Sommario
Classe 1951, 17 anni nelle carceri del regime comunista, anticonformista, coerente, di sinistra. È Fatos Lubonja, uno degli intellettuali albanesi più lucidi e critici verso il potere in tutte le sue forme, una voce libera che abbiamo intervistato per ricomporre con occhio critico il puzzle del contesto albanese odierno.
Società civile, media, lustrazione, giovani, politica, sviluppo, integrazione all’UE, crisi, voto, sinistra, temi di attualità che Lubonja affronta quotidianamente anche sulla stampa e i media albanesi.
L’Albania descritta da Lubonja è diversa da quella propostaci dalla classe politica e dai media a loro affini. Un sistema oligarchico in cui gli interessi di pochi vengono curati attraverso la politica e i media perché loro sono riusciti ad appropriarsi di entrambe.
Un sistema mediatico distorto costruito sul modello berlusconiano con una tv pubblica controllata dal governo e i media privati schierati con le parti politiche. Una società civile debole e non autonoma che assomiglia ad una pianta capovolta con le radici sopra nutrita dagli occidentali.
Giovani che si mettono al servizio della politica piuttosto che diventare catalizzatori di cambiamenti. Dall’altra parte, negli ultimi anni si sono creati spazi maggiori di libertà, informazione, movimento, contatti con le nuove idee globali, che la società civile e i giovani dovrebbero sfruttare per correggere la fragile democrazia albanese e il suo modello di sviluppo.
Infine, per la prima volta Lubonja racconta le ragioni che lo portano ad essere di sinistra, nonostante 17 anni di carcere sotto il regime comunista, in cui spiccano una forte sensibilità verso l’uguaglianza e la libertà.
1 Società civile e politica
Dal 1991, in Albania si parla di società civile. Sembra che sia più un concetto prestato da altri paesi, e basta portare asini in piazza, fondare ong oppure implementare progetti con fondi internazionali per poterne fare parte. Cosi si intende con società civile oggi in Albania e che ruolo può avere nel futuro?
Mi ricordo che nel ’89-’90, Ralf Dahrendorf ha pubblicato “Lettera immaginario ad un amico di Varsavia”, in cui tratta il futuro dopo la caduta del Muro di Berlino e ci offre una riflessione interessante che ho commentato più volte “se per cambiare le leggi, vi serviranno 6 mesi, se per cambiare l’economia, la struttura, vi serviranno 6 anni, per costruire la società civile vi serviranno 60 anni”.
Lo cito per mostrare il tempo che serve perché durante la transizione non sono bastati neanche i 6 mesi o i 6 anni necessari per cambiare le leggi e l’economia. La costruzione della società civile in 60 anni dimostra la complessità della questione, perché nella sua essenza è insita la democrazia, la capacità delle persone di essere padroni di se stessi. Per Dahrendorf, la società civile serve per riempire il gap tra il potere e il popolo, cioè è il contropotere che controlla il potere.
Secondo me, la costruzione di una società civile sana è parte di un percorso in cui camminano insieme il pluralismo partitico, i partiti, i media, il sistema della giustizia, e sicuramente lo Stato. È difficile separare la società civile nel senso di un qualcosa che si sviluppa di più o di meno rispetto alle altre. In Albania, non è solo la società civile a non funzionare bene, ma non funzionano bene l’economia che è informale, lo stato, il sistema della giustizia, il pluralismo partitico che è ancora molto debole. Tuttavia, se intendiamo per società civile, la capacità della società di auto-organizzarsi, di tutelarsi dal potere e servire al meglio se stessa, questo processo è ancora agli inizi. Attualmente, si tratta di una società civile costruita dall’esterno, come una pianta capovolta con le radici sopra che viene nutrita dagli occidentali e non ha le radici per terra perché la possa nutrire la stessa società albanese.
Invece il suo ruolo nel futuro dipenderà dalla creatività, il coraggio degli albanesi e dal bisogno che avranno a organizzarla. Oggi, non svolge il ruolo che dovrebbe avere.
Uno degli aspetti che riducono la fiducia nell’utilità della società civile, sono i suoi legami con la politica che in Albania si incontrano almeno in due forme. Nella prima, notiamo lo schieramento delle organizzazioni della società civile secondo gli interessi dei partiti politici, nella seconda, suoi esponenti passano alla politica attiva perché, secondo loro, la politica si può cambiare solo da dentro. Perché succede questo fenomeno? Una società civile indipendente non serve meglio all’emancipazione della società?
È senza dubbio cosi. La società civile deve avere quel ruolo che in inglese è definito “counterpart”, cioè una controparte che integra e controlla il potere. Se includiamo anche i media indipendenti nella società civile, questa dovrebbe essere autonoma dai partiti politici e fare la critica di entrambi i poteri, quello locale e quello centrale. Ci servirebbe proprio una società civile che sia controparte di questi due poteri che sotto-sotto sono uno unico. Invece la maggioranza degli attivisti della società civile, come anche i media, hanno trovato la via più facile, cioè si sono schierati, diventando parte del gioco politico con uno o l’altro schieramento perché in questo modo sono più protetti.
All’inizio hanno sbagliato anche gli sponsor di questa società civile cambiando strategia dopo il collasso dello stato albanese nel 1997. L’idea era di non investire più sulla società civile considerato che lo Stato era debole. Per tanto, il fattore internazionale si è impegnato di più sul rafforzamento dello Stato, il rientro di esperti da inserire nell’amministrazione pubblica, ecc. Nel frattempo, gli oligarchici arrivati al potere si sono appropriati dello Stato, hanno pervertito il ruolo dei media creati da loro e la società civile non è stata incoraggiata come forza indipendente. È questa una delle ragioni. Le altre riguardano i legami e le affiliazioni che una parte degli attivisti della società civile aveva da prima con la politica. È soprattutto la tentazione del potere che ha portato i suoi esponenti a entrare in politica.
2 Media e distorsione
Negli ultimi anni, si può notare un miglioramento della qualità dei media in Albania. Nei media elettronici si è investito molto, ci sono trasmissioni e talk show di qualità, una concorrenza di tipo anglosassone. La stampa fa inchieste sui casi di corruzione e i misteri della transizione albanese. Lei è uno degli analisti più presenti nei media albanesi e per un breve periodo è stato Presidente del Consiglio Direttivo della RadioTelevisione albanese. Perché ha dato le dimissioni e riescono ad essere realmente indipendenti i media in Albania?
Comincio con le ragioni delle mie dimissioni perché spiegheranno anche il secondo quesito della domanda. Sono stato molto critico verso il sistema mediatico eretto in Albania dopo il 1997.
Fino al 1997, l’Albania si trovava in uno stato di inerzia dal regime comunista. Durante il suo primo periodo, Sali Berisha ha vietato le radio e le tv private, controllando la televisione pubblica. Certo, c’erano alcuni giornali, ma il controllo della RadioTelevisione era una forma vecchia di controllo e all’epoca molti di noi hanno sostenuto l’idea che i media privati avrebbero portato più libertà. I socialisti arrivati al potere nel 1997 hanno concesso piena libertà per l’istituzione dei media privati, anche perché nei 5 anni precedenti c’erano state molte proteste. All’inizio, abbiamo partecipato con entusiasmo in questa nuova esperienza mediatica albanese nella quale sono nate molte televisioni e giornali privati.
La mia critica sta nel fatto che sono nati secondo il modello berlusconiano, cioè uomini d’affari potenti che entravano nei media, e non come attività imprenditoriali in cui il profitto deriva dalle vendite del giornale. Sarebbero, nel senso migliore del termine, i media liberi che si fondano sull’economia di mercato. Sono stati gli imprenditori di diversi settori, ma principalmente dell’edilizia, il settore più redditizio, ad investire nei media gli introiti provenienti dalle loro attività principali, incluso quelli dai traffici di droga. La distorsione dei media era risultato dei loro interessi e grazie al possesso dei media sono riusciti, da una parte, a usurpare e ricattare la politica, dall’altra, a curare l’immagine loro e delle loro attività. Molto presto, noi, gli intellettuali che pensavamo di poter diventare lo spirito di questi giornali e decidere la loro linea mentre gli editori non avrebbero contato nulla, ci siamo sentiti sempre più minacciati da questo potere.
In un mio articolo pubblicato durante quel periodo su questo fenomeno, ho paragonato gli editori al Jurassic Park di Spielbierg, in cui gli scienziati hanno prodotto i dinosauri, pensando di poterli controllare. Ma i dinosauri sono diventati potenti e ci siamo trovati sotto il loro diktat. Perché? Ci pagavano e si trattava anche della sopravvivenza economica del giornalismo. Cosi, il sistema mediatico è diventato sempre più distorto e manipolativo, perdendo la propria funzione, invece i media e giornalisti sono diventati sempre più dipendenti e sottomessi. Sono stato uno dei contestatori di questo fenomeno. Ho avuto anche un processo lungo 2 anni con l’editore del quotidiano “Shekulli” (Il Secolo) perché mi ha censurato un articolo. Ho denunciato pubblicamente la censura e lui mi ha fatto causa per lesione dell’immagine del quotidiano e della sua azienda.
Anche Berisha quando era stato all’opposizione (tra il 1997 e il 2005 ndt) aveva denunciato questo sistema mediatico, sicuramente, per i suoi fini politici. Io ho accettato di far parte del Consiglio Direttivo della Radiotelevizione con l’idea che serviva un altro progetto e sembrava che si potesse avere il sostegno necessario per realizzarlo. Il mio progetto era salvare il sistema dalla violenza di questo tipo di media privati attraverso il rafforzamento di una televisione pubblica non controllata dallo stato, di cui si conosce la provenienza delle risorse finanziarie. Non ero contro i media privati, ma per la loro riduzione e il loro rientro nel mercato, perché sopravvivevano grazie ai bandi di gara e altri introiti che gli editori riuscivano ad avere per via dei legami con la politica e anche grazie alle entrate dalle costruzioni.
Ho presentato il mio progetto alla stampa ma molto presto ho notato che la promessa di regolamentare il sistema mediatico non era seria. Era un gioco del potere, come succede spesso con i politici che fanno promesse ma non le mantengono. La realtà del sistema mediatico è rimasta la stessa. Una televisione pubblica molto debole che non la segue nessuno, per di più controllata dal governo, e tv private schierate e polarizzate in base agli interessi degli uomini d’affari legati a uno o all’altro schieramento politico.
Ho dato le dimissioni perché la polarizzazione dei media è andata avanti. Inoltre, sono stato proposto dalla società civile, dalle associazioni dei giornalisti, e formalmente si è disegnato lo schema di un Consiglio Direttivo che non dipendeva dai partiti anche se veniva eletto dal Parlamento. L’opposizione di centro-sinistra ha contestato la nostra elezione supponendo che fossimo sostenitori di Berisha. Da un lato, aveva ragione perché non era stato raggiunto un accordo tra le parti, ma dall’altro, era molto legata ai media privati che aveva controllato quand’era al potere. Inoltre, l’opposizione ha voluto uno schema di controllo basata sui rappresentanti di partito. Berisha ha accettato successivamente questo schema e sono stati eletti alcuni membri proposti dal PS. Ma eleggendoli, sembrava che io rappresentassi i democratici. In verità non ero di nessuna delle parti e ho dato immediatamente le dimissioni. Infine, più in generale, mi sono dimesso perché ho notato che il governo non aveva intenzione di incoraggiare un progetto sui media come lo desideravo io.
3 Lustrazione e strumentalizzazione
Ha trascorso 17 anni nelle carceri di uno dei regimi comunisti più feroci dell’Europa dell’Est. Uno degli organi più efficienti del regime era Sigurimi i Shtetit, cioè la polizia segreta, che si fondava su una rete di collaboratori segreti che spiavano chiunque potesse minare la sua sicurezza. Oggi, 18 anni dalla caduta del regime, uno delle questioni irrisolte rimane proprio questa. Durante la transizione sono state fatte alcune leggi sulla lustrazione, l’ultimo qualche mese fa, e la loro approvazione coincide sempre con le elezioni parlamentari di turno. Perché succede questo fenomeno e come si può porre fine a questa questione?
É una delle piaghe ancora aperte della società albanese riguardo al passato. Sostengo che si tratti di un “opera problematica”. Shakespeare ha alcune opere nelle quali il protagonista si trova in situazioni in cui gli è difficile decidere cosa fare. Per esempio in una di queste intitolata “Misura per Misura”, la protagonista principale, Isabella, viene messo da Angelo, il vicario del Duca, di fronte all’alternativa di concedersi a lui altrimenti Angelo avrebbe ordinato l’esecuzione di suo fratello condannato a morte. E quindi si trova davanti al dilemma se concedersi a lui per salvare il fratello oppure salvare l’onore e lasciare il fratello al boia.
È un opera problematica perché la lustrazione comporta problemi. Ho sostenuto la lustrazione con tutta l’operazione dolente e lo sconvolgimento che potrebbe comportare in tutti gli aspetti. Comunque ho sempre utilizzato anche un’altra metafora: ci servono medici chirurghi e non macellai. Quando si fa un intervento chirurgico sul corpo, l’obiettivo è quello di sanarlo e non ucciderlo. Invece la nostra classe politica rientra nella categoria dei macellai e strumentalizza la questione.
La lustrazione è stata utilizzata in genere per lotte politiche entro la specie. Nell’ultima legge,.tra le figure da controllare sono stati inseriti anche i procuratori e i giudici. La politica ha avuto 17 anni di tempo per denunciare i procuratori, ma sono stati inseriti nella legge proprio quando è scoppiato il caso Gërdec. Alcuni di loro stanno indagando sul caso e Berisha si è sentito minacciato perché è coinvolto anche suo figlio. Simili mosse fanno sì che la legge perda la credibilità. Quindi la lustrazione è stata strumentalizzata. È quanto è successo in Albania.
Va aggiunto che molto dei fascicoli sono spariti da tempo, sempre, per motivi politici e per poter controllare le persone attraverso questa operazione. Si dice che esiste solo un elenco con i nomi dei collaboratori in cui, comunque, sono stati cancellati in maniera irreversibile alcuni nomi. La questione è molto complessa.
Tuttavia, penso che la questione sarà risolta quando verrà una generazione sana che sarà distanziata sufficientemente, riuscirà a trattarlo al di fuori dagli interessi del gioco politico e lo considera un bisogno storico, per conoscere e documentare meglio il passato. Una delle funzioni principali della lustrazione è lo studio di un determinato periodo storico, non riguarda semplicemente la condanna di una persona. Attualmente è difficile condannare un collaboratore perché non c’è una legge, anche se lo si potrà condannare moralmente. L’Albania non ha avuto la fortuna di farla come si deve. In Germania sono riusciti a farla meglio rispetto ad altre parti perché la Germania Federale era la sua parte sana. Negli altri paesi si è manipolato con la lustrazione, o è stata strumentalizzata, o è stata chiusa. Infine, va detto che tutto questo caos, questo ritorno continuo, dimostra che il male è ancora all’interno del sistema ed è un bisogno estirparlo.
4 Politica e oligarchia
Negli ultimi quattro anni, sembra che la politica albanese sia cambiata: un’opposizione più mite, collaborazione tra maggioranza e opposizione per alcune riforme, segretari di partito che vanno da un villaggio all’altro per preparare il programma di governo, elezioni all’interno dei partiti attraverso le primarie, leader che dichiarano di lasciare la guida del partito se perdono le elezioni, più dibattito nei media. Dall’altra parte, durante questi 18 anni, la politica albanese gravida attorno alcune figure forti o autoritarie: Sali Berisha, Fatos Nano, adesso, Edi Rama. Sembra che il potere in Albania sia nelle mani di pochi, una sorta di sistema oligarchico. Paragonando questa tradizione diciottennale con questi nuovi elementi, si sta maturando la politica albanese, c’è innovazione in essa oppure sono soltanto strategie di comunicazione politica?
È difficile spiegare brevemente cosa sia successo durante questi 18 anni in Albania. Per quanto riguarda l’oligarchia da te menzionata, penso che in Albania c’è un sistema oligarchico in cui gli interessi di pochi vengono curati attraverso la politica e i media perché loro sono riusciti ad appropriarsi di entrambe. Questa oligarchia, e la politica che la rappresenta, ha acquisito un’esperienza diciottennale, cioè non può più generare le esperienze negative del passato, ad esempio, un altro 1997 che è a danno suo, come non può generare la conflittualità estrema che ha accompagnato la politica albanese soprattutto nei primi anni in una lotta per la vita o la morte. In questo senso, l’esperienza e gli interessi hanno trasformato la politica albanese in una più pacifica, meno conflittuale, più disponibile a dialogare e risolvere con accordi contesti difficili.
Questo è un lato, quello positivo, ma dall’altro, quello negativo, questa oligarchia si è consolidata sempre di più al potere, è diventata sempre più intoccabile, e sempre meno criticabile. Quando dico meno criticabile, non intendo qualche politico in particolare ma il sistema in toto. Ho sempre sostenuto la tesi che se in Albania si parla di Sali Berisha, Edi Rama, Fatos Nano, cioè la parte superiore del cerchio, e sono loro a fare il gioco, ad essere gli attori, in retroscena sono gli oligarchici a tirare i fili e pagare questi politici perché i loro stipendi sono minimali rispetto al livello di vita che hanno. Gli oligarchici in retroscena non si toccano, e non si tratta di colpire loro ma l’intero sistema. Serve qualcuno che dall’esterno del sistema possa combatterlo per poterlo cambiare. Invece, stare al gioco contro Edi Rama e pro Sali Berisha, oppure viceversa, significherebbe soltanto muovere gli interessi senza colpire il sistema. Ho sempre optato per colpire il sistema, perché ormai si è consolidato ed è molto pericoloso per le libertà e lo sviluppo dell’Albania in quanto non produce economia.
Qualche volta ho utilizzato l’esempio della Russia perché questo sistema può generare anche un Putin. Con queste elezioni parlamentari, uno dei due leader può uscire di scena, Edi Rama se vince Sali Berisha, e Berisha se vince Rama e colui che rimane può controllare tutto il sistema. Ad esempio, Edi Rama ha dichiarato che se vince le elezioni terrà anche il mandato del sindaco di Tirana. Fino ad’adesso c’è stata una sorta di dualità perché il Comune di Tirana era governata dal PS e il governo centrale dal PD. Provate a pensare che la stessa persona le governi entrambe. Tra l’altro, significherebbe controllare tutti i media, comunque se non tutti, il 70 o l’80 percento, quanto basta, perché anche Putin non controlla tutto in Russia. Ho molto paura da questa situazione. Tuttavia, gli oligarchici russi producono petrolio, invece cosa si produce in Albania per garantire il potere a codesti? Come si mantiene questo sistema? Con un economia illegale e criminale fondata sulla speculazione e sull’abuso del denaro pubblico. Quindi è ancora più pericoloso.
5 Giovani e politica
Noi come giovani, anche se scettici, abbiamo sperato nell’attivismo del Movimento Mjaft e nell’indignazione dei giovani verso la politica albanese. Due mesi fa, in un dibattito televisivo, i giovani attivi in politica hanno dimostrato di essere nelle questioni che discutevano più falchi dei capi dei partiti che rappresentano. Dopo qualche anno, non sembra che si siano trasformati in brutte coppie dei politici che criticavano prima? Percepiscono i giovani albanesi la responsabilità che hanno per il cambiamento della politica albanese?
Per quanto riguarda la speranza nei giovani e nei loro movimenti, quale il Movimento Mjaft, come spiegavo per la lustrazione, è molto importante il motivo perché si crea oppure viene sostenuto un movimento per definirne le intenzioni. Come dice Gandhi, il male è un bene posto nel luogo sbagliato e al momento sbagliato. In questo senso, anche il Movimento Mjaf e il suo impegno come movimento politico aveva l’apparenza di un bene, cioè i giovani si stanno sensibilizzando, seguono la politica e tentano di cambiare la società, ma posto nel luogo sbagliato perché sono stati strumentalizzati dalla vecchia politica. Questo movimento non è nato come contestatore della vecchia politica in toto, e invece di colpire l’intero sistema di cui faceva parte anche il Partito Socialista e il Comune di Tirana, ha colpito uno schieramento a favore dell’altro. In altre parole, ha fatto ciò che fa anche il giornalismo, si è messo in funzione di uno o l’altro schieramento senza colpire il sistema.
Questa gioventù si dimostra nella sua essenza come rappresentante degli stessi interessi e come accennavi tu, si è notato palesemente nell’ultimo dibattito, in cui sono comparsi più come portavoce dei loro partiti che come forza critica verso la società e il sistema in generale. È uno dei talloni d’Achille della società albanese il fatto che si pensi ai giovani come portatori del nuovo, del cambiamento, dell’idealismo, della moralità. Di fatto, oggi i giovani non lo sono.
Il problema si pone come può nascere un’altra gioventù e quando ho sollevato la questione se ci sono giovani in Albania, ho ripreso la tesi di Faik Konica (intellettuale albanese del primo novecento ndt) che sostiene che “In Albania non ci sono giovani ma solo alcuni nati prima e altri nati dopo”. I giovani riproducono i vecchi, dice Konica, e trovo attuale la sua osservazione. Perché? La risposta si trova sollevando l’altra questione, cioè se ci sono adulti in Albania. Penso che non ci siano adulti nel vero senso del termine. Certo, lo sono per via dell’età. Invece essere adulti non significa questo, ma crescere come esperienza, come personalità, aver passato una gioventù che in un certo senso porta a ciò che indica De La Rochefoucauld quando dice “chi non ha conosciuto la pazzia, non può mai essere tanto maturo”. Cioè aver passato l’età della gioventù con tutte le sue avventure e i suoi ideali, essersi scontrato con i genitori e la generazione precedente. Questo da un’altra maturità, quella di cui parla De la Rochefoucauld.
Invece quando l’adulto ha passato una gioventù frustrata e repressa dall’autorità o dal genitore, spesso non matura mai, non acquisisce il senso della responsabilità che dovrebbe avere nella vita. Per questo, molti politici che sembrano di avere 50-60 anni, in sostanza sono ancora bambini, paranoici e deliranti perché non hanno raggiunto la vera maturità e di conseguenza generano giovani frustrati che reprimono. È un meccanismo che in qualche modo si perpetua e si ripete.
Quindi anche le generazioni future avranno lo stesso problema. Non bisogna rompere questa tradizione?
È l’interrogativo maggiore. Penso che, tuttavia, in Albania si sono creati spazi maggiori di libertà, informazione, movimento, contatti con le nuove idee globali, elementi che rendono possibile ciò che può essere definita come la probabilità della nascita di un cambiamento, di un mutamento, cioè che vengano fuori giovani diversi che decidono di rompere questa tradizione e creare qualcosa di nuovo.
6 Giovani, ritorno e fuga
Attualmente ci sono molti giovani che hanno studiato all’estero. Una parte vorrebbe tornare per dare il proprio contributo allo sviluppo del paese e dalla politica albanese si nota una certa tendenza per attirarli: ci sono stati e ci sono programmi di brain gain. Inoltre, nella campagna elettorale in corso, molti partiti politici hanno esperti giovani formati nelle università occidentali migliori. Se la politica favorisce questa categoria di giovani, in un certo senso non incoraggia quelli residenti in Albania a emigrare e non credere più nel sistema universitario albanese? Non è arrivato il momento di vedere diversamente questa situazione? In altre parole, il brain gain, ossia il rientro del cervello, cosi impostato, non porta al brain drain, cioè alla sua fuga?
Penso che il tema sia un po’ ampio e non riguardi solo i giovani. Quanto sostieni è giusto e dobbiamo considerare un’altra volta con occhio critico l’idea che ci salverà l’occidente. Negli anni 1990 – 1991 quando è caduto il regime comunista, era molto viva l’idea che una volta fuori dall’isolamento, l’Occidente ci avrebbe portato idee, finanziamenti. “Noi governiamo, l’Europa ci aiuta”, è stato uno degli slogan più famosi dell’epoca. Oppure si parlava dell’assegno in bianco che l’Occidente avrebbe dato al Partito Democratico. Insomma, si era eretto uno culto dell’Occidente come salvatore che in parte era vero, nel senso che la caduta del Muro di Berlino era risultato della Guerra Fredda, ma dall’altro canto questo processo era uno smantellamento e non la ricostruzione di qualcosa di nuovo. In un certo modo era una guerra vinta dall’Occidente e sicuramente vittoria significava distruzione o sconfitta dell’avversario. Questa sconfitta comportava le sue conseguenze che la società albanese ha vissuto nella maniera più drammatica attraverso l’esodo e la fuga verso l’Occidente.
Il sogno degli albanesi è diventato la fuga e la costruzione della vita in Occidente. Già allora, bisognava guardare con occhio critico questa attitudine. Nessuna delle parti, né gli albanesi, né l’Occidente, ha considerato il fatto che la salvezza doveva venire dall’interno e non dagli aiuti, gli esperti, le idee o i finanziamenti dell’Occidente.
Mi ricordo che un mio amico svedese, Gerald Nagler, all’epoca Segretario generale della Federazione di Helsinki, mi raccontava che in suo incontro con Havel si era impressionato dalla sua risposta. Nagler gli aveva chiesto: “Cosa possiamo fare noi per potervi aiutare? Havel gli aveva risposto più o meno: “Mi sembra che avete posto la domanda in modo sbagliato perché ci troviamo sulla stessa barca”. Per Havel sarebbe stato più giusto chiedere cosa si potesse fare per salvarci tutti, trovandoci sulla stessa barca, invece di insinuare che la vostra nave arriva a soccorrere la nostra che sta affondando. In un certo senso, anche l’Occidente doveva considerare il contesto creatasi come il trovarsi sulla stessa barca piuttosto che come due navi distinte, una che affonda e l’altra che la soccorre. Di fatto è prevalsa la seconda linea.
Per tornare alla tua domanda, l’Occidente ha offerto anche borse e opportunità ai giovani per studiare all’estero con la tesi che sarebbero ritornati con le idee occidentali, le avrebbero implementate e si sarebbero trasformati in strumenti di progresso della società albanese. Invece, per me, quel denaro poteva essere investito in maniera più efficace, se tutta quell’energia giovanile, senza negare la libertà di circolazione, e gli aiuti fossero concentrati all’interno del paese per ristrutturare le scuole, per portare più docenti in Albania, ecc.
In altre parole, sarebbe stato meglio non allontanarsi dalle radici. L’investimento principale doveva essere fatto in Albania. Ad esempio, l’idea non doveva essere di andare in Occidente perché le lauree delle sue università sono riconosciute, piuttosto sarebbe stato più proficuo creare una o due università eccellenti in Albania le cui lauree potessero valere in tutta Europa. Allora buona parte di questi giovani non sarebbe andata via. Ma ciò richiedeva un’altra visione, soprattutto per l’Albania che era un caso particolare rispetto agli altri paesi in quanto aveva un livello economico e d’istruzione pessimo per via del lungo isolamento culturale.
Per quanto riguarda la questione dei giovani che ritornano e quelli che rimangono, continuo a sostenere che in Albania continua a prevalere l’idea della fuga. Basta notare l’importanza che da Sali Berisha in campagna elettorale ai visti e gli sforzi dell’opposizione per dimostrare che la liberalizzazione dei visti è ancora lontano. Sembra che prevalga ancora l’idea che noi vi creeremmo l’opportunità di allontanarvi dall’Albania. È catastrofico premere su questo argomento in campagna elettorale. Certo, si tratta di libera circolazione, ma in sostanza, nell’immaginario comune degli albanesi questo significa la fuga, l’opportunità di allontanarsi e di lavorare all’estero. Sono passati 18 anni e le politiche si dovevano incentrare sullo sviluppo interno. In questo modo il nodo della libera circolazione non sarebbe stato un problema perché un Albania sana economicamente e politicamente avrebbe già aderito all’Unione Europea.
Per quanto riguarda i giovani che sono stati invitati dalla politica a ritornare e dare il loro contributo, senza negare i valori, le idee, l’esperienza di cui sono portatori, rimango della tesi che questi giovani vengono strumentalizzati dalla vecchia politica, invece di diventare catalizzatori di cambiamenti. Probabilmente con gli anni si potrà creare una massa critica di giovani che ritornano e sostengono il cambiamento, ma attualmente non è cosi. Al contrario, noto molti giovani che si mettono al servizio della vecchia politica e vengono utilizzati come facciata con i titoli ottenuti nelle università europee, senza apportare nessun cambiamento al sistema. Perché il potere è nelle stesse mani e sicuramente per fare cambiamenti bisogna avere potere ma questi giovani non lo hanno.
Demotiva quanto detto i giovani che rimangono a studiare in Albania? Sicuramente demotiva quelli più svegli e ambiziosi che comunque trovano la strada per andarsene all’estero ancora oggi. Invece noto con grande preoccupazione, una massa enorme di giovani che non riconosce l’istruzione nel proprio sistema di valori, al contrario utilizza il titolo per farsi strada, e di conseguenza abbiamo molte università private in cui le lauree vengono acquistate piuttosto che meritate. Questo atteggiamento si basa sul fatto che in Albania la classe politica non è al potere grazie alla meritocrazia o all’istruzione, generando un sistema di valori in cui l’istruzione non è considerato condizione importante per avere successo. Al contrario, per essere di successo si dovrebbe frequentare la scuola del diavolo, la scuola di tutti coloro che attraverso il servilismo, gli inganni, le speculazioni, la criminalità si sono arricchiti e hanno migliorato il proprio status. È questo il fattore più scoraggiante in Albania anche per i giovani.
7 Sviluppo e priorità
Siamo prossimi alle elezioni parlamentari, nei loro programmi i partiti parlano di molte priorità: l’integrazione all’UE, l’occupazione, i giovani, l’istruzione, l’agricoltura, ecc. Durante tutti questi anni l’unico modello di sviluppo si è incentrato su Tirana. Quali sono le priorità e il modello di sviluppo più adatto per l’Albania?
Posso dire brevemente che ormai sono chiare le conseguenze di questa crescita misurata solo in termini di PIL che in molti aspetti non è stata accompagnata dall’aumento della qualità di vita e del benessere. In Albania, la crescita si misura spesso con il numero degli edifici costruiti oppure dei bar e dei ristoranti. Invece chi va oggi nella costa di Durazzo, tra Durazzo e Kavaja, noterà una catastrofe edilizia che non consente lo sviluppo di un turismo normale. Quindi la cosiddetta crescita ha portato una riduzione del benessere, delle risorse e la priorità del paese dovrebbe essere la sua correzione, trasferendo lo sviluppo in altri settori.
Sono d’accordo con un’economista rientrata dall’estero e attiva nel Partito Socialista, secondo la quale le priorità del suo partito sono lo sviluppo dell’agricoltura e del turismo e la sensibilità verso la distruzione ecologica dovuta a questo tipo di crescita. Credo che le politiche si dovrebbe incentrare in questi settori. Dall’altra parte, penso che siano più promesse elettorali che si fondano su una coscienza acquisita da parte dell’elettorato sulle priorità del paese, e non saranno realizzate perché gli interessi di coloro che hanno il potere, sono in collisione con queste politiche.
Oggi, in Albania, il potere è fondato su una sorta di economia “mordi e fuggi” ed è difficile pensare che si potrà avere uno sviluppo economico sostenibile investendo nell’agricoltura. È la stessa situazione di quattro anni fa quando Berisha ha promessi ai valonesi, la Valona turistica, invece una volta al potere ha promesso di trasformare Valona nel porto maggiore in Europa, incluso le petrolifere, le centrali termiche e il oleodotto AMBO, cioè il contrario di quanto promesso in campagna elettorale. Dall’altra parte, è l’unico modo per questi politici di rimanere in carica perché cosi riescono ad avere sostegno politico. Per di più, sono incapaci a elaborare quelle politiche di sviluppo sostenibile di cui l’Albania ha bisogno urgentemente.
8 Economia e crisi
In relazione alla crisi economica globale, sembra che l’Albania sia rimasta intatta. Anzi, alcuni mesi fa, il governo parlava di tassi di crescita a due cifre. Prendendo in considerazione che i settori dell’economia albanese sono molto deboli, come è possibile che l’Albania continua e crescere e non sentire la crisi?
Uno delle ragioni perché non si sente la crisi è che in Albania i sensori che la misurano sono molto deboli. Quando un corpo è malato e con febbre cronica difficilmente può individuare una nuova malattia. Quindi la crisi si definisce dai sensori cioè dall’aumento del tasso di disoccupazione, le chiusure delle aziende, da tutti quei indicatori che sono dimostrabili e diventano notizia pubblica. In Albania non ci sono notizie di questo genere, anzi i licenziamenti dei dipendenti non fanno notizia. In Albania essere occupato oppure disoccupato cambia poco per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali. Se vieni licenziato, nessuno si interessa di te. La crisi in occidente si sente perché l’Occidente ha istituito tutti i sensori per misurarla e prevenirla per quello che si può. Invece l’Albania giace in una crisi continua.
Dall’altra parte, anche in Albania si sente la crisi. In primis, è legata alla crisi internazionale perché significa meno lavoro per gli emigrati, da sempre una fonte indispensabile di sopravvivenza. I loro risparmi diminuiscono in questa crisi con ricadute negative sul benessere dei loro familiari e su quei settori dell’economia basati anche sui loro risparmi, come l’edilizia oppure il commercio.
Dall’altro lato, la crisi si sente anche come risultato delle politiche errate implementate in Albania, imitando il modello occidentale in maniera estrema. Lo stato secondo questo modello non ha fatto il ruolo del regolatore lasciando piena libertà al mercato, allo sviluppo spontaneo e aggressivo, all’individualismo estremo, cioè un’economia laissez-faire che in Albania ha assunto direzioni totalmente ingovernabili. Oggi, ci troviamo in una situazione in cui è difficile determinare quali siano le fonti di sussistenza degli albanesi, che tipo di economia hanno costruito. L’edilizia non genera denaro, è semplicemente la cementificazione dei risparmi degli emigrati e degli introiti da traffici illeciti, e ci troviamo con una quantità enorme di abitazioni che domani potranno rimanere sfitte. Un altro settore importante sviluppato grazie al laissez-faire è stata l’economia speculativa fondata sulla compra-vendita degli assetti pubblici. Non c’è un’economia produttiva sana che potrà essere una garanzia per il futuro degli albanesi. In questo senso, la crisi è molto grave in Albania, più grave che in altri paesi.
9 Integrazione e retorica
Per quanto riguarda il processo dell’integrazione all’Unione Europea, la classe politica parla di riforme e standard necessari per poterne aderire. È difficile stabilire se queste devono essere realizzate per consolidare il nostro sistema oppure semplicemente perché servono a diventare membri dell’UE. Nel secondo caso, quali conseguenze potrebbe avere per il futuro?
In genere, nella politica albanese sia la NATO che l’UE sono stati utilizzati come veniva fatto una volta con l’orizzonte comunista, cioè con una retorica manipolativa, propagandistica, idoleggiando l’adesione in questi organismi: è importante aderire all’UE, ma non importa la qualità di vita, è importante aderire alla NATO ma non importa lo stato dell’esercito.
Invece penso che doveva essere il contrario. Noi dovevamo costruire un Albania sana politicamente, economicamente, sia anche militarmente, per essere al livello e agli standard di questi paesi, allora in un certo senso si è automaticamente all’interno dell’UE.
In verità, la visione è un’altra, e riguarda proprio l’utilizzo manipolativo e a livello retorico della questione dell’integrazione all’UE. Spesso vengono approvate leggi secondo gli standard comunitari, ma la loro applicazione è ancora secondo i vecchi canoni e si sa che l’applicazione è più importante della legge stessa. In questo senso, gli politici albanesi vogliono e nello stesso tempo non vogliono aderire all’UE. Desiderano l’adesione per utilizzarla nella retorica politica, per avere il sostegno internazionale, perché vi garantisce il potere e perciò fanno anche le leggi. Dall’altra parte, non la vogliono perché aderire all’UE significa essere più controllati sul livello di democrazia, della legislazione, dell’economia, dei patrimoni. Tutti elementi che non stanno a cuore alla classe politica albanese perché il potere le deriva dal sistema che ha eretto e che è molto distante da quello europeo dello stato di diritto e del mercato relativamente libero basato più sulla concorrenza che sui monopoli del potere politico.
Per questo motivo non do molto importanza alle parole o ai slogan quali integrazione europea, l’Albania all’UE, l’Albania alla NATO. È pura retorica utilizzata per una parte dei cittadini ma credo che la maggioranza condividi la mia posizione. Ormai c’è un’inflazione dei termini BE e NATO come una volta si avverava il sogno socialista ma la realtà era ben diversa, e attualmente le persone vivono una realtà quotidiana che è molto lontano dal sogno. Ci sono contraddizioni a non finire. Quanto accennavo sull’utilizzo della libera circolazione in campagna elettorale ne è l’esempio. Se si dice che aderiremo all’UE oppure siamo prossimi all’adesione, non significa che l’UE ci accetterà ma che siamo prossimi agli standard richiesti, invece i cittadini vivono quotidianamente il livello degli standard. La situazione è catastrofica.
10 Male minore e voto
È sempre stato coerente nelle sue scelte per quanto riguarda l’appoggio durante le campagne elettorali, spiegando sempre la sua posizione. Spesso, ha utilizzato anche la metafora del male minore. L’ultima volta, nel 2005, ha appoggiato Berisha perché un terzo mandato dei socialisti avrebbe consolidato gli interessi di poche persone. Siamo prossimi alle elezioni parlamentari del 28 giugno e lei non appoggia più né Berisha né Rama. Quale sarà il male minore questa volta e per chi voterà Fatos Lubonja?
Quando ho appoggiato Berisha l’ultima volta, ho sostenuto anche la tesi che “basta con il male minore perché il tempo prova che il male minore stando al potere si trasforma nel male peggiore”. Ho provato tutti i mali minori che si trasformano in mali peggiori.
Per questa ragione sono molto indeciso nella mia scelta e ho paura che uno dei due leader, chiunque vincesse, si trasformerà molto presto nel male peggiore anche se può sembrare quello minore. Anzi, in un certo senso, intravedo il rischio dell’instaurazione di un regime putiniano con la vittoria di uno dei due. Quindi nel caso del trionfo di Berisha intravedo un indebolimento dei socialisti fino ad avere un’opposizione totalmente passiva, impotente, come nell’altro campo con il trionfo di Rama si rischia di rimanere con un’opposizione formale senza alcun potere. L’oligarchia che detiene il potere in Albania sta concentrando sempre di più gli interessi del potere e, ormai, sembra che non servano più due leader. Basta uno perché un piccolo gruppo di persone possa spartirsi tutte le risorse dell’Albania. Intravedo molto questo rischio, e dichiaro apertamente che non voto nessuno dei due partiti maggiori.
Ho avuto l’idea che va sostenuto Ilir Meta, non perché lo considerò diverso rispetto al sistema ma proprio per conservare l’esistenza di alcuni poteri che possano creare attraverso la loro dinamica, uno spazio di libertà. Inoltre perché ha alcune politiche più sociali, anche se rimango dell’idea che Meta può parlare di politiche sociali, occupazione, ecc. ma alla fine starà al gioco della stessa oligarchia quando salirà al potere. Tuttavia, è l’unica forza politica che tenta, stando in mezzo ai due partiti maggiori, di creare spazi di libertà ed espressione.
L’Albania è stata ed è minacciata da due pericoli imminenti. Il primo l’ha superato in parte ma non del tutto. Ed è la monopolizzazione del potere insieme all’autoritarismo che minacciano la libertà. L’altro, legato al primo, è il sistema economico degli oligarchici. Nel primo periodo di Berisha, i problemi principali erano l’autoritarismo e l’assenza della libertà di parola. Nel secondo periodo sembrava che fosse garantita la libertà di espressione ma il potere economico e politico si è concentrato in poche mani e ha manipolato la libertà di espressione non secondo le vecchie forme di controllo poliziesco ma comprando il giornalismo, gli intellettuali, una forma più soft ma ugualmente pericolosa. Il primo pericolo è sempre presente ed arriva una situazione in cui questo regime che è tollerante a modo suo, diventa più intransigente e autoritario. Per tanto l’esistenza di un’altra forza che resiste per quello che può è da sostenere perché crea un equilibrio e spazi di libertà. Se andrò a votare, potrò votare per il Movimento Socialista per l’Integrazione di Ilir Meta, non ho ancora deciso se andare.
A volte penso che se si potesse creare un partito dell’astensionismo e ci fosse una legge che imponesse ad esempio una partecipazione minima al voto del 60% perché le elezioni potessero considerarsi valide, allora appoggerei questo partito. In altre parole, in caso di elezioni non valide perché non rappresentative, si dovrebbero sciogliere i partiti e ricreare il sistema politico. In questo caso voterei per il partito dell’astensionismo, ma in Albania tutto questo non succede. Con una qualsiasi percentuale di partecipazione al voto si validano le elezioni, si determina il vincitore e i cittadini albanesi manipolati da uno o l’altro schieramento vanno a votare.
11 Lubonja e sinistra
Se mi chiedessero chi è Fatos Lubonja, risponderei: anticonformista, coerente, liberale, ambientalista, contro i poteri forti. In Europa, principalmente, caratteristiche del profilo di un intellettuale di sinistra. Fatos Lubonja si sente di sinistra? Se si, come è possibile anche dopo aver sofferto uno dei regimi comunisti più duri dell’Europa dell’Est?
È una domanda che richiede una risposta molto lunga ed è difficile spiegarla brevemente. Definirei me stesso, anche se non mi piace una simile definizione, socialista libertario. E intendo la combinazione di due elementi: una forte sensibilità verso l’uguaglianza degli uomini tra loro cioè l’uguaglianza della dignità umana, l’uguaglianza di alcuni diritti fondamentali come ad esempio quella di tutti i bambini all’istruzione, oppure di tutti gli uomini alla sanità, ed una forte sensibilità verso la libertà dell’individuo. La libertà e l’uguaglianza sono due pilastri che appartengono alla mio educazione da giovane con le idee della Rivoluzione francese e una concezione illuminista del mondo in cui includo il laicismo, la fiducia nella forza della ragione, la scienza, la messa in discussione dei miti, ecc. Sono alcune caratteristiche della mia formazione da giovane che il carcere non ha potuto cancellare, anzi le ha rafforzato. Invece la realtà e l’esperienza del post comunismo albanese e l’era post modernista che viviamo che in certo senso è anche post illuminista, se da un lato me le ha completate e articolato meglio, dall’altro mi ha aiutato a conoscerne meglio i limiti.
Dalla mia esperienza di vita, mi risulta che in cerca della libertà non si può avere la stessa posizione in tutti i contesti verso ciò che può essere definito come “destra” o “sinistra”. In altre parole, in base al contesto che si vive, si può diventare di sinistra o di destra in cerca della libertà. Cosa intendo con questo? In un paese in cui l’uguaglianza viene imposta con la violenza come nel regime comunista, essa si trasforma in oppressore della libertà. Questo regime, per definizione, è di estrema sinistra, come la definisce anche Norberto Bobbio, in cui si ha uguaglianza e assenza di libertà. Tuttavia, la questione se esisteva veramente l’uguaglianza in quei regimi è ancora aperta perché se, da un lato, c’era l’uguaglianza sul piano dell’istruzione, della sanità ed economico, dall’altro, esistevano ineguaglianze forti se si considera la gerarchia terribile del potere, la persecuzione delle classi rovesciate. Quindi, trovandosi all’estrema sinistra, in cerca della libertà l’individuo guarderà senza dubbi a destra. Con destra intendo il fatto che in cerca della libertà, individuo è contro, ad esempio, il sistema economico in cui tutti sono obbligati a lavorare dove vuole lo stato ed essere sfruttati. In fin dei conti, quel regime era un capitalismo statale e l’individuo cerca la libertà economica, almeno idealmente, in nome della libertà individuale. Quindi si sposta a destra, sempre nel senso della destra intesa come libertà dell’individuo di essere più autonomi dallo stato e come libero mercato che sotto-intende la libertà di non essere uguali considerato che c’è lavora di più e chi di meno.
La sinistra, nel significato del regime albanese, stava per uno stato potente fino all’estremo che controllava anche l’economia, ed offriva un’uguaglianza imposta a tutti i cittadini attraverso l’occupazione generale. Invece in un sistema capitalista, che la sinistra comunista definiva di destra (indipendentemente dal fatto che sinistra e destra non possono che esistere entro lo stesso sistema e non possono essere compresi l’uno senza l’altro), si intende uno stato più debole e generalmente un economia di libero mercato che non solo crea più opportunità di produzione, ma nella sua essenza, crea più libertà perché l’individuo non è più prigioniero dello stato. La libertà in questo sistema sotto-intende anche la possibilità della disuguaglianza. Chi è più capace, guadagna di più, i meno capaci di meno.
Senza dubbio, tutti gli albanesi provveduti che hanno vissuto il regime comunista, hanno guardato a destra perché uscivano dall’estremo sinistra. Idealmente, forse guardavano verso il centro, ma il centro si era spostato a destra nel senso della realtà che vivevano. Invece, in contesti come quello odierno, notiamo che in nome della libertà di poter essere disuguali, un gruppo di oligarchi usurpa il potere e crea un sistema che può essere considerato come un pericolo di estrema destra che sempre secondo Bobbio, è inteso come disuguaglianza più assenza di libertà. Da noi, si è creata una realtà in cui la libertà della disuguaglianza non stimola la meritocrazia, quindi è demeritata anche come disuguaglianza perché si basa sulla speculazione, la criminalità, la mafia. Si tratta di una disuguaglianza in cui questi disuguali possono violare anche i tuoi diritti. E qui arriviamo nel centro sinistra e centro destra, in cui il centro sinistra è sensibilità maggiore verso l’uguaglianza più la libertà e il centro destra sensibilità maggiore verso la disuguaglianza più la libertà. Normalmente il pendolo dovrebbe muoversi all’interno di questo spazio. In Albania è passato oltre, a destra. Anche se uno non è di sinistra in contesti come quello albanese, in nome della libertà dovrà guardare a sinistra.
Per di più, da sempre si pone il problema se si può avere libertà senza uguaglianza. Quindi, quando qualcuno è più ricco e ha più possibilità di istruire i figli, non è superiore e più libero di chi lavora per lui? È uno dei problemi del sistema che, secondo me, a prescindere dal passaggio a sinistra o a destra, nei paesi più sviluppati si è corretto sempre di più in favore dell’uguaglianza tra gli uomini. Se si può parlare di progresso dell’umanità, secondo me, questo non si può misurare né con la crescita economico né con le scoperte scientifiche ma con il cammino dell’umanità verso l’uguaglianza. Basta ricordare l’abolizione della schiavitù negli Stati Uniti oppure la conquista dei diritti delle donne. Almeno dall’epoca di Cristo, che parla dell’uguaglianza di tutti gli uomini davanti Dio, in poi, secondo me, è questa l’idea illuminista della carovana dell’umanità, anche se ha conosciuto spesso periodi di buio, basta ricordare il nazismo e l’Olocausto.
L’uguaglianza non la considero uguaglianza economica, ma soprattutto, come dicevo, uguaglianza di dignità e uguaglianza di conoscenza cioè di opportunità di conoscenza. Credo che gli uomini siano più uguali tra loro quando possiedono conoscenze uguali, quando la lingua che comunicano è ugualmente ricca di parole e concetti, piuttosto che quando hanno la stessa ricchezza. Quindi posso dire che la richiesta di uguaglianza tra gli uomini che in un certo senso posso definirla anche richiesta di uguaglianza di libertà tra gli uomini, mi porta a sinistra che diversamente dalla destra di natura più conservatrice, crede di più al progresso. Perché alla fine, come sostiene anche John Stuart Mill quando parla del bisogno di uguaglianza tra l’uomo e la donna, l’uomo non può essere libero se anche la donna non lo è. In un senso più generale, noi non possiamo essere liberi se non lo sono anche gli altri.
Infine, questo tema richiede molto per poterlo esaurire, perciò termino questa conversazione con la consapevolezza che ho tralasciato molte cose da dire per spiegare perché sono di sinistra.
Intervista rilasciata in lingua albanese il 5 giugno 2009.
Tradotto per Albanianews da Alban Trungu.