Un brutale omicidio scosse il 26 maggio del 1939 il Trastevere a Roma. Un giovane albanese, Shahin Toçi, neo diplomato all’Accademia Militare fu trovato morto dalle autorità italiane.
Molte furono le ipotesi circa la causa di morte, altrettanto le domande, tuttavia la verità rimase ignota. Lo stato italiano archiviò il dossier Toçi, forse per nascondere quello che realmente successe, e che aveva a che fare col grande gesto patriottico di questo albanese originario di Mat, regione del Nord Albania.
Due settimane prima di essere trovato morto, Shahin Toçi commise un gesto che oggi, riflette patriottismo e un coraggio spiccato. È proprio quella posizione ferma da patriota albanese che forse gli costò la vita, nel mezzo di un’Italia dominata dai brividi del fascismo e dalle camicie nere. Tuttavia, prima di commentare la sua morte, vediamo chi era e cosa rappresentava questo giovane 21-enne.
Chi era Shahin Toçi
Nato il 30 ottobre 1918, Toçi si fece notare per le sue qualità. Le peripezie degli studi in Italia ed in generale la sua esistenza negli ultimi anni di vita, è stata un vero dramma sviluppato lontano dalla patria e che racchiudeva anche la dinamica degli eventi torbidi per l’Albania nel 1939. Schieratosi, anche per via della sua provenienza, dalla parte di Re Zog, Shahin Toçi avrebbe vissuto un forte dilemma interiore nei giorni in cui l’Italia avrebbe occupato l’Albania e l’intero sistema albanese dei valori tradizionali sarebbe entrato in crisi. Nei dibattiti tra gli studenti albanesi, particolarmente accesi in quei momenti, lui si dimostrava sempre attento a non lasciar addito a interpretazioni leggere e superficiali.

Era convinto che in mezzo alla propaganda fascista e in una distanza così grande dal paese, gli avvenimenti, i fatti e la verità sull’occupazione arrivavano in modo distorto, emotivo e soggettivo. Tuttavia Toçi fu tra i primi che propose l’idea dell’organizzazione degli studenti per tornare in Albania e combattere per la liberazione del paese.
“Coloro che parlano con belle parole e che si considerano civilizzati, nei fatti giustificano la schiavitù dei popoli”, diceva in quei giorni Shahin Toçi.
“Non c’è altra strada, se non quella di buttare le armi e le vesti fasciste, e tornare nella nostra patria. Là non si è persa la besa, ne la virilità. Là ci possiamo organizzare ancor meglio per cacciare la schiavitù”.
Parole con cui lui cercava di convincere gli altri studenti che senza troppa resistenza cedevano alle idee fasciste.
La consegna della Corona regnante albanese
Shahin Toçi assisté pieno di disperazione il momento della consegna della Corona regnante albanese a Roma dalla guardia nazionale, fatto che avrebbe vissuto come una tragedia interiore. Tuttavia, Toçi seppe rimanere un albanese di carattere anche in quei giorni difficili e lontano dal suo paese.
Agli inizi di maggio 1939, gli studenti albanesi dell’Accademia Militare furono riuniti in una grande sala per il giuramento. Il comandante dell’Accademia, dopo aver parlato agli studenti dei nuovi rapporti tra l’Italia e L’Albania, li invitò a fare il giuramento fascista, con il quale si impegnavano ad essere al servizio di Roma. Secondo il programma, il giuramento si sarebbe svolto in una delle piazze della capitale italiana, in data 13 maggio 1939.
Il giorno del giuramento, in una cerimonia blindata dalle truppe italiane, in presenza del Sottosegretario della guerra Pariani, lo studente Shahin Toçi si presentò con un nastro rosso e nero sopra l’uniforme militare italiana. Questo simbolo creò una visibile agitazione tra gli alti ufficiali presenti alla cerimonia che chiesero al giovane albanese di togliere immediatamente il nastro rosso nero. Fu il generale Pariani a rimanere maggiormente stupito da questo gesto.
“Che valore ha questa uniforme, il vostro re è caduto”, si rivolse a Toçi. “I re possono cadere, le uniformi possono essere cambiate, ma questo nastro rimane.”, rispose il giovane Toçi. I testimoni di quel momento di tensione riferirono che il generale italiano tacque dopo la replica del giovane.
Agli studenti albanesi fu chiesto il giorno dopo di radunarsi nuovamente, per recitare la formula del giuramento fascista. Quando l’ufficiale cominciò a leggere ad alta voce, ne seguì un profondo silenzio. Si pensò che gli studenti non capissero la lingua, ma in quel momento Shahin Toçi uscì dalla fila e parlò con voce alta: “Signor generale, noi siamo albanesi e giuriamo solo davanti alla nostra bandiera rosso e nera!”
Superfluo dire che la cerimonia fu rovinata per la seconda volta. Il giorno successivo agli studenti fu chiesto di presentarsi davanti ad una commissione al Ministero della Guerra per firmare (e non giurare ad alta voce) il testo e il giuramento militare fascista. Una mano prudente tenne lontano con forza lo studente Shahin Toçi alla porta d’ingresso: “Conosciamo il suo comportamento arrogante, a lei non è permesso entrare qui”, gli venne detto all’entrata del Ministero.
In queste condizioni, il giovane coraggioso aveva un’idea fissa: tornare il prima possibile in Albania. Ma non avrebbe mai realizzato il suo desiderio. Una mano invisibile li prese la vita una notte di fine maggio 1939, nell’albergo dove abitava sul Trastevere.
È poco definirla una morte sospetta per via del modo in cui è stata consumata e del messaggio minaccioso che porta con sé. Tuttavia, la perdita di Toçi nei primi giorni dopo l’occupazione fascista, segna un fatto fino a ieri poco conosciuto che dimostra quanto complessa e multiforme sia stata la resistenza degli albanesi contro l’occupazione del paese.
Shahin Toçi è stato proclamato “Dëshmor i Atdheut” (martire della patria) nel 2004 e insignito del “Urdhri i Flamurit të klasit të parë” (Ordine della Bandiera di Primo Ordine) nel 1994.

Pubblicato sul settimanale “Mapo” n.202 del 31 ottobre 2010 e per la prima volta su Albania News il 16 novembre 2010. Titolo originale “Shqiptari që refuzoi betimin e Musolinit”. Tradotto da Daniela Nazarko.