Gjon Mili, fotografo avanguardista e caparbio esportò nell’ambiente artistico degli anni ’50 di New York, tecniche fotografiche innovative; affermatosi subito come fotografo del settimanale Life.
Il drammaturgo irlandese Sean O’Casey chiamava Mili: “Il genio Albanese”. Mili era nato a Korça, Albania nel 1904.
La vita di Gjon Mili
Era figlio di Vasil Mili e Viktori Cekani. All’età di 5 anni la sua famiglia si trasferì in Romania dove trascorse la sua infanzia, frequentando il Collegio Nazionale di Gheorghe Lazăr a Bucarest.
Nel 1923 quando aveva solo 20 anni, Mili emigrò negli Stati Uniti, per studiare ingegneria elettrica presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT ). Dopo la laurea nel 1927, si mise a lavorare per Westinghouse come ingegnere di ricerca di illuminazione fino al 1938. Nel 1939, Mili iniziò a lavorare come fotografo finché si spense nel 1984. Morì di polmonite a Stamford, Connecticut, all’età di 80 anni.
Molte delle sue notevoli immagini rivelarono la bella intricata e il grazioso flusso di movimento troppo rapido o complesso per l’occhio nudo per discernere. Era uno dei primi fotografi a utilizzare il flash elettronico per catturare persone e cose che si muovono troppo velocemente per l’occhio nudo e creare fotografie che avevano più interesse scientifico.
Gjon Mili è un nome tra i più importanti nomi d’arte della fotografia del XX secolo, nonché un artista multi-dimensionale conosciuto per la sua creatività, conosciuto non soltanto per gli studi specialistici e di varie pubblicazioni di arte artistica, ma anche di manifestazioni e commemorative mondiali.
Egli fu pioniere e grande sperimentatore nell’uso dello strobe “flash elettronico” il quale fu’ inventato dal professore Harold Eugene Edgerton negli anni ’30, con il quale Gjon aveva una collaborazione eccezionale. Era tra i primi a farne uso creativo al di fuori dall’ambito strettamente scientifico ed accademico.
Con l’uso del “flash stroboscopico”, che emette una serie di lampi a brevissimi intervalli di tempo, la pellicola registra l’evoluzione di un movimento molto rapido, come un palleggio o un passo di danza. Il termine stroboscopio (dal greco strobòs, che significa “vortice”) deriva dal fatto che nella sua versione meccanica questo strumento consisteva in un disco con una apertura eccentrica, con una serie di lampi, chiamati fotografia stroboscopica.
Dal 1939 Gjon Mili inizia a lavorare per “Life ”, la rivista internazionale per eccellenza della fotografia. Durante la sua lunga carriera, come fotografo e giornalista, Gjon Mili, ebbe l’occasione di incontrare e realizzare varie opere artistiche di notevoli personaggi dell’epoca.
Le sue fotografie sono apparse in tutto il mondo, in un’esposizione individuale e collettiva, accanto ai prominenti nomi prominenti della fotografia. È stato così, tra i più celebri artisti del secolo scorso in questo campo. Fece fotografie stroboscopiche analoghe di atleti ballerini, attori e musicisti jazz.
Ma come si realizzano fotografie come queste?
- Fissa la macchina su un treppiede
- Imposta un tempo di scatto di alcuni secondi (es. 10) o meglio usa la posa B
- Imposta (dal menu della macchina) la sincronizzazione del flash sulla seconda tendina
- Spegni tutte le luci oppure scatta in fortissima penombra
- Accendi una luce (es. una piccola torcia) e muovila puntando verso l’obiettivo
- Fatto!
Sarà il 1944 che consacrerà il vero genio di Mili quando diede alla luce al primo capolavoro jazz-filmico della storia “Jammin’ the blues” prodotto dal grande discografico Norman Granz (Los Angeles, CA 1918 – Ginevra, Svizzera, 2001), un prototipo di reportage precursore dell’attuale videoclip, che metterà in scena i grandi rappresentanti del jazz, nell’attimo vero del loro sforzo creativo.
“Jammin’ the blues”
Anche se non era un vero e proprio documentario è forse il primo serio tentativo di documentare una performance jazzistica, unico nel suo genere: a differenza degli altri jazz-shorts (Black and Tan Fantasy, St, Louis Blues, Simphony in Black, Yamekraw, Rhapsody in Black and Blue) non sceneggia il brano o comunque non visualizza una storia, ma si dedica interamente alla performance e per la prima volta il regista si pone il problema di come riprendere dei musicisti in azione.
In Jammin’ the Blues i musicisti non sono più rivolti verso un ipotetico pubblico, ma sono raccolti intorno a se stessi, intorno alla musica che stanno creando, e sembra creare una rete di relazioni fatta di sguardi e veicolo della musica stessa.
La macchina fotografica si “intrufola” in questa rete cercando di sorprenderla e mentre si fa spazio all’interno del gruppo si sofferma sui volti, sugli strumenti, sugli sguardi, tra un musicista e l’altro, il tutto in un’atmosfera quasi sognante, data dalla particolare fotografia: un bianco e nero che quasi non ammette sfumature e che scolpisce i corpi, i profili e gli strumenti.
Gli anni quaranta sono quelli in cui il jazz rivendica con il bebop, il suo stato d’arte, di musica seria e autonoma, e Gjon Mili, che già si era spinto in quella direzione attraverso le fotografie, lo conferma nei dieci minuti del suo short, presenta esibizioni degli spettacoli di Lester Young, Red Callender, Harry Edison, “Big” Sid Catlett, Illinois Jacquet, Barney Kessel, Jo Jones e Marie Bryant.
Il segreto dei disegni di luce di Picasso
Primo incontro con Pablo Picasso avviene a Vallauris (Sud della Francia) nel 1949. Un risultato dal primo incontro è la fotografia di Picasso, il disegno di un Centauro, con una matita leggera.
Questo disegno di spazio è una vicenda momentanea incisa in aria sottile con una torcia all’oscurità – un’illuminazione della brillantezza di Picasso partita dalla spinta del momento. Era durante questa prima visita nel 1949 che Mili mostrò a Picasso alcune delle sue fotografie di modelli di luce formati da un salto di skater – ottenuto appiccicando piccole luci sui punti dei pattini e Picasso ebbe una reazione immediata.
Questo incontro straordinario gli permise la realizzazione di un servizio fotografico unico che univa tecnica e sperimentazione di utilizzo del flash nella fotografia di Gjon Mili e la fantasia ed immaginazione dell’artista spagnolo, sempre pronto ad individuare nuove forme d’arte.
Le immagini realizzate assieme a Picasso sfruttano in modo sapiente l’uso combinato di luce continua (per la traccia luminosa) e la luce flash (per congelare la figura del maestro ed illuminare l’ambiente circostante. Uno splendido esempio di creatività su tutti i fronti.
Nel 1980 al Centro Internazionale della Fotografia (ICP) a New York viene organizzata l’esposizione che raccoglie cinquant’anni di fotografie durante la sua carriera. Nel medesimo anno viene pubblicato il suo libro, [amazon link=”0821211161″ /].
“Luce”, il film dedicato al fotografo Gjon Mili
La première del film “Luce” dedicata al fotografo Gion Mili venne presentato al cinema “Majestic” di Korça nel 21 Maggio, 2017.
Il documentario “Luce” dedicato all’ artista Gjon Mili, è realizzato con un’iniziativa dei registi Yllka Gjollesha e Suela Bako, con la collaborazione del direttore artistico Leander Ljarja è stato presentato recentemente al Producers Club, Manhattan, New York.
“Light”, trailer
https://web.archive.org/web/20231226195707/https://vimeo.com/149979417
Un altra rappresentazione dedicata a Mili viene fatta tramite l’esposizione delle 15 opere presso il centro culturale “Vangjush Mio” .
Pochi giorni dopo viene lanciato dal Governo Albanese il progetto per la costruzione del museo che prenderà il suo nome, e si tratta della restaurazione di una casa vecchia Rumena dove verranno esposte 240 fotografie del rinomato artista, le quali sono patrimonio culturale dello stato Albanese.
Gjon Mili e la fotografia al dittatore Enver Hoxha
In realtà Gjon Mili non è mai venuto in Albania. Nel 1946 gli viene rifiutato il visto che aveva chiesto presso l’Ambasciata Albanese a Parigi, nonostante ciò fotografa il Leader comunista Enver Hoxha durante un discorso tenuto alla Conferenza della Pace di Parigi nel 1946.
Ogni sua foto è una documentazione vera e propria, poiché Mili si trova nel posto adatto nel momento giusto.