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Il valore della Besa per il popolo Albanese

Etica, solidarietà e la salvezza degli Ebrei durante la seconda guerra mondiale

Albania News
24 Settembre 2017
in Dossier
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Pubblichiamo solo una parte della tesi del “Il valore della Besa per il popolo Albanese: etica, solidarietà e la salvezza degli Ebrei durante la seconda guerra mondiale” di Chiara Toscano.

La condizione degli ebrei in Albania nel periodo della monarchia di Zogu e durante l’occupazione italiana è ancora poco nota, sulla loro presenza vi sono tracce nell’Archivio Centrale di Stato di Tirana che è stato aperto alla consultazione soltanto dopo gli anni 90’, dopo il crollo del comunismo: fino a quando questo regime non cadde gli archivisti furono gli unici ad avere la possibilità di accedere ai documenti.

Le prime informazioni sicure riguardanti la presenza degli Ebrei in Albania risale al XVIII secolo, ma se ve ne fu presenza prima non è possibile saperlo, a causa delle guerre e occupazioni straniere che hanno causato la distruzione degli archivi albanesi; ma durante il dominio ottomano vi erano varie comunità ebraiche e gli ebrei, chiamati yahudi, erano per la maggior parte commercianti.

È in questo scenario che, intorno agli anni ‘80, si avvia la creazione di un catalogo sotto forma di schedario avente come tematica la seconda guerra mondiale e la guerra antifascista albanese. Nel corso del lavoro di classificazione, gli archivisti vennero a conoscenza di una grande quantità di documenti riguardanti gli anni compresi tra il 1939 e il 1944.

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Si trattava di un gruppo di documenti molto interessanti, nella maggior parte dei casi sconosciuti agli stessi archivisti- e a maggior ragione al pubblico. […] Durante l’elaborazione delle schede ci si era resi conto che esistevano molte formazioni circa gli ebrei di diversa nazionalità provenienti da Austria, Germania, Polonia, Romania, Bulgaria, Grecia, Cecoslovacchia etc.

Si trattava di ebrei che erano riusciti a entrare in Albania o che avevano fatto richiesta per entrarvi. Questo fenomeno, di cui venimmo a conoscenza poco a poco, non era affatto sporadico. A quanto pare, infatti, a partire dagli inizi degli anni 30, un folto numero di cittadini tedeschi di religione ebraica di età e professioni diverse, chiedevano di venire in Albania.

Lo facevano apparentemente per motivi “turistici”, per poter esercitare le proprie professioni, per andare verso la terra promessa o verso i paesi dell’America latina etc. I loro tentativi alla fine si sono rivelati una scelta intelligente, in quanto in questo modo sono riusciti a sfuggire a morte sicura.

Infatti secondo i vari censimenti, in Albania vi erano alcuni ebrei, seppur in numero esiguo. Secondo il censimento del maggio del 1930, vi erano 204 suddivisi tra Agirocastro, Valona, Tirana e altre cittadine e i primi segnali di attenzione verso gli ebrei si ebbero nel 1° marzo del 1937, quando venne chiesto allo Stato Albanese di censire le persone di origini ebraiche, specificandone lavoro e provenienza: secondo quest’ultimo censimento vi erano 191 ebrei.

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Fu nel 1938 che le condizioni degli ebrei capitolarono a causa dell’estensione delle leggi antisemite in Italia e Austria, e quindi automaticamente si estesero nei paesi a loro sottomessi e che furono sottomessi in seguito ed è proprio in questo periodo che iniziarono i flussi migratori verso l’Albania. Mentre tutti gli stati cercarono di vietare i visti per gli ebrei, in Albania i passaporti degli ebrei tedeschi non venivano timbrati con la lettera “J” che stava ad indicare la “razza ebraica”, ma bensì venivano chiamati “israeliti”.

Come riassunse il console di Albania a Bari all’ebreo tedesco Julius Stern, costretto a partire dalla legge italiana: Gli israeliti di qualsiasi nazionalità non possono stabilirsi in Albania. Possono solamente recarsi nel Regno come turisti, muniti di un’apposita carta turistica, rilasciata gratis dalle Rappresentanze diplomatiche e dalle Autorità consolari albanesi, i quali fissano la durata del soggiorno, che non può essere lunga, secondo i mezzi che può disporre l’interessato, a condizione di non lavorare, né di esercitare un mestiere o una professione qualsiasi.

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È pur vero che il governo di Tirana applicò delle restrizioni a questa delibera, ma fu nel 1939 che l’ambasciatore albanese a Roma scrisse una lettera al ministro dell’interno a Tirana in cui esprimeva il suo disappunto circa il fatto che “gli italiani non vedessero di buon occhio la sistemazione degli ebrei in Albania”, testimoniando quindi che l’ Italia diffondeva la politica antiebraica anche all’estero.

Col passare del tempo, visto che tutti gli stati si adeguarono alle politiche antisemite, anche l’Albania di Re Zogu dovettero chiudere le porte all’immigrazione legale degli ebrei, anche se furono numerosi gli ebrei che entrarono in Albania illegalmente, attraversando la frontiera in modo clandestino o muniti di un visto turistico la cui scadenza non veniva rispettata, anzi l’Albania collaborò con l’ “American Jewish Joint Distribution Committee” che affittò a Tirana e Durazzo alcuni punti d’aiuto per gli ebrei in cui alcune donne preparavano il cibo.

Fu con l’invasione italiana e l’unione dell’Albania con l’Italia che alcune leggi si inasprirono, anche se numerosi leggi anti ebraiche vennero abbozzate ma mai varate in Albania, infatti:

“E il 5 novembre 1940 la Luogotenenza riferì al consigliere permanente di polizia ciò che ad essa era stato comunicato dal ministero degli esteri italiano: “ il Ministero dell’interno italiano ha fatto sapere che per il momento non ritiene che sia opportuno estendere al Regno di Albania le disposizioni razziali vigenti in Italia, fermo restando il disposto dell’art. 1 del R.D.L. 17 novembre 1938 n. 1728, che vieta il matrimonio tra il cittadino italiano ariano e persona di razza ebraica”.

Quindi è pur vero che fu per volontà dell’Italia che in Albania non furono estese tutte le leggi razziali, ma al contempo restava però in sospeso la questione dei visti e dell’immigrazione illegale degli ebrei in Albania, durante gli anni del 1938-1939: una delle restrizioni riguardò i 30 giorni di permesso per i visti concessi dal governo albanese agli ebrei come turisti, in questo modo ebbero l’accesso legale in Albania per poi transitare e nascondersi illegalmente.

Tutto ciò venne permesso da tanti albanesi coraggiosi che difesero, aiutarono, protessero, anche a costo della morte e senza nessun tipo di compenso, numerosi ebrei proprio per la fedeltà alla loro “paternità morale”, ovvero la Besa.

In questo caso la Besa corrisponde al significato di ospitalità e protezione di chi ha bisogno, indipendentemente dalla razza o dalla religione: aiutare conferisce onore.

When an Albanian gives his word, Besa is sealed. As an oath, Besa is eternal, Besa constitutes the foundation of the Kanun. Besa is a moral code, a norm of social behavior, and an ancient tradition. Besa given to a friend or guest is never sold. Besa is the Golden Rule and it is sacred by the Kanun.

Inoltre:

The modern Western concept of “foreigner” does not exist in the Kanun, only the concept of the guest. Hence, there were no Jewish “foreigners” in Albania during World War II—only Jewish “guests”, who had to be sheltered and protected even at the risk of Albanian lives.

È proprio con quest’affermazione che si può capire come gli albanesi avessero rischiato la propria vita per salvare circa 2000 ebrei di nazionalità diverse, purtroppo quest’argomentazione è ancora poco conosciuta, dato che gli archivi di stato albanesi furono accessibili soltanto dopo il 1990, quando due uomini influenti nella politica americana di nome Tom Lantos e Joe Dioguardi ottennero il permesso da parte di Ramiz Alia, successore di Enver Hoxha, di consultare gli atti utili ad accertare la salvezza degli ebrei in Albania: i documenti vennero esaminati da Yad Vashem che li considerò validi e Norman Gershman , un fotografo americano, dedicò una mostra intitolata Besa: Muslims who saved Jews in World War I.

The religion of Albanians is Albanianism Pashko Vasa

Lo stesso fotografo intraprese un viaggio per 5 anni in Albania, dove raccolse dalla voce dei salvatori e dai loro discendenti tutte queste splendide storie che vengono “raccontate” attraverso i loro ritratti. Però il fotografo si soffermò sugli albanesi musulmani, ma bisogna sottolineare che non vi fu nessuna distinzione o privilegio di religione per la salvezza degli ebrei: come affermò Pashko Vasa :The religion of Albanians is Albanianism.

Come evidenziato dal fotografo in numerosi racconti e interviste, fu lo stesso Re Zogu ad aiutare molti ebrei, nel marzo del 1939, infatti, permise a 95 famiglie ebree di stabilirsi in Albania, anche se un mese dopo dovette fuggire in Grecia in seguito all’invasione italiana.

Albania’s King Zog personally issued more than 400 visas. Among the people who rescued were 13-year-old Fritzi Weitzman and her family of 11, from Vienna. He helped them to re-establish the family photography business in Albania, and rescued one of their relatives from a concentration camp.

Dopo l’occupazione tedesca del 1943, il governo italiano venne sostituito da una reggenza di quattro uomini con a capo Mehdi Frasheri come Primo Ministro; a cui venne chiesto di fornire la lista degli Ebrei ivi residenti, ma il governo rifiutò e aiutò gli ebrei fornendo loro dei documenti falsi, proprio per “confonderli” con il resto della popolazione albanese.

Vi sono due versioni della storia: secondo la prima il leader della comunità ebraica in Albania, Rafael Jakoel, si rivolse a Mehdi Frasheri per chiedere la protezione di Xhafer Deva, un altro dei quattro membri della Reggenza che era anti-semita ma animato da nazionalismo e per proteggere la sua nazione si alleò con gli ebrei della sua terra opponendosi ai tedeschi; mentre per la seconda versione della storia fu che proprio Deva si sia opposto e i tedeschi accettarono la sua richiesta di non fornire nessuna lista.

In ambedue casi fu grazie agli Albanesi che non venne dato nessun nominativo.Nel giugno del 1943 i partigiani albanesi uccisero 60 soldati tedeschi in un attentato e i tedeschi per risposta uccisero 107 donne e bambini albanesi.

Vi furono anche dei dottori ebrei che lavorarono sotto falso nome, come il caso del dottor Kalmar, di origini ungheresi, rinomato per le sue cure contro la polmonite e tubercolosi: dopo la seconda guerra mondiale continuò a lavorare sotto falso nome nascondendosi nei territori vicino Tirana, ma quando venne arrestato venne rilasciato dopo poco tempo, grazie alle sue amicizie con uomini del governo albanese.

Inoltre la popolazione albanese aiutò anche i soldati lasciati allo sbaraglio dopo l’armistizio: grazie all’aiuto del un Principe Albanese di nome Kujtim Cakrani furono salvati circa 7500 soldati italiani, fornendo loro alloggio, nutrimento e cure necessarie per la loro sopravvivenza.

Un’altra testimonianza è data da questo stralcio di articolo:

The Albanian newspaper Panorama published the following story on 19 January 2011. It depicted a case of Besa towards Italian soldiers to the heartbreaking extreme. The ex-German soldier (Johann Arendt), who later came to Koplik, Shkodra, after 30 years to retrieve his watch left there, told the following story: “…It was the end of war in Albania, November 1944. The ex-Italian soldiers were extensively helping partisans.

German soldiers had orders to find Italian soldiers and kill. They went to a house where they suspected was an Italian soldier. The man (Vehbi Hoti) of the house said: No, there is no Italian inside our house. They took them all out of the house, about 10-12 persons. The Italian (Andrea Fabbrizi) was among the family, but not distinguished as he had the same clothes. They threatened that all will be killed if the Italian soldier does not come out. Then, a boy came out of the group and said: I am the Italian. One of the German soldiers instantly shot him dead. The German soldiers left. The boy on the ground was the son of the house.

A quest’argomento è dedicato ogni anno un convegno in Canada dal titolo: “Holocaust Education Week” in cui si raccontano le storie di chi è stato salvato e vengono approfonditi sempre di più gli studi in materia, essendo ancora un campo di ricerca in sviluppo, come affermato da vari articoli, tanto che il numero degli ebrei salvati non è ancora preciso:

At least 3240 Jews were saved up to the end of WWII. Not included in this number are those Jews who entered Albania with false passports or names, those who entered illegally, those who might be on lists of other authors, and those not yet recognized. The research on the names of rescued Jews is still going on.

Molto interessante è anche la risoluzione approvata dal Senato Americano.

Nel 1991 che gli ebrei d’Albania giunsero finalmente nella loro Israele e nel 1993 tutti i Righteous visitarono i loro amici, come ospiti di Harvey Sarner e ricevettero questa onorificenza. Nel 1992 venne fondata l’Associazione Albania-Israele con a capo Refik Veseli in persona.

La gratitudine degli Ebrei verso gli Albanesi può essere riassunta dalle parole di Irene Grunbaum, anche lei scampata alla morte

Farewell Albania, I thought. You have given me so much, hospitality, refuge, friends, and adventures. Farewell Albanian, one day I will tell the world how brave, fearless, strong and faithful your sons are, how death and the devil can’t frighten them. If necessary I’ll tell how they protected a refugee and wouldn’t allow her to be harmed even if it mean losing their lives. The gates of your small country remained open, Albania. Your authorities closed both eyes, when necessary, to give poor persecuted people another chance to survive the most horrible of all wars. Albania, we survived the siege because of your humanity. We thank you.

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Argomenti: Ahmet ZoguBesaPopolo AlbaneseSeconda Guerra Mondiale

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