Il titolo non è altro che il commento di Bergamo Scienze, un importante festival che ogni anno riserva uno spazio speciale anche per gli artisti. Quest’anno la rassegna musicale che ha ospitato anche Michael Nyman e Meredith Monk si chiamava Contaminazioni Contemporanee, che potrebbe essere anche un modo per definire la musica di Elina Duni.
Il suo quartetto ha avuto l’onore di chiudere la rassegna musicale con un concerto alla basilica di S. Maria Maggiore, nel cuore di Bergamo. Nonostante la gente conosca poco o niente il suo nome, sembra gradire la sua performance e chiede diverse volte il bis. Nel finale lei regala loro una canzone in italiano tratta da un tema estremamente attuale.
Nata a Tirana nel 1981 da una famiglia di artisti (la scrittrice Besa Myftiu e il regista Spiro Duni), Elina si sposta a vivere in Svizzera dieci anni dopo, finisce gli studi obbligatori e si iscrive al Conservatorio di Berna dove studia canto, composizione e pedagogia jazz. In quel periodo conosce il pianista jazz Collin Vallon, con il quale intraprende una fruttuosa collaborazione artistica.
Quindi il duo diventa un quartetto e registra 3 album (Baresha 2008, Lume, Lume 2010 e Matane Malit 2012) fatta di arrangiamenti in chiave jazz di canzoni folk albanesi ma anche Est Europee e Mediterranee. Il Quartetto, che porta il nome di Elina Duni, ha partecipato a tanti prestigiosi festival jazz europei, mentre a fine anno scorso un minitour li ha visti esibire in Kosovo, Albania e Macedonia con uno straordinario riscontro del pubblico.
Elina Duni, Buonasera e grazie per aver accettato di essere intervistata da AlbaniaNews. Come prima domanda vorrei sapere da te quando è nato il progetto Elina Duni Quartet?
Il quartetto è nato nel 2004, inizialmente come duo, composto da me e Colin Vallon, l’attuale pianista, dopodiché si sono aggiunti anche Norbert Pfammatter alla batteria e Banz Oester al basso che poi ha ceduto il posto all’ attuale controbassista Patrice Moret.
Penso che la chiave del vostro successo sia, oltre alla vostra bravura come musicisti, il vostro stile, cioè la capacità di coniugare il jazz con la musica folk, albanese in particolare. Di chi è stata l’idea di unire questi due generi così diversi tra loro?
In quel periodo, nel 2004, studiavo al Conservatorio di Berna e suonavo con Colin, il quale un giorno mi chiese di suonare qualche canzone del mio paese come alternativa al jazz tradizionale che facevamo in quel periodo. A dire il vero, fino a quel momento, conoscevo poche canzoni albanesi, e quasi solo quelle di propaganda del regime, che negli anni che ho vissuto lì avevano preso il sopravvento, facendo così diminuire l’attenzione per la musica folk. Conoscevo di più cantanti stranieri, Celentano, Morandi, Yanni Parios, molto amati dai miei genitori.
Le uniche canzoni popolari che conoscevo me le faceva ascoltare mio nonno e qualcuna l’ho anche inserita nei miei album. Tornando alla tua domanda, l’idea di Colin la prendemmo sul serio, tanto da chiamare anche altri due musicisti. Per cui il quartetto è nato esattamente nel marzo del 2005. Ricordo molto bene le prime prove, mi sentivo come in un sogno vedendo questi tre ottimi strumentisti svizzeri suonare così bene canzoni del mio paese come se le conoscessero da sempre. Ecco, in quel momento ho ringraziato Dio, la vita, qualsiasi cosa per avermi fatto questo regalo.
Avete appena pubblicato il vostro terzo album per la ECM, un’etichetta discografica molto prestigiosa per la quale hanno pubblicato anche musicisti straordinari come Ian Garbarek, Keith Jarret, Pat Metheny, Chick Korea, Anouar Brahem e tanti altri. Pensi che questo vi abbia aiutati in qualche modo?
Non c’è dubbio, ha influenzato molto perché ci ha fatto conoscere di più al pubblico e alla stampa non solo specialistica del genere, la quale vedendo che avevamo firmato un contratto con la ECM ci ha presi più sul serio. Credo che il nostro ultimo album Matane Malit sia un ulteriore miglioramento, un passo avanti rispetto ai due precedenti. È un album più completo, una specie di viaggio con un inizio e una fine, più omogeneo.
Ci tengo a ricordare anche il produttore Manfred Eicher per il suo enorme contributo alla realizzazione di questo disco. L’ultimo lavoro è particolare anche per altri due motivi: infatti è la prima volta che è composto da sole canzoni albanesi ed è anche la prima volta che abbiamo inserito canzoni nuove, di cui l’autrice sono io: Cristal con testo di I. Kadare e Kur te kujtosh con testo di B. Myftiu.
Cosa hanno in comune e in cosa si differenziano i tuoi progetti musicali con il quartetto, con Retrovizorja e con tua madre Besa Myftiu?
E io aggiungo che tra breve ci sarà un altro progetto che si chiamerà Muza e Zeze. Comincio con quello più vecchio, Retrovizorja, che è stato la mia prima vera band e dove ho affrontato per la prima volta la scrittura dei testi delle canzoni. Facevamo musica elettro-pop, abbiamo registrato due album senza però riuscire a suonarli abbastanza in concerti per via dei componenti che vivevano molto distanti tra loro (Kosovo, Svizzera e Australia).
Il nuovo progetto Muza e Zeze invece, per il quale sto scrivendo testo e musica, è molto più easy e vedrà uscire con molta probabilità l’album l’anno prossimo. Con mia madre Besa ho avuto l’opportunità di sviluppare un mio proprio repertorio, io e chitarra o dajre, fatto di canzoni albanesi che non sarebbero adatte per il quartetto. Ho in qualche modo sviluppato anche una mia identità musicale suonando da sola, perché esiste anche questo formato, davanti al pubblico, che è molto diverso dal suonare insieme ad altri membri con i quali bisogna sì coordinarsi, ma anche aiutarsi ad affrontare eventuali difficoltà.
Per concludere la risposta alla tua domanda posso dire che questi progetti hanno in comune, a parte la mia voce, la voglia che ho di essere più vera, autentica e diretta possibile. Sono nel contempo anche diversi tra loro e qua devo precisare che da quando mi occupo di musica non mi piace concentrarmi solo su un genere musicale, penso che mi sentirei limitata e privata di una certa libertà che sento di voler esprimere.
Cosa si nasconde “Al Di Là Della Montagna” (la traduzione in italiano di Matane Malit)?
Grazie di avermi fatto questa domanda. Devo dire che ci ho messo un po’ per trovare il titolo del nuovo album. Volevo un titolo che fosse facile da dire anche per chi non conosce la lingua albanese. Sappiamo bene che l’albanese è una lingua complicata e difficile da pronunciare.
C’è sempre qualche consonante che gli stranieri fanno fatica a dire nel modo corretto. E poi mi piaceva molto l’idea della montagna come ponte tra la Svizzera e l’Albania, due paesi molto montuosi. La montagna rappresenta l’unione tra le mie radici albanesi e la mia cultura svizzera. Quello che c’è al di là della montagna è un mistero che si può scoprire attraverso un viaggio di scoperta, un viaggio migratorio, tema quest’ultimo, che come quasi tutti gli albanesi, mi tocca da vicino.
Il tuo modo di stare scalza sul palco durante i concerti rappresenta per te qualcosa in particolare?
Sì. Sento che ho bisogno in continuazione di sentire l’energia della terra quando canto. Mi sento come se fossi un albero che ha bisogno di muoversi nelle sue parti alte stando però ben radicato sul terreno.
Supponiamo che ti chiamino a esibirti in piazza per un concerto di fine anno in un paese del nord. Ti presenterai scalza sul palco rischiando il congelamento dei piedi?
Mah, in quel caso dipenderà dal pubblico; se sarà abbastanza caloroso tanto da non farmi sentire il freddo, perché no, canterò scalza eccome!
Hai qualcosa da aggiungere ai lettori di AlbaniaNews?
Sono molto soddisfatta del concerto di stasera per via del pubblico, ma anche del posto dove abbiamo suonato, una serata magica insomma. Ho voluto concludere con una canzone speciale (si tratta di Amara Terra Mia di Domenico Modugno) che volutamente non ho introdotto perché si capisse da sé che ha molto in comune con la tragedia di qualche giorno fa nel Mediterraneo. Ho dedicato questa canzone a tutti i popoli che hanno avuto, hanno o potrebbero avere a che fare in modo diretto con la questione immigrazione.
Oggi gli sfortunati che rischiano la vita vengono da Pakistan, Afghanistan, Eritrea, ecc, ieri eravamo noi albanesi, tempo addietro gli italiani, i greci, ecc, domani chi lo sa. L’idea è che alla fine a tutti per motivi diversi potrebbe capitare di essere costretti a lasciare la propria casa, la propria terra, ed è importante ricordarlo, per questo amo questa canzone.
Ringraziamo Elina Duni per questa piacevole intervista e aspettiamo di vederla presto al prossimo concerto.