornalista Rai e autore del libro “ In alto Mare” che parla dell’Albania. Voi che ne pensate?
Avrei dovuto avere ancora più contatti, poiché ambasciata non può racchiudersi dentro le mura istituzionali, ma deve lavorare per strada, là dove si trova la gente per trasmettere la propria cultura e ricevere quella altrui. Gli artisti e scrittori italiani che ho potuto conoscere trasmettono comprensione e benevolenza.
Dimostrano interessa per la nostra cultura e per il nostro Paese. Amano venire in Albania e far tradurre le loro opere per il pubblico albanese. Amano interpretare in Albania ed inaugurare le loro esposizioni d’arte. Le culture arricchiscono l’un l’altra.
Per quanto riguarda ciò che dice Caiazza, noi siamo un popolo che tramanda le tradizioni ed abbiamo dei scrittori legati ai miti che valorizzano i loro lavori con opere antiche e nuove.
Ma, noi viviamo il presente, che ci realizza e che realizziamo. Importante è fare in modo di viverla al meglio.
Tradotto per AlbaniaNews da Darina Zeqiri