Abita a Tirana, nei pressi del Nuovo Bazaar (Pazari i Ri) , la strada alla destra della Statua di Avni Rustemi, che va all’insù. Il suo studio si trova vicino alla casa. E’ un personaggio alquanto strano, il quale però se avesse vissuto all’estero, sarebbe stato molto più apprezzato.Io avevo da tempo alcune sue foto a casa, senza sapere che contenessero la firma G.
XH. Probabilmente il desiderio di fare un’intervista con lui, deriva dall’inconsapevolezza che quelle foto dei primi anni novanta erano opera sua. Quelle foto sono talmente storiche che chiunque desidererebbe possederle o per lo meno rivivere per loro tramite i fatti accaduti in quegli anni.
A prima vista non sembra proprio un fotografo, e perché mai dovrebbe sembrarlo?! Ormai un signore canuto, sebbene li porti bene gli anni, costituisce lui stesso una proiezione storica di ciò che la storia deve mettere per iscritto. Lo incontro sotto casa sua in un pomeriggio di agosto e saliamo insieme nello studio fotografico che condivide con il figlio.
Strada facendo mi racconta di come passi il tempo scattando foto e poi mi accenna qualcosa anche riguardo al suo ultimo progetto, legato al centenario dell’indipendenza dell’Albania. Ora mi trovo con Gani Xhengo nel suo studio, dove le foto d’epoca risalgono al lontano 1970.
Quando è stata scattata la sua famosa foto, quella che tutti noi conosciamo bene?
Se ricordo bene era il 7 agosto 1991, verso mezzogiorno, verso le 13 o 14 più o meno. Era un agosto caldo, ma anche un giorno come tutti gli altri, in attesa di quello che sarebbe successo di lì a poco.
Come mai si trovava al porto? C’era gente che si dirigeva a piedi verso Durazzo? Ricorda com’è stata per lei quella giornata a Durazzo?
Era una giornata ordinaria, faceva caldo, non sapevo nemmeno che cosa avrei fatto e che mi sarei trovato proprio là. Non solo là, ma anche durante quel giorno ed al ritorno, l’uomo pensa alla scena vissuta, alla situazione affrontatasi ed anche all’atmosfera drammatica nel suo complesso.
Vi era squallore e povertà di uomini, che andavano incontro alla morte dietro un filo di speranza, un filo che da lontano sembrava un filo comune, ma in realtà era una corda che avrebbe condotto ad una vita migliore, ritenuta da sempre all’occidente, e nessuno pensava al pericolo della propria vita, ma solo ed unicamente alla fuga.
Da tempo si era diffusa la voce a Tirana che molte persone stavano andando verso l’Italia tramite le navi nel porto di Durazzo. Ma per la verità non si sapeva nulla di certo. Le voci si diffondevano come il vapore, ma venivano credute poco. Ai tempi io lavoravo come fotoreporter presso ATSH ed appena ebbi la notizia partii.
Lungo la strada, verso la fine del Kombinat(a Tirana), vedevo camion scoperti sovraffollati di persone, gente sopra i pullman, gente che correva disperata. In mezzo alle macchine vedevo persone che avevano intrapreso quella strada a piedi, ma anche in bici. Le folle partivano dal “21 Dicembre”, uno dei quartieri di Tirana, e procedevano poco alla volta. Non riuscivo ad immaginare cosa avrei potuto vedere una volta giunti là.
Mi potrebbe descrivere un po’ il tempo in cui si trovava al porto. Quante persone potevano esserci nel mare? (durante questa domanda spesso chiude gli occhi e continua a parlare)
Era come una grande folla allo stadio con lo sguardo rivolto verso il mare e la schiena verso di me. A galla c’era la nave “Vlora”, che doveva trovarsi lì da ore, dal momento che quando vi arrivai io era già piena e sovraffollata di persone che volevano solo scappare. Da lontano si riusciva a scorgere solo le teste delle persone.
Nel frattempo, sebbene fosse già chiaro come la luce del sole che nella nave non vi era più posto, ma non ve ne era proprio, la gente al mare continuava a lottare per la libertà. La maggior parte erano giovani, ma non si tardava a distinguere anche donne con bambini. Dovevano essercene più di cento al mare!
Ora che mi hai chiesto del mare, mi viene in mente che c’era una grande corda che collegava la costa con la nave, come si vede anche nella foto, e poi si vedono anche altri che cercavano di sfruttare questa corda per giungere alla nave partendo dalla terraferma. Gente che strascicava sulla corda, molti dei quali cadevano giù oppure arrivavano alla nave, ma non riuscivano a procedere perché non vi era più posto. Eppure qualcuno ce l’ha fatta.
Come ha fatto a capire quello che doveva fare, che tutto quel momento era storico e che non si sarebbe ripetuto mai più … Questo era un vero e proprio secondo esodo, è lecito chiamarlo così?
Sì, proprio così bisogna chiamarlo, perché il primo ormai era già accaduto e non vi era paragone con questo. Durante il mese di marzo del 1991 centinaia e migliaia di albanesi era sbarcati a Brindisi, ma erano ancora pochi. Io conservo anche questo periodo nelle mie foto. In questo caso si trattava all’incirca di 20 mila emigranti tutti all’interno di una sola nave e non volevo perdermi nemmeno un istante per fotografare quell’evento nonostante tutto lo stress addosso.
Nel porto vi era grande cacofonia. Sembrava un formicolio, un alveare d’api e di mosche. Ci si perdeva a meno che non si sapeva ciò che si cercava! E stranamente quel giorno tutte le porte del porto erano aperte, non si sapeva il perché! La folla entrava come se dovesse assistere ad una partita allo stadio.
Quando arrivai alla riva del mare, trovai per fortuna una pila abbastanza elevata di non ricordo cosa, vi salii e da lassù osservavo da sinistra a destra la folla che brulicava su tutta la costa. Una via che senza timore raggiungeva un kilometro.
Questa è la più famosa delle sue foto, sebbene la maggior parte delle persone non sappiano da chi sia stata scattata. Ha un titolo questa foto? In quel momento avevi realizzato che stavi scattando una foto storica, una foto che non sarebbe stata scattata mai più?
Non solo,io lo capii già all’inizio dei processi democratici in Albania con la questione delle ambasciate. Io ero un fotoreporter, tutti avevamo paura, perché le nostre foto erano ancora controllate dall’alto.
Quindi anche quelle poche foto che facevamo, le facevamo con grande timore. Non solo fotografavo, ispirato com’ero da quegli eventi di grande rilievo storico, che sicuramente avrebbero avuto conseguenze storiche, ma mi preoccupavo seriamente anche della mia situazione.
Ma quegli eventi erano frammenti vivi di storia, ed era compito mio registrarli, poiché ero convinto che i cambiamenti sarebbero arrivati presto. Erano in pochi a pensarla così,per cui davano poca importanza alle foto che scattavano. Probabilmente gli altri colleghi non credevano ai cambiamenti che sarebbero arrivati, ecco perché non si impegnarono.
Si trattava di una spinta non solo professionale, ma in seguito anche storica. Il tempo ha testimoniato che io ero stato previdente, perché dopo l’esodo delle ambasciate ho fotografato tutti gli eventi in modo cronologico. E’ una delle foto che amo di più, racchiude in sé quell’insolita sensazione che provo io mentre scatto una foto. E’ una foto che nemmeno io potrò scattate mai più per molti motivi! Anche nel mio album “ La rinascita” l’ho intitolata “ VERSO L’OCCIDENTE”.
Charles Bukowski ha scritto da qualche parte che la maggior parte delle persone erano pazzi, l’altra parte che non erano pazzi erano sicuramente arrabbiati. Invece l’altra parte che non erano né pazzi né arrabbiati, erano semplicemente istupiditi. Quest’affermazione starebbe meglio se formulata come domanda riguardo a quel giorno. Come sembrava la gente lì?
Quelli che ho fotografato io portavano una semplice maglia bianca con dei jeans o pantaloni di terital, credo tu abbia presente la tipica moda albanese anni ’90. Regnava un’atmosfera desolata, persone che salutavano con le mani, intimoriti e rattristiti.
Donne con bambini, ma vi erano anche quelli che nel mare lottavano contro il mare stesso, sconfiggendo il tempo e la vita stessa. Invece lì dove io ho scattato le foto c’era solo silenzio, spettatori silenziosi.
Piangevano! Dopo aver fotografato il piano panoramico della scena, passai a fotografare la gente da vicino. C’è una foto in cui si vedono due donne, una porta un bambino in braccio e con occhi mesti guarda un uomo di fronte a lei, l’altra guarda verso di me con uno sguardo atterrito sopra un ammasso di ferraglia nei pressi della nave “Vlora”.
Gli sguardi delle persone rivelavano una tristezza cupa. Con gli occhi di chi ha avuto un’opportunità nelle proprie mani e non è riuscito a fare nulla.
C’è anche un’altra ragione, che molti di noi non conoscono, anzi sono pochissimi a sapere che la foto “Verso l’Occidente” è sua. Essa rimane una scioccante insegna della libertà e dello squallore al contempo, con o senza colori costituisce un esempio di esodo, ma anche di dittatura … C’è anche un altro fatto molto interessante, cos’è successo in seguito con questa foto?
La foto in bianco e nero la si può trovare in tutta la stampa albanese e straniera di quegli anni. Ed ogni volta che si parla di quei fatti, la foto è sempre in primo piano. Nel 2010 ho scoperto insieme a mio figlio che su Flickr la foto del 7 agosto 1991, cioè la foto dell’occidente, è stata presentata nella pagina ufficiale della Benetton su Flickr come la miglior foto fra le migliori 30 raccolte in una ventina di anni.
Abbiamo anche scoperto che la foto è anonima, senza autore, ed alla destra della foto vi è scritto che i diritti d’autore della foto sono riservati alla Benetton. Una foto usata a lungo dalla Benetton, in quasi tutte le sue pubblicità …
Perché su Flickr la foto viene presentata a colori e non in bianco e nero?
In base alla legge questo costituisce un invasione dell’opera altrui. In seguito alla scoperta abbiamo cominciato ad interessarci ai diritti d’autore, che in realtà sono io e per questo motivo abbiamo raccolto le prove necessarie a partire già dalla pellicola originale. La foto in questione fa parte del mio album “La Rinascita” che racchiude in sé i processi democratici nell’Albania del postcomunismo.
Mi chiedo sempre di più come sia possibile che un’azienda come la Benetton possa permettere alla sua immagine un tale utilizzo dell’opera altrui, dalla quale ottiene ciò che non le appartiene, propaganda, ma anche benefici finanziari, il tutto alle spalle di un fotografo albanese che non chiede altro se non i propri diritti d’autore. Inoltre l’azienda ha inserito in alto a sinistra anche la propria firma, in verde con le scritte bianche: UNITED COLORS OF BENETTON.
Conserva tuttora la pellicola originale?
Certo che sì. La conservo non solo come prova, ma anche per il suo valore professionale, insieme a tutte le altre che formano il ciclo di foto raffiguranti quell’evento. In base a questo dovrei vincere la causa in tribunale, perché quella foto non può averla scattata nessun fotografo italiano come corre voce qua e là. Quindi i diritti d’autore rimangono miei. Ora, insieme a mio figlio, ho cominciato i lavori per ottenere i diritti d’autore sulla foto.
Con che macchina è stata scattata la foto?
Con una “Nikon 73”
Quando stava facendo quelle foto ci furono dei morti o annegati?
Sinceramente ero concentrato nelle foto, anche quello che vedevo, passava troppo veloce, una sorta di rapida visione. Ricordo però tre o quattro ragazzi che cercavano di salvare un annegato, ma poi non seppi nulla se fu salvato o meno. Sicuramente ci saranno stati degli annegati o precipitati, ma soprattutto annegati credo ce ne siano stati sei o sette. In seguito ricordo che c’erano stati dei dispersi, ma non voglio inoltrarmi in questi fatti, dato che io sono quello che osserva da fuori.
La foto è molto scioccante, sia quella a colori, sia quella in bianco e nero. Partendo dall’originale, tutti quando la vedono rimangono sbalorditi, anche quelli che già conoscono la versione a colori e credono sia della Benetton. Si può considerare questa foto un dettaglio ,una miniatura di quello che è successo?
Dal lato professionale, questa foto è costruita professionalmente in modo corretto, perché essa è realmente un dettaglio di quello che stava succedendo a dimensioni molto maggiori. Dal punto di vista degli osservatori che non hanno vissuto nel vivo quei momenti, la foto è un simbolo di tutta l’emigrazione mondiale, perché in un solo giorno, in una sola nave sono partiti all’incirca 20 mila persone.
Il motivo è dovuto all’auto insolazione del regime dittatoriale che governava l’Albania da mezzo secolo, quando quest’ultimo è caduto, tutti pensavano che l’Occidente fosse la terra desiderata. Molti, presto, ne rimasero delusi perché non fu per niente facile e molti furono rimandati indietro dall’Italia, scalzi com’erano.
Quello che stava succedendo a loro non era solo una delusione, ma anche un ulteriore peggioramento della situazione di povertà che pesava nel paese. Non possiamo incolpare lo stato italiano, perché era difficile accogliere migliaia di persone giunti all’improvviso, comunque in seguito hanno mostrato rispetto nei loro confronti accettandoli e sistemandoli. Posso dire che con queste idee ho preparato e pubblicato un album con il titolo “La Rinascita”, che è stato accolto con molto entusiasmo dal pubblico ed è l’unica raccolta fotografica che documenti gli eventi degli anni novanta e poco oltre. P.
S. Gani Xhengo è nato a Korca il 2 dicembre del 1943 ed ha compiuto gli studi di legge all’Università di Tirana. Per molti anni ha lavorato come fotoreporter presso ATSH ed in quanto tale è diventato famoso grazie alle varie pubblicazioni nella stampa e alle mostre in Albania e all’estero. Il 5 aprile del 2011 il presidente Bamir Topi ha consegnato al fotoreporter Gani Xhengo la medaglia “Fiaccola della Democrazia” con la seguente motivazione: “Per il contributo e la professionalità nella documentazione dei grandi eventi della transizione democratica tramite la pubblicazione della fotografia ed una serie di album, come testimonianza della storia nazionale.”
Pubblicato sul quotidiano Shqip del 22 agosto 2012. Titolo originale “Fotoja që nuk bëhet më dhe Benetton” .Tradotto per AlbaniaNews da Daniela Vathi.