Flama (Calamità, Botime Pegi) è il titolo del libro che è valso a Tom Kuka, il prestigioso Premio Europeo per la Letteratura 2021, finanziato dal Programma della Commissione Europea, atto a favorire la circolazione della letteratura tra i Paesi dell’Unione.Un riconoscimento importante, che apre ulteriormente le porte al dialogo interculturale tra le diverse nazioni.
Giornalista, scrittore e oggi celebre conduttore televisivo, Tom Kuka, alias Enkel Demi nasce a Tirana nel 1972 ed è in Albania che svolge lodevolmente la professione di giornalista. Il suo primo romanzo, Hide mbi Kalldrëm, viene dato alle stampe nel 2016, mentre nel 2018 pubblica Gurët e vetmisë, in cui, la narrazione di una saga familiare e la fuga dalla terra degli antichi si fa forte e dolorosa. È con quest’ultimo libro che, nel 2019, Kuka vince il Premio Nazionale per la Letteratura. Nel novembre dello stesso anno esce il suo terzo romanzo Ora e ligë, tradotto e pubblicato in Italia nel 2021 dalla Besa Muci Editore.
Un’atmosfera magica e in parte surreale avvolge il racconto: una storia di vendetta, in cui l’offesa deve essere lavata con il sangue. Funesti presagi, stravolgimenti del destino, emozioni, tentazioni e un rancore che forse non è vero odio, ma solo necessità, sono gli elementi cardine intorno a cui si snoda la storia.
Un autore dalla scrittura cristallina Tom Kuka, che narra di Albania, Storia e tradizioni, vestendo il racconto di pathos, sofferenza e incanto. Ogni vicenda che anima i suoi libri cela spunti di riflessione, consegnando al lettore importanti e profonde domande sull’IO e sull’identità di un Paese, in parte, ancora oggi, alla ricerca della propria dimensione. Nonostante la sua preferenza cada sulle interviste in presenza, ci concede una breve, ma esaustiva chiacchierata, con la promessa di farne un’altra molto più ampia di persona.
Intervista a Tom Kuka
Ti aspettavi di vincere il Premio Europeo per la Letteratura?
No, non me lo aspettavo! Quando me lo hanno comunicato sono stato davvero felice, perché io non ho mai inseguito i Premi, non è nelle mie corde. In realtà, questo riconoscimento l’ho cercato e fortemente desiderato. La sua concretizzazione per me è una bella realizzazione.
Parlaci di Flama, il romanzo vincitore.
La storia è ambientata nella Tirana di circa un secolo fa, quando ancora non è una città metropolitana. Una misteriosa malattia miete vittime a dismisura e la potenza della calamità è amplificata da un’inspiegabile invasione di topi. L’ambientazione è talmente tetra da sembrare surreale: Tirana è totalmente isolata, nessuno delle località limitrofe vuole avere a che fare con i suoi abitanti. Quegli stessi uomini e donne che attendono l’inesorabilità del destino, fatta di morte certa.
A tutto questo, si aggiunge un orrendo crimine: una veggente di origini rom viene brutalmente ammazzata. Un omicidio che non passa inosservato agli occhi dell’ispettore Di Hima, che decide di indagare. Si reca, così, nella baracca dove la donna nana viveva prima di essere uccisa e fa una scoperta tenera, quanto inquietante: vi trova una bimba di quattro anni. L’uomo mosso a compassione prende con sé la piccola, trattandola come una figlia. Tutte le ricerche dell’inquirente sono rivolte a comprendere come mai, ci sia qualcuno che uccide. Come mai esista una mano assassina in un posto martoriato già da una strana devastazione, che terrorizza e ammazza. Questo è il punto nevralgico da cui, poi, inizia a srotolarsi l’intricato gomitolo.
Una storia misteriosa anche questa, una caratteristica che contraddistingue la tua narrazione. Tutto quello che tu racconti nei tuoi romanzi ha sempre un retroterra. Ti va di svelarci quello di Flama?
La rivelazione di quello che tu chiami “retroterra” di Flama non è semplice da fare in poche parole, ma cercherò di essere il più chiaro e breve possibile. La malattia e il crimine, l’origine del peccato e l’origine del disastro. Insomma, ho cercato di rappresentare un’altra Sodoma. Secondo quanto riferisce la Bibbia, nel capitolo 18 della Genesi, Yahweh rivela ad Abramo che sta per distruggere Sodoma e Gomorra, perché “il loro peccato era molto grave” e “il grido che saliva dalla loro città era troppo grande”.
Un racconto veritiero o forse leggendario, ricco di significati simbolici e soprattutto un racconto eziologico, proprio di quella scienza che si occupa di cercare le origini di alcuni fenomeni e di spiegare le motivazioni per cui sono accaduti. Tornando al mio romanzo, la metafora sta proprio nella strana epidemia che si diffonde, nell’urgenza di uccidere e quindi un metaforico “peccato originale” che alberga a Tirana. La gravità dei fatti che si susseguono, nasce dalla mano di Dio. Un esame accurato del tempo passato, per poter fare un’analisi dell’oggi e riuscire a rappresentare correttamente l’Albania nel mondo della letteratura.
Ti definisci “un albanese senza scrupoli”, quindi “un narratore senza scrupoli”. La tua penna è stata tale anche per Flama?
Come specifico sempre, io scrivo per quello che sono e per come so farlo e non per soddisfare le aspettative di chi mi legge. Se così non fosse, non rispetterei il lettore stesso. Facendo l’esempio di chi mi legge in Italia, io penso che esista la necessità di un’Albania descritta in maniera genuina, come solo uno scrittore albanese capace di rimanere se stesso può fare. La descrizione delle tradizioni della mia terra, fatte con semplicità e concretezza, possono far capire realmente le bellezze dell’Albania. La mia “albanità” non cambia e non mi vergogno di essere così testardo! Per cui, la risposta alla tua domanda è un secco e importante sì.
Quattro chiacchiere sul tuo stile e su L’Ora del male?
Sullo stile non ho molto da dire. Come ben si sa, è lineare e non lo devo a nessuno se non al fascino che hanno su di me i miti e le vecchie storie narrate dagli avi. Una decisione presa tempo fa, la mia, in quanto ritengo importante raccontare quanto i miei antenati hanno detto e trasmesso. Amo condurre il lettore in mondi inesplorati, proprio come faccio in Flama e ne L’Ora del male, dove tutto nasce con la Canzone di Çelo Mezani, uno dei canti più celebri in Albania, che esprime un crudele dolore e forte lamento; nello specifico, sono le lacrime della madre di Çelo a dar voce alla cantica.
La donna chiede dove sia il figlio scomparso e arrivano per lei notizie crude e crudeli e da qui il lungo e intenso malessere, la fortissima sofferenza che questa canzone trasmette. Allora cos’è L’Ora del male? Solo dolore? Rabbia? Vendetta? Sofferenza? No. L’Ora del male fa riferimento a tutti quegli sconvolgimenti che ci portiamo dietro nella quotidianità e che fanno inesorabilmente parte dell’animo umano.
Tra pochi giorni sarai a Passaggi Festival di Fano, una delle più grandi manifestazioni librarie italiane. Come vivi quest’attesa?
Posso soltanto dire che sono felice di esserci. Provo un’emozione grandissima per quest’esperienza che mi attende. Sono orgoglioso e onorato di avere la possibilità di presentare in anteprima nazionale L’Ora del male, nel contesto di un evento così importante come Passaggi Festival di Fano. Sarà bellissimo incontrare i lettori italiani in una cornice di pura magia.