Afërditë vive da 20 anni in Italia, ed ha quindi passato la maggior parte della sua vita in Italia. È laureata con lode in Relazioni internazionali e Studi Europei presso l’Università di Firenze, e ha fatto diverse esperienze nel campo della cooperazione internazionale con l’Albania, dell’integrazione in Italia e altre tematiche di formazione europea. È promotrice di prima ora dell’associazionismo soprattutto per la comunità albanese in Italia, e per migliorare il rapporto tra migranti e comunità locale.
La sua attuale professione è la ricerca sociale e management di progetti europei, tramite lo Spin off ICSE & Co che ha fondato e che dirige dal 2010.
Inoltre, nella mansione di consulente per il programma OIM sulla Diaspora albanese in Toscana, Afërditë ha potuto approfondire le questioni albanesi che segue e studia fin dai tempi dell’Università.
Albania News ha realizzato quest’intervista con Afërditë per approfondire maggiormente la questione della comunità albanese in Italia, ma non solo.
Secondo te qual è la differenza tra prima e seconda generazione degli albanesi in Italia verso il paese d’origine? C’è un’idea di ritorno, ed è lo stesso sogno che hanno le prime e seconde generazioni?
Bisogna premettere che abbiamo a che fare con due generazioni che hanno una visione completamente diversa dell’Albania. La prima – quella dei padri – si porta dietro un senso di delusione e riscatto tardivo, quindi fuori dalla contemporaneità, di sogni mai realizzati nella terra natia. Mentre i figli non hanno un passato deludente in Albania, hanno piuttosto sentimenti di radici ritrovate e soprattutto impulsi per la realizzazione di obiettivi futuri personali e professionali.
Quindi potremo tradurre la visione dei padri come una sorta di nostalgia patriarcale. Basta citare alcune frasi per capirci: “më dhemb shpirti për tokat djerr, ose për shtëpinë bosh” per riassumere il senso di questo “legame di sangue”, o passione delle origini.
Ma i figli non provano quasi mai questa mancanza passionale.
Piuttosto, da nati e cresciuti europei e moderni, pensano ad una terra delle proprie origini in termini di approfondimento del bagaglio della loro provenienza che spesso si collega ad un’idea di “investimento di ritorno” anziché che “sentimento di ritorno”.
Questo concetto nasce da un paragone sulla prospettiva di maggiori opportunità rispetto ad un Italia che continua a camminare con molta fatica, a differenza del senso di riscatto dei padri. Ed è qui che vale la pena lavorare per sfruttare le opportunità che il programma offre.
Quali sono i punti di forza nell’essere una generazione che funge da “ponte”, che conosce a fondo l’Italia e che, al contempo, considera l’Albania da sempre pane quotidiano della propria vita?
La seconda generazione in Italia, così come la mia, ha già avuto una funzione di “ponte” durante gli anni ’90 e 2000, anni di integrazione della comunità albanese in Italia. Lo ha fatto nel vivere quotidiano per facilitare e risolvere questioni burocratiche di questo paese, fungendo da mediatore linguistico e spesso anche culturale e sociale.
Ora la questione si presenta all’inverso: ci viene chiesto di nuovo di “fare da ponte”, ma verso l’Albania, per agevolare gli investimenti italiani e della diaspora albanese in genere. Direi che questo può essere percepito come alquanto faticoso. Pertanto, servono strumenti che non lascino il peso sulla seconda generazione ma piuttosto la aiutino ad attraversare il ponte. Ed è quello che sta cercando di fare il programma “Coinvolgere la Diaspora albanese”, valorizzando il know how e bagaglio professionale della seconda generazione, ed offrendo, laddove possibile, strumenti finanziari e network verso l’Albania.
Idealmente, così come è stato nel mio caso, molti giovani della seconda generazione se avevano l’intento di lavorare con e per l’Albania, pur senza alcun strumento hanno sempre trovato una soluzione. Oggi, quello che si offre è un sistema, per chi è interessato professionalmente all’Albania oltre che personalmente, che potrà così trovare la strada aldilà dei timori che potrebbero essere percepiti inizialmente dal ‘ritorno’ nel paese di origine.
Una delle mancanze più grandi delle seconde generazioni albanesi è quella di possedere adeguatamente la lingua dei propri genitori, ma di non trovare collegamento in termini di cooperazione e cultura? Quanto incide la lingua albanese e quanto può essere considerato uno strumento sufficiente per lavorare con il Paese?
Il collegamento tra conoscenza della lingua albanese e saper creare investimento di ritorno, non è per niente scontato e automatico. Non basta la lingua, che spesso si conosce molto superficialmente, e ad ogni piccolo cambio di dialetto mette in difficoltà. Per creare davvero un collegamento con il paese e includere la seconda generazione nel suo sviluppo, servono strumenti di cooperazione pratici e completi, di conoscenza approfondita di settori specifici, delle leggi, e perché no, anche una conoscenza maggiore della cultura albanese oltre alla lingua.
Il network che crea il programma è un ottimo punto di partenza.
Ma l’aspetto che potremo considerare un campanello di allarme per tutta la diaspora albanese e soprattutto per quella in Italia, è la progressiva perdita della cultura e lingua albanese. Questo probabilmente tra 10 anni porterà ad uno scenario dove le famiglie avranno sì una bandiera con l’aquila appesa al muro, ma avranno già dimenticato anche ciò che oggi sanno in termini storici, culturali e linguistici. Anche sopperire alla crescita e scambio culturale è cooperazione, ed è necessario investire di più per avere basi forti per una strategia a medio lungo termine della diaspora albanese.
Lei ricopre il ruolo di Focal Point per il Programma “Coinvolgere La Diaspora Albanese nello sviluppo Sociale ed Economico dell’Albania” implementato da OIM Albania. Ci parla un po’ della sua mansione e dello stato attuale del programma?
Il ruolo che ricopro è quello di Focal Point per la Regione Toscana che concretamente mi permette di approfondire molte questioni, e sviluppare ulteriori rapporti e connessioni che già in precedenza avevo instaurato. Mi permette anche di contribuire ad aumentare l’interesse verso il paese, in termini di cooperazione e investimento.
Seppure molto entusiasmante, il nostro ruolo è altrettanto difficile, così come è complessa l’implementazione del programma nel suo insieme. Stiamo parlando – per la prima volta – di un piano coscienzioso, che prova a coinvolgere la comunità, non solo considerandola come beneficiario ultimo, ma soprattutto come soggetto attivo che ha un suo piano per il futuro sviluppo dell’Albania. Ed è proprio qui che sta la complessità.
Non saprei se definirmi una seconda generazione o semplicemente la generazione 1.5 Afërditë Shani
Il programma è partito con l’obiettivo di creare network e agevolare investimenti, condividere aspetti socioculturali oltre potenziare ’inclusione della diaspora negli aspetti di partecipazione democratica in Albania. Ma abbiamo dovuto affrontare questioni ancora più basilari legati alla diaspora prima di ogni altra nostra attività.
Ad esempio abbiamo dovuto innanzitutto capire come creare una nuova rete con la comunità, dando per scontato che ci sia una vera e propria comunità organizzata con una sua esistenza indipendente. E abbiamo visto che pur con molte associazioni e legami con enti locali, la comunità non è ancora un soggetto da intendere come protagonista delle proprie esigenze e richieste. Ci sono invece una serie di soggetti che fanno da portavoce ma che ancora non possono essere definiti come rappresentanti della comunità.
Alla mancanza di “una vera” comunità, si accompagna il rapporto conflittuale che i singoli albanesi vivono verso il proprio paese, dal momento che ci mettono troppo cuore e poca testa, e senza riuscire a combinarli insieme, come invece dovrebbe fare una diaspora che intende contribuire allo sviluppo del proprio paese. È necessario scindere l’idea di ciò che si voleva fare dell’Albania quando si viveva là, da ciò che realmente si può fare oggi con gli strumenti che abbiamo a disposizione.
Se questo rapporto lo leghiamo alla sfiducia e distacco che gli albanesi si portano dietro verso le istituzioni del proprio paese di origine, in senso politico e di società, è evidente che ciò ha una conseguenza negativa per la crescita della consapevolezza verso la cooperazione e le possibilità di investimento senza essere aggravata dalle disfunzioni storiche e politiche. Infine, a questo concetto si aggiunge una certa rassegnazione della sorte “Shqipëria nuk bëhet kurrë”, e un certo fanatismo patriotico dall’altra, si intuisce quanto lavoro di awareness ci sia ancora da fare.
Con il programma abbiamo dovuto affrontare queste circostanze step by step, prima ancora di andare a sviluppare la piattaforma che intende impegnare la Diaspora Albanese come agente di sviluppo per la promozione degli investimenti dall’estero. E molto ancora rimane da fare.
Il Paese delle Aquile sempre più un paese gettonato per investimenti che partono dall’Italia. È così? E se no quali elementi mancano?
L’Albania è da tanti anni un paese di investimento per gli italiani, e non lo è ancora abbastanza per gli albanesi. Io immagino lo sviluppo della diaspora e il suo coinvolgimento non solo dal punto di vista della seconda generazione, ma come prerequisito che coinvolge tutta la famiglia. Se pensiamo a quella albanese in Italia, la decisione d’investimento dovrebbe essere condivisa e quindi sostenuta da tutti. Ma nella realtà il desiderio di spendere soldi ed energie nel proprio paese di origine si inclina quasi sempre verso la costruzione di una casa e non sotto forma di creazione di investimento e produttività. Personalmente ritengo che questa mancanza di orientamento verso una canalizzazione migliore dei propri investimenti dipenda molto dal ruolo della donna in famiglia.
Così come ho potuto costatare in alcune aziende albanesi in Italia, queste crescono e si inseriscono come piccole aziende famigliari strutturate quando la donna diventa parte dell’azienda, creando un valore aggiunto fatto di impegno e strategia a lungo termine. Allo stesso modo se si pensa ad una forma di investimento in Albania, questa “positività” economica della donna è anche culturalmente legata alla forma di impegno in Albania, dal momento che spesso la figura femmine sente una certa minaccia patriarcale alla propria libertà che ha faticosamente acquisito in Italia, che indubbiamente la porta a creare una forma di resistenza all’investimento. Invece, se si riuscirà ad andare oltre ad ogni forma di pressione del passato, e considerare tutta la famiglia come elemento di attenzione, dove la donna con il suo grado di integrazione ed esperienza può essere un elemento jolly, sicuramente si potrà avere più successo.
Cosa ci dobbiamo aspettare dal programma?
Molte attività come per esempio la piattaforma Connect Albania e la possibilità di fare esperienze lavorative in Albania che saranno delle ottime opportunità di partenza per chi ha delle idee concrete, e le vuole confrontare, e perché no, metterle alla prova. Il programma, nel senso più generale è anche un misuratore di quanta reale lontananza vi sia tra la mano, che è la Diaspora, e il cuore, che è l’Albania.
Quest’intervista è disponibile anche in lingua albanese dal titolo “Afërditë Shani, gjeneratat e dyta dhe evolucioni i diasporës shqiptare në Itali”
Leggi anche
Coinvolgere La Diaspora Albanese: il Programma
Il Programma “Coinvolgere La Diaspora Albanese nello sviluppo Sociale ed Economico dell’Albania” è finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione e lo Sviluppo ( AICS ), ed appoggiato politicamente dal Ministero Italiano degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI)
Il programma è realizzato dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni – l’Agenzia delle Nazioni Unite per le Migrazioni ( OIM ) in collaborazione con il Ministro di Stato Albanese per la Diaspora, il Ministero Albanese per l’Europa e gli Affari Esteri, il Ministero Albanese delle Finanze e dell’Economia/AIDA e l’AICS.
L’obiettivo di questo programma è di contribuire a migliorare il coinvolgimento della Diaspora Albanese nello sviluppo dell’Albania. Vai alla pagina del Programma
I contatti dei Focal Point attivi in Italia
- Toscana: Afërditë Shani [email protected]
- Lazio: Anila Husha [email protected]
- Emilia Romagna: Resli Bitincka [email protected]
- Calabria/Le aree arbëreshe: Irene Margariti [email protected]
- Lombardia: Besmir Rrjolli [email protected]
- Piemonte: Osjon Osja [email protected]
Come contattare IOM Albania per avere ulteriori informazioni sul Programma?
Scrivere all’indirizzo mail [email protected]