In redazione presso Albania News, recentemente uno dei nostri collaboratori, ci ha fatto pervenire del materiale da lui preparato e che abbiamo già pubblicato, su un determinato filone: “Arboricoltura, Viticoltura, Enologia”, – spaziando tra informazioni generiche e quelle tecniche su questa branca, su caratteristiche organolettiche del vino, per focalizzarsi in seguito al microcosmo della coltivazione delle viti, la storia del vino e l’enoturismo in Albania.
Data la peculiarità del dossier di Gino LUKA sul “Vino” che ci giunge nuova per il profilo con cui abbiamo conosciuto di consuetudine il nostro collaboratore finora – nella veste di traduttore e scrittore – volgiamo a lui qualche domanda mirata:
– Sono molti i poeti che hanno decantato il vino: Saffo, Baudelaire, la Merini, ecc…
Ma tu, non ti limiti “a decantare il Nettare di Bacco”, sotto il profilo artistico, bensì hai offerto ai lettori una serie di articoli tecnici dettagliati su quest’argomento.
A cosa è attribuibile nel tuo caso – la passione, per un traduttore e scrittore, per il “Vino”?
Non solo, da dove trae spunto la tua conoscenza approfondita della materia?
Prima di rispondere alla tua domanda, mi piacerebbe aggiungere alla lista di cantori del vino anche il poeta Omar Khayyam…
Inizialmente mi sono sentito attratto dal mondo del vino senza un motivo preciso, non è stata una scelta consapevole e chiara, è stato solo un “sentire” in modo irrazionale. Sono degli stimoli che provengono dal profondo dell’anima e sono convinto che abbiano a che fare con le nostre origini: mio nonno Lin LUKA, amministratore della firma Lin Vll.
LUKA, era un degustatore di vino ed è stato il partner commerciale principale dei Fratelli Branca e del Gruppo Campari, prima dell’evento della dittatura, in Albania.
Mia nonna Adelaide invece proveniva da una famiglia di proprietari terrieri. La sua famiglia possedeva molti ettari di vigneti a Bardhej, vicino a Scutari, dove produceva vino. Nella loro famiglia sostenevano di essere nati “da un ceppo di vite”. Forse, in questo senso, si può parlare di “chiamate” a ripercorrere le proprie origini, a completare il destino dell’anima di un antenato che ha deciso di rivivere in questa vita…
– La “chiamata”, non è un evento miracoloso, avviene semplicemente ascoltando la propria voce interiore, è un modo per crescere e compiere il nostro destino.
In questo senso si parla di attrazione e sentimenti… senza possedere una conoscenza approfondita, che in seguito si cerca di acquisirla gradualmente e, oggigiorno, diventa obbligatorio seguire un corso di sommelier; p.es. quella di FISAR è una delle 4-5 scuole di sommelier più affidabili in Italia.
Vino, Italia e Albania
Come vedi la ‘mappa’ che annovera i sommelier albanesi che si sono istruiti in Italia in questo ambito, ne abbiamo diversi oppure no…?
Ovviamente, ce ne sono tanti e bravi, poiché, come anche per un altro mestiere o arte, non è importante il luogo d’origine del professionista ma la passione, la dedizione, l’impegno e lo studio: p.es. a Torino lavora ormai da molti anni la premiata sommelier Daniela Mecaj, socia FISAR.
Anche in Albania si stanno formando sommelier e, sicuramente, anche l’Albania sarà competitiva nel mercato mondiale in un prossimo avvenire. Inoltre, in Albania lavorano alcuni soci affermati dell’AIS: il Presidente della Sommellerie Albanese Dashamir Elezi è un sommelier che ha studiato in Italia ed è tornato a lavorare con successo in Albania, o il sommelier Fation Tila, proprietario dell’enoteca Vena a Tirana.
A parere del vincitore del premio “Il miglior Maître d’Italia dell’anno 2017”, secondo la guida de L’Espresso 2017, Sokol Ndreko (Sommelier e Maître del ristorante Lux Lucis all’interno del prestigioso Hotel Principe, Forte dei Marmi): “Un premio è solo un motivo di crescita, miglioramento e perfezionamento che comporta maggiore responsabilità”.
Qui ho citato solo alcuni sommelier ma la lista continua…
Agronomia ed Enoturismo Albania
Considerando che “il vino è opera dell’uomo”, in che stato si trova attualmente questo settore albanese a seconda delle tue conoscenze?
L’Albania è un mercato emergente per il vino. La Federexport Piemonte, in un ipermercato posto all’interno di uno dei più frequentati centri commerciali di Tirana, QTU – Euromax ha promosso 116 etichette piemontesi in occasione del I festival italiano.
“Il mercato albanese – ha spiegato Giuseppe Monforte, Presidente di Federexport Piemonte – rappresenta uno sbocco naturale e privilegiato per l’export italiano, il consumo di vino pro capite sta aumentando notevolmente di anno in anno e i prodotti piemontesi riscontrano un grande e crescente successo”.
Invece per quel che riguarda i vini albanesi, nel “Balkans International Wine Competition and Festival” sono stati premiati i seguenti vini:
Best of Show Albania
Albania | Korca 2000 | Red | Merlot Menea 2/2 | 2011 |
Medaglia di Bronzo
Albania | Caco winery | Red | Lyhnid Red | 2017 |
Albania | Caco winery | Rose | Pamid Rosé | 2018 |
Albania | Vreshti i Pashait | Red | Shiraz | 2016 |
Medaglia d’argento
Albania | Belba | White | Kavaljion Chardonnay | 2018 |
Albania | Belba | Red | Kavaljion Shesh i Zi | 2015 |
Albania | Korca 2000 | White | Riesling Menea 1/1 | 2017 |
Albania | Kallmeti Kantina | Red | Kallmet Prestigi | 2017 |
Albania | Lundra | Sweet | Lot i Embel | 2017 |
Albania | Lundra | Red | Cabernet Sauvignon | 2017 |
Quando si fondono il Traduttore, lo Scrittore con il Sommelier, uno scenario spontaneo su cui domandarsi, sarebbe: In una cantina, quale vino sceglieresti senza esitare e, in una biblioteca, quale genere di libri sceglieresti come priorità di preferenza?
Comincio dalla domanda più facile: in una biblioteca scelgo di solito libri di poesie, manuali di filosofia, di psicoanalisi, religione, arte; inoltre sono attratto dalle varie cucine regionali italiane.
Mi piace particolarmente la cucina toscana; essenziale, genuina ma anche raffinata perché come diceva Leonardo da Vinci: “La semplicità è la massima raffinatezza”. Continua ad affascinarmi “La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene” di Pellegrino Artusi. È sottointeso che la scelta dipende spesso dallo stato d’animo, p.es. non sempre ho voglia di leggere poesie o manuali di filosofia…
Invece scegliere un vino, senza esitare, rimane per me un compito assai arduo. Così come per il libro, la scelta dipende dall’occasione, dal contesto e dallo stato d’animo. Secondo il mio modesto parere, prima di tutto bisogna pensare a un possibile abbinamento. P.es. quando mia madre prepara per pranzo spaghetti all’amatriciana un Offida Pecorino DOCG (Bianco, fermo, alcool 11,5 %. Temperatura di servizio: 8/10 °C. Consumo ideale: 2019/2021), si sposa felicemente con il sugo corposo dell’amatriciana; anche un vino Contessa Entellina DOC Viognier dovrebbe andare bene (Bianco, fermo, alcool 11,5 %. Temperatura di servizio: 8/10 °C. Consumo ideale: 2018/2021), ecc. In alternativa scelgo la mia bottiglia preferita e creo la combinazione migliore.
Se per il mio compleanno un amico mi regalasse un Brunello di Montalcino DOCG, l’eleganza e il corpo del Brunello di Montalcino permettono abbinamenti con piatti strutturati come gli arrosti o il pecorino toscano stagionato ecc.
Poi ci sono i cosiddetti vini da meditazione. Vini come Erbaluce di Caluso passito, il Vino Santo del Trentino, il Cinque Terre Sciacchetrà, l’Aleatico passito dell’Elba, la Malvasia di Bosa, Vin Santo Occhio di Pernice, ecc. si prestano bene anche ad abbinamenti particolari, come i formaggi erborinati italiani, i formaggi stagionati e anche il fois gras. Questi vini si possono servire per accompagnare un dessert, ma anche da soli sono la perfetta conclusione di un pranzo o una cena.
E’ importante bere un bicchiere di vino in buona compagnia e ognuno di noi dovrebbe essere capace di conoscere un vino, utilizzando tutti i sensi, la vista, l’olfatto e il gusto, il tatto. Il vino, come il cibo, è qualcosa di personale. E infine, bere un bicchiere di vino, in alcune occasioni, ci aiuta a parlare meglio un’altra lingua: un team di scienziati olandesi e inglesi ha dimostrato che quando si assume moderatamente dell’alcool si è più fluenti in una lingua straniera…
«Grande è la fortuna di colui che possiede una buona bottiglia, un buon libro, un buon amico», scriveva Molière. Finora penso di aver imparato a scegliere una buona bottiglia e un buon libro…
Bonum vinum laetificat cor hominis
“Il buon vino rallegra il cuore dell’uomo” – recita la Bibbia.
Ma, il rapporto degli albanesi con il vino è stato storicamente forse meno accentuato di quello con la loro “Raki” oppure abbiamo una parità di gradimento e consumo tra entrambe le bevande per l’Albania?
Il rapporto degli albanesi è stato molto accentuato con il vino, la Raki diventa di “moda” molto più tardi con le mejhane, specialmente durante il periodo ottomano…
Basti pensare che i vini albanesi rientravano nel registro dei vini della Repubblica di Venezia:
I vini erano identificati anche dalla provenienza, come chiarisce una scrittura dei Cinque Savi alla Mercanzia del 1692 che così li distingue: “Vini Terrani, chiamati anche Vinti:
vini della Terraferma, del Friuli, dell’Istria, della Schiavonia, della Dalmazia, dell’Albania; comprendono anche alcuni vini provenienti da esteri stati, come la Lombardia Ferrarese, il regno di Napoli ed in particolare i vini provenienti dalla Puglia e dall’Abruzzo. (Il vino nella storia di Venezia, Vigneti e cantine nelle terre dei dogi tra XIII e XXI secolo, a cura di Carlo Favero – I dazi sul vino nella Repubblica di Venezia; di Michela Dal Borgo pag. 236)
I vini albanesi erano favoriti dal punto di vista daziario:
I vini di terraferma erano i favoriti dal punto di vista daziario. Le tariffe più favorevoli erano per i vini di Schiavonia, i terrani, una categoria di vini che includeva anche i vini dell’Istria, della Dalmazia e dell’Albania. Pagavano di più i vini di Corfù, Zante, Cefalonia e quelli di provenienza adriatica. (ibidem. Venezia ed il vino: il tempo ritrovato; di Attilio Scienza, pag. 42)
A proposito di Mejhane:
Mejhane era una taverna o osteria tradizionale in Albania e nei Balcani, dove si servivano bevande alcoliche come vino, raki, meze e cibi tradizionali. La cultura di mejhane si sviluppava nelle città di mare, dove mercanti e marinai si fermavano a passare il loro tempo e per bere.
Meyhane significa casa del vino ed è composto di due parole persiane: mey (vino) e khāneh (casa). La parola è entrata in albanese come mejhane/a, in serbo e bulgaro mehana e in macedone meana. In bosniaco si usa la parola mejhana.
Una mejhane serviva principalmente vino insieme a meze fino alla fine del XIX secolo quando la raki-a si affermò come la bevanda nazionale quasi ufficiale dell’Albania. In Serbia, la parola mejhana è considerata arcaica, mentre in Bulgaria si riferisce a un ristorante con cibo tradizionale e musica. In Albania attualmente mejhane forse non esiste più e il termine definisce un locale gestito e frequentato da persone di basso strato sociale, rumoroso e pieno di fumo…
Bisogna ricordare che la Raki albanese è differente dalla rakı turca la quale è una bevanda alcolica zuccherata, aromatizzata all’anice e che è paragonabile ad altre bevande alcoliche del Mediterraneo e del Medio Oriente, a es. pastis, ouzo, sambuca e arak. La popolarità di Raki nei Balcani si diffonde con la moda di mejhane dopo l’occupazione dall’Impero ottomano, durante il quale il numero di mejhane aumentò in modo significativo.
In Albania, la mejhane ha perso la sua popolarità ed è stata sostituita con il Ristorante, il Bar, il Wine bar e l’Enoteca. Continua, comunque, la produzione e il consumo famigliare di raki anche se accompagnare un pasto con un bicchiere di vino è diventato più appagante. Anche la cultura del vino è cambiata: nel passato il vino era considerato un alimento, oggi invece ha assunto un carattere edonistico. Durante il periodo della dittatura c’erano molti negozi, dove si poteva comperare vino sfuso: vino in damigiana o vino in bottiglia. Si trattava di vino da tavola di qualità che spesso lasciava desiderare. Questi negozi non esistono più.
Secondo l’esperienza personale e all’ambiente in cui è consumato il vino cambia anche il suo significato: il vino può trasmettere amore, gioia o tristezza. Il vino è una palestra sensoriale, dice il nutrizionista Dott. Ezio de Mola. A questo scopo bere un bicchiere di vino al giorno può risultare un toccasana per un benessere fisico e mentale. Perciò, concludendo possiamo dire che il vino in Albania sta ritornando al suo antico splendore.
Il vino alla natura umana
Di per sé, secondo te, su quale piano possono rappresentare delle affinità?
Il vino è stato sempre carico di significati per l’uomo. La storia, la cultura e la civiltà umana non possono essere concepite senza la coltivazione della vite e la produzione del vino. Secondo la Bibbia è stato Dio stesso a fare dono all’uomo del vino.
Dioniso è una divinità della religione greca. I romani adottarono Bacco per indicare Dioniso. dall’appellativo greco Βάκχος (Bákkhos), con cui il dio greco Dioniso (Διόνυσος), veniva indicato nel momento della possessione estatica (corrisponde a Fufluns etrusco).
Originariamente fu un dio arcaico della vegetazione, legato alla linfa vitale che scorre nelle piante. In seguito fu identificato come Dio dell’estasi, del vino, dell’ebbrezza e della liberazione dei sensi; venne quindi a rappresentare l’essenza del creato nel suo perenne e selvaggio fluire, lo spirito divino di una realtà smisurata, l’elemento primigenio del cosmo, l’irruzione spirituale della zoé (vita) greca, ossia l’esistenza intesa in senso assoluto, la frenetica corrente di vita che tutto pervade (cit. “Simboli”, T. originale: Knaurs Lexikon der Symbole, München).
Il vino nella simbologia tradizionale doveva spezzare gli incantesimi e smascherare le bugie: (in vino veritas), e anche i defunti potevano gustarlo, si versava a terra disperdendolo (libagione).
In Oriente e in Egitto la coltivazione della vite è molto antica. Essa è attestata già intorno al 3000 a.C. L’uva scura si chiamava occhi di Horus. Il vino è stato visto spesso in stretto legame con il sangue, e non soltanto nel sacramento cristiano.
Nell’Islam vige un atteggiamento ambiguo nei confronti del vino: a tutti i fedeli è vietato consumarlo, fanno eccezione i sufi, la corrente più spirituale dell’Islam. In Albania si trova il centro del Tarikati Bektashi; che sono una confraternita islamica (ṭarīqa, ordine, di derivazione sufi), ma nel paradiso gli eletti bevono “il vino che è sigillato con muschio e desta il desiderio di tutti quelli che lo invocano. E il vino sarà mescolato all’acqua della sorgente Tasmin, da cui bevono coloro che sono vicini ad Allah, i suoi amici”.
Nella simbologia onirica della psicologia del profondo, la comparsa del vino significa il contatto con un contenuto animico-spirituale della personalità, ma non l’alcool nel senso comune del termine. L’esperienza religiosa ha elevato il vino a parabola del sangue divino. Nel vino è l’elemento eccitante, la forza dello spirito, che vince il peso della terra e mette le ali alla fantasia… dove il vino dorato, rosso scuro, brilla nel calice del sogno, vi è vita positiva e importante. Il miracolo del vino è, dal punto di vista dell’anima, il miracolo divino della trasformazione da un‘esistenza terrena vegetativa in uno spirito alato”. (Ernst Aeppli, Les rêves et leur interprétation, Paris)
Penso che metaforicamente in questo piccolo racconto si trovi la risposta definitiva. Nella raccolta medievale di novelle Gesta Romanorum (intorno al 1300), si narra che:
«Noè trovò la vite selvatica, che fu detta Labrusca, dai bordi (labbra) dei campi e dei sentieri. Ma poiché questo vino era aspro, egli prese il sangue di quattro animali: un leone, un agnello, un maiale e una scimmia, lo mescolo con la terra e ne fece un concime che depose sulle radici della vite selvatica. Cosi il vino venne addolcito da questo sangue… Col vino molti uomini irascibili diventano leoni e perdono il loro intelletto. Alcuni diventano agnelli per la vergogna, altri diventano scimmie, in preda a una curiosità e a un “allegria indecorosa”. Delle conseguenze “da maiale” dell’ubriacatura il testo non dice nulla, dato che questo tipo d’effetto veniva ritenuto anche troppo noto».
Tu hai scritto anche un glossario sul Vino, italiano-albanese: da dove nasce questa idea?
L’idea nasce da un concetto semplice: Tecnoletto è il termine usato da alcuni linguisti per indicare il complesso delle parole ed espressioni proprie dei singoli linguaggi tecnici e settoriali. Anche i sommelier hanno la loro lingua: una microlingua, cioè un linguaggio settoriale, per indicare quei linguaggi tecnici o specialistici che, in uso in determinati settori, costituiscono una varietà in seno alla lingua comune, con caratteri tipici propri principalmente sul piano lessicale. A questa “lingua” potremmo dare il nome di “Sommelierese”.
Il glossario Vena è un piccolo contributo per gli aspiranti Sommelier italo-albanesi…
Il sommelier
La figura del sommelier è forse una delle più misteriose nel mondo della ristorazione. Tutti conosciamo il ruolo, ma spesso esitiamo a fare domande per paura di apparire ignoranti. Secondo te, chi sono i sommelier, puoi darci un’idea non troppo tecnica?
Il sommelier è una persona sensibile a sentori e sapori, attento ai dettagli, quasi puntiglioso. E’ una figura che dà pregio ai locali. Durante l’esercizio della sua professione, quasi un’arte, a parte quei lavori che vengono descritti dai manuali, normalmente è in grado di rispondere alle curiosità di commensali esigenti con descrizioni sensoriali e geografiche, e adempie con classe alle mansioni relative al vino nella tavola degli ospiti. Possiede una cultura generale di storia e geografia, ha viaggiato nelle principali zone europee di produzione del vino, perlomeno italiane e francesi.
Per avere un’idea più tangibile di chi sono i sommelier posso presentarti brevemente alcuni di loro, che ho avuto occasione di conoscere durante il corso di sommelier. Sono persone che hanno fatto del vino la loro passione e alcuni anche il loro lavoro.
Aldo Mussio: (Direttore di corso) Sommelier, Delegato di Firenze. Assaggiatore di Formaggi, Assaggiatore di grappa e acquaviti.
Marco Ugolini: (Direttore di corso) Sommelier, Assaggiatore di Formaggi. È lui il sommelier ideatore dell’evento enogastronomico Scarperia Wine a Palazzo dei Vicari di Scarperia (Firenze), dedicato all’affascinante mondo del vino con degustazione guidata, che viene organizzato ogni anno.
Eleonora Rook: (Direttrice di corso) Professionista nel settore delle Belle Arti, Sommelier, formatrice per corsi sommelier, ha fatto del vino un mestiere e un’arte.
Katarina Anderson: Sommelier, traduttrice, è una scrittrice di vino.
Gioni Bonistalli: Sommelier e formatore, è titolare delle enoteche/ristoranti To Wine – Vigna Nuova – To Wine in Piazzetta.
Gennaro Aceto: (Direttore di corso) lavora per la Mondadori, sommelier e formatore Fisar. Marilena Napolitano, direttore di corso Fisar Siena, Luca Iacopini, formatore Fisar, Giovanni Liguoro: (Direttore di corso) Sommelier, Pistoia.
Catia Cantini: ricercatrice presso l’Indire (Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa). Simone Mazzei, Marco Palmerio, Mattia Crescioli, Emanuele Marcora, Nady Nefedova, Alberto Bardazzi, Sabrina Malavolti (musicologa, presidente del Rotary Club Mugello), Davide Cozzolino (enologo) e molti altri amici con i quali durante le lezioni ho condiviso molte preoccupazioni, gioie e vini e, la lista è lunga… Chiudo questa piccola presentazione che riguarda i sommelier con un pensiero di Stefano Carmassi (Sommelier e formatore per i corsi di Sommelier):
“Ritornare al vino come elemento di aggregazione, come stimolatore di creatività, come catalizzatore di spazi pubblici. Un vino non esclusivo ma inclusivo. Diventa così urgente ritrovare quel filo che ci riconnetta sentimentalmente a quei monaci-contadini pieni di passione e amore per la terra e i suoi frutti”.
Progetti futuri?
L’idea è bere del buon vino e star bene con gli amici…
Che cosa ne pensi, è un piano troppo ambizioso?