Fra le primizie della settimana, il supplemento letterario del New York Times segnala Child of Nature di Luljeta Lleshanaku (edizione originale Fëmijët e natyrës, Ombra GVG, Tirana). 42 anni, nata a Elbasan e oggi residente negli Stati Uniti, Luljeta proviene da una famiglia di dissidenti politici.
Dopo aver lavorato per qualche anno come operaia, solo dopo la caduta del regime poté iscriversi all’Università di Tirana, laureandosi in Lingua e Letteratura Albanese. In Albania, Luljeta aveva esordito come giornalista, dapprima come caporedattrice del settimanale Zëri i rinisë, poi collaboratrice della rivista letteraria Drita.
L’anno scorso ha vinto il Crystal Vilenica, la sezione “giovane” del premio che dal 1987 la città slovena assegna a scrittori emergenti dell’Europa Centrale, nell’ambito del Festival letterario che ha premiato fra gli altri Fulvio Tomizza, Peter Handke, Milan Kundera, Claudio Magris. Premesso che qui si vuole solo dare notizia della lusinghiera affermazione della scrittrice albanese in terra americana, dal momento che chi scrive ha appena cominciato a leggerne qualche poesia disponibile on line, stando a quel che si riesce a cogliere nelle traduzioni inglesi e in un bel blog italiano (a cura di Anila Resuli), quella di Luljeta Lleshanaku risuona come una voce dolce e forte al tempo stesso.
La sua ispirazione si nutre di ricordi d’infanzia, di vita familiare condensata in oggetti fortemente evocativi (il cuscinetto degli aghi “che conosce alla perfezione l’arte della sottomissione”). Una poesia “straordinariamente apolitica” (la definizione è di Henri Israeli, che insieme a Shpresa Qatipi, docente di Inglese alla Tirana University, ha tradotto la raccolta appena uscita negli USA) “per un’autrice la cui famiglia è stata brutalmente oppressa durante il regime comunista”.
Apolitica forse lo è, almeno nel senso esteriore del termine. Ma poi bastano i versi di apertura di Flashback (“Agosto. 1972. C’è afa./ Verdeggia solo il collo degli uomini / che caricano i mobili su un camion. / ‘Attenti, non calpestate i fiori’ – consiglia mia madre / per i fiori che seccheranno in tre giorni./ La casa si svuota come un raggio / e il dispiacere dei vicini / si fonde come un cubetto di ghiaccio. / Andremo altrove, dove la gratitudine ghiaccerà sui volti”) a registrare in profondità la dimensione, politica e storica, di quegli anni.
E’ la stessa autrice che, forse per sottrarsi al tentativo, sempre in agguato in casi del genere, di attribuirle ruoli oracolari, indica una delle chiavi di lettura dei suoi versi, soffusi di una malinconia senza tempo:
“Non c’è profezia, solo memoria. Quel che accadrà domani è già accaduto mille anni fa, negli stessi luoghi…”.
Fra i numerosi traduttori che in questi anni l’hanno fatta conoscere al pubblico di lingua inglese c’è anche la sorella di Luljeta, l’architetto Albana Lleshanaku. Invece i lettori italiani possono cominciare a farsene un’idea grazie all’editrice comasca LietoColle, che ne ha pubblicato una selezione dal titolo Anti pastorale, tradotta da Rosangela Sportelli.
Concludiamo con un’avvertenza: onde evitare di rimanere – letteralmente – spaesati, è bene sapere che, a quanti fossero desiderosi di approfondire l’argomento, la pagina web di Amazon.com dedicata a Luljeta Lleshanaku suggerisce un link alla (sic!) “Letteratura slava”.
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