L’esodo degli albanesi verso l’Italia nei primissimi anni 90 è un evento che ha lasciato il segno in modo irreversibile nella storia albanese, ma anche in quella italiana.
Con il compiere dei 20 anni da quelli avvenimenti, sembra che i tempi siano maturi per rielaborare le vicende e trarre alcune conclusioni. Uno dei mezzi più potenti è senz’altro il grande schermo.
Sono usciti nel 2012 due film che parlano dell’episodio più significativo di quel periodo, il grande esodo dei primissimi anni 90 e l’arrivo della nave “Vlora” al porto di Bari con a bordo quasi 20 mila persone. Da un lato “La Nave Dolce” del regista italiano Daniele Vicari e dall’altro Anija del regista albanese Roland Sejko.
Casualmente ho visto entrambi i film in Albania, in una sala cinematografica di Tirana, strapiena di pubblico albanese, ma anche di molti italiani che vivono e lavorano a Tirana.
È stato istruttivo e interessantissimo, vedere le reazioni e i commenti del pubblico, sia italiano che albanese, prima e dopo la proiezione dei film. Quindi questa vuole essere una sorta di recensione sensoriale di chi, come me, ha vissuto l’esperienza della migrazione in prima persona, senza le valutazioni tecniche e settoriali che invece abbondano nelle tantissime recensioni che i due film hanno collezionato.
Moltissimi italiani ricordano la nave Vlora, per via dell’utilizzo che Benetton fecce per una delle sue pubblicità social nei primi anni 90.
Una stragrande maggioranza ne ha rimosso le immagini, cosi come succede con tutte le cose che vedi in TV con insistenza per qualche giorno, e poi nessuno ne parla più. Moltissimi albanesi hanno quasi rimosso il ricordo di quell’evento, complice anche la scarsa auto-consapevolezza della portata del fenomeno migratorio, che ha portato un terzo della popolazione a vivere fuori dai confini nazionali.
La Nave Dolce
Il film di Vicari, La Nave dolce , racconta l’arrivo degli albanesi nel porto di Bari attraverso alcune storie, due delle quali di personaggi che oggi sono molto conosciuti in Albania (Kledi Kadiu e Robert Budina).
Le immagini scorrono bene e la narrazione parte dal momento dell’imbarco nella nave, e i vari personaggi raccontano le loro sensazioni e soprattutto le dimensioni umane, oggi inimmaginabili, del viaggio.
E dopo alcuni minuti lunghi di racconti, il regista spalanca al pubblico in sala, l’immagina della nave stracolma ripresa dall’elicottero della Guardia di Finanza, accompagnata da uno sfondo musicale rock che ne aumenta sicuramente l’effetto delle proporzioni. Lo stupore, per i giovani in sala e per quelli che non avevano mai visto questa scena, è stato assicurato.
Il film si propone da un punto di vista italiano e racconta i fatti, facendo emergere responsabilità e valutazioni su coloro che dovevano gestire l’emergenza. I personaggi che raccontano le loro storie, sono distaccati ormai da quei fatidici giorni e raccontano dal loro punto di vista quello che hanno vissuto, a volte rielaborando, forse inconsapevolmente, più del dovuto le motivazioni intrinseche della partenza.
Il film si sofferma sull’episodio di Bari e tenta di far emergere sia l’inadeguatezza delle istituzioni centrali italiane e la mala gestione della situazione che la buona volontà della gente.
Anija – La Nave
Il film di Sejko abbraccia un arco temporale molto più lungo. Parte da una descrizione dell’Albania durante gli anni bui del regime di Hoxha, che sicuramente aiuta a comprendere le ragioni di quella fuga di massa.
Tocca le vicende dei profughi albanesi nelle ambasciate estere di Tirana, mostrando nello stesso tempo le reazioni di mistificazione del regime, arricchite da immagine inedite e forti recuperate negli archivi albanesi.
Il misto tra le immagini a colori dell’arrivo in Italia e il bianco e nero delle riprese delle autorità albanesi, sono una metafora di due mondi che si incontrano e a momenti sembra che si scontrino da quanto è forte il contrasto. Inevitabilmente si arriva anche alla descrizione della “nave” Vlora, quella che per eccellenza è il simbolo dell’emigrazione partita dall’Albania.
I personaggi, due dei quali in comune con “La Nave Dolce ”, ripercorrono quei attimi lunghi un eternità, raccontando i particolari, le sensazioni e soprattutto i fatti. La “sistemazione” degli “albanesi” dentro lo stadio di Bari viene raccontato principalmente per immagini e Sejko evidenzia i l trattamento ricevuto dai profughi, con bottiglie di acqua e sacchetti di cibo lanciati dagli elicotteri e scaraventati sopra la gente, come se fosse una massa non umana.
Ovviamente viene fuori il lato umano dei baresi, e la storia di una delle protagoniste, figlia d’adozione di una famiglia barese, ne è la dimostrazione più eloquente.
Il film prosegue, racconta pezzi di storia albanese che a noi oggi sembrano anni luce lontano, ma che sono vicinissimi. Il fiorire delle finanziarie truffa, l’illusione del arricchimento facile, il crack generale e il paese sull’orlo di una guerra civile. Riparte l’esodo. Di nuovo “navi”, stavolta meno imponenti della “Vlora ”, ma comunque in grande quantità, raggiungono l’Italia.
Il clima non è quello del 1992. Stavolta c’è il blocco navale. Gli istanti interminabili in qui la nave della marina militare italiana Sibilla sperona il peschereccio albanese“Katër i Radës” provocando la morte di oltre 80 persone, ti lasciano sgomento e fanno comprendere anche a chi non conosce bene la storia dell’emigrazione albanese, i drammi di questo fenomeno, le vite umane che è costato.
Il film prosegue con le storie di alcuni rientri di successo, alcune storie di persone che invece hanno scelto l’Italia come loro patria definitiva e alcuni che lavorano tra le due sponde, e di fatto racconta la realtà vera dell’immigrazione albanese oggi e le molte sfaccettature e complessità che essa porta con se.
Il respiro che Sejko da al film è quello di un racconto corale che parte dalla “nave” ma in realtà racconta le navi, le storie di coloro che sono scappati, fuggiti e che alla fine, nonostante tutto se tornassero indietro farebbero tutto quello che hanno fatto all’epoca.
Si percepisce che il racconto, accompagnato da un ottimo arrangiamento musicale di Robert Bisha, viene da una persona che la storia la racconta dopo averla vissuta in prima persona, e questa sensazione di racconto intimo accompagna tutto il film.
“Anija” e “La Nave Dolce”, alla fine, sono due film che usano due angolazioni diverse, ma che raccontano la stessa storia: la nostra!”
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